Era il 4 Novembre, dopotutto!

4 novembre locandina

Lo scorso 4 Novembre si è ripetuto il consueto calendario di appuntamenti e celebrazioni. Lontani dai fasti della reggenza La Russa del ministero della Difesa e dalle caratteristiche esposizioni di mezzi e installazioni espositive, sono tornate quanto meno in auge – sebbene in forma più contenuta, per adeguarsi alla “spending review” – l’apertura delle caserme e i concerti di bande e fanfare militari in molte piazze d’Italia.

Nella Capitale d’Italia, alla tradizionale deposizione della corona d’alloro al sacello del Milite ignoto sull’Altare della Patria (resa ancora più solenne dalle note musicali della Banda Musicale dell’Esercito, diretta dal Cap. M° Antonella Bona) è seguita, poche ore dopo, una nuova cerimonia in piazza del Quirinale. Lo spirito che ci si era prefissati per questa seconda manifestazione era quello dell’incontro tra militari e cittadini in un comune abbraccio, all’ombra del Quirinale, in concomitanza dell’inaugurazione di un’opera scultorea dedicata ai Caduti: una lunga lapide che reca i nomi dei centosettantacinque militari italiani caduti nelle missioni di pace del secondo dopo guerra, dalla guerra di Corea – in cui l’Italia inviò rappresentanze ed assetti del Corpo militare CRI – fino ai monti dell’Afghanistan. L’opera, articolata su diversi pannelli, fa certamente riflettere…specie in termini di proporzione: la prima lunga schiera di caduti – tutti nella stessa data – sono gli aviatori di Kindu; seguono, alla spicciolata, casi sporadici di incidenti considerabili, seppur nella loro tragicità, “di routine”; il marò Filippo Montesi, caduto in Libano nel 1982, apre il triste capitolo delle missioni fuori area degli ultimi trent’anni; seguono i nomi dei caduti nei Balcani, l’equipaggio di Lyra 34 e via via fino ai Caduti a Nassirya, in Iraq e in Afghanistan (tra i quali c’è anche il nome di DAVID – e non DAVIDE! – Tobini).

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L’opera “Angeli degli Eroi” di Flavio Favelli, con l’auspicio di non doverne aggiornare la tragica contabilità, è stata poi traslata nel sacrario delle bandiere del vittoriano dove sono esposte le bandiere di tutti i reparti militari sciolti dopo le guerre o dopo i recenti “salassi” di bilancio. Sebbene significativa, la lapide e il suo significato appaiono fin troppo ispirati all’analogo muro in granito nero che – a Washington DC – reca i nomi dei quasi centomila caduti americani nella guerra del Vietnam, ma – a differenza dell’installazione che l’ha ispirata – essa non sarà all’aperto bensì rimarrà custodita in un simulacro certamente significativo, ma sconosciuto ai più e destinato a rimanere tale. Se non altro sarà al riparo dagli atti vandalici che l’opera omologa della capitale americana non rischia, essendo affidata ad un popolo che persino nelle sconfitte evita di trascinare la propria bandiera nell’incandescenza delle polemiche. Data la natura di quest’opera, erano presenti alla cerimonia moltissimi parenti dei caduti e a loro è stato riservato un posto di prima importanza nello schieramento in piazza del Quirinale. Dopo la deposizione del cuscino di fiori il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella si è intrattenuto, rientrando nel palazzo, con alcuni reduci e con i parenti di alcuni caduti e ha ricevuto una sonora contestazione da uno di essi, rimasto anonimo e allontanatosi subito dopo. Momenti di tensione per il cerimoniale, dunque, che non ha trovato modo alcuno di lenire lo sfogo di questo giovane parente, con gli occhiali scuri sotto ai quali asciugava costantemente lacrime con la mano, che lamentava qualcosa come una medaglia mancata e la disparità di trattamento tra il “suo” caduto e quelli degli altri. Nulla si è saputo di più e, nel frattempo – com’è d’uso in questi casi – il Capo dello Stato e il Ministro della Difesa Roberta Pinotti hanno proseguito a salutare i bambini delle scolaresche, simulando indifferenza. Sono questi i rischi che si corrono a comprimere la società civile nel cerimoniale militare e cristallizzare il dolore privato di tante famiglie nel dominio pubblico delle date solenni. Serva di lezione! Rientrate le autorità nel Palazzo del Quirinale, sono state tolte le transenne e – come previsto dallo spirito della manifestazione – i parenti e gli altri civili hanno raggiunto i militari che avevano animato la cerimonia. I parenti dei caduti hanno potuto avvicinarsi alla grande lapide: l’hanno contemplata in silenzio, accarezzando il nome dei figli, e alcuni tra loro non riuscivano a trattenere le lacrime. E, a pochi metri, la Banda Musicale Interforze eseguiva marcette briose… L’atmosfera era quantomeno surreale.

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La banda interforze è una compagine musicale che nasce dall’esigenza di non fare torti a nessuna delle principali bande militari, che – per motivi di bilancio – non ci sarebbe modo di far suonare tutte insieme poiché ciascuna di esse è composta da un centinaio di orchestrali. Vengono quindi chiamati in servizio una manciata di musicisti da ognuna delle bande militari cosiddette “ministeriali” o “centrali” (Aeronautica Militare, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Esercito e Marina Militare) per comporne una di una quarantina di strumentisti, diretti – a rotazione – dal Maestro Direttore di una delle suddette bande musicali.

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Il Ten.Col. M° Patrizio Esposito, direttore della Banda Musicale dell’Aeronautica Militare, ha pertanto diretto quella composta per il 4 Novembre. Tale formazione musicale, data la solennità dell’occasione in questione e delle altre a cui viene solitamente impegnata, ha indossato l’alta uniforme, esponendo pertanto una variopinta gamma di pennacchi, chepì e lucerne, giacche verdi della Finanza, code di rondine dei Carabinieri, code blu e oro della Marina e l’uniforme – indubbiamente troppo “da serata di gala” – dell’Aeronautica (frac e papillon). L’assortimento casuale della Banda Interforze e la rotazione, secondo le esigenze dei complessi musicali di appartenenza e secondo i turni di servizio, dei suoi musicisti comporta l’impossibilità di effettuare prove e di collaudare arrangiamenti ed esecuzioni: questo rende inevitabile e persino opportuno il dover ripiegare la scelta su pochi brani standard, che non sempre risultano consoni con l’occasione.

Il concerto – durato una ventina di minuti – che ha concluso la cerimonia dello scorso 4 novembre ha infatti sacrificato infatti il repertorio musicale tradizionale italiano in favore della ballabile Carmen di George Bizet, dell’onnipresente Guillaume Tell di Gioachino Rossini e delle tipiche marce americane di John Philip Sousa (dal sapore, forse, un po’ commerciale data la loro internazionalità), lasciando nella “lista dei desideri” brani certamente più adatti magari tratti dal canzoniere risorgimentale o dai canti della Grande Guerra e, in particolare, “Le Campane di San Giusto” (era il 4 novembre, dopotutto!).

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Soltanto la grande professionalità e l’ottima preparazione accademica e artistica degli orchestrali e del maestro direttore hanno fatto si che, complessivamente, la qualità dell’esecuzione fosse buona. I musicisti militari (peraltro applauditissimi dalle ormai immancabili scolaresche, composte soprattutto da alunni della Scuola Primaria) hanno tamponato le sbavature di una cerimonia altrimenti improvvisata e concettualmente un po’ confusa tra festa e ricordo, brio e commozione, lacrime e rabbia…

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Sorvoliamo…come la straordinaria Pattuglia Acrobatica Nazionale delle Frecce Tricolori! Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Viva le Forze Armate! Viva gli Italiani!

Articolo di Marco Potenziani e Claudia Giannini per Alamari Musicali

Filmati di Marco Potenziani per Alamari Musicali

Fotografie di Paolo Giandotti, Marco Potenziani e Davide Fracassi per Alamari Musicali

Ciao dal 2 Giugno 2015

Sbadigli in tribuna autorità, applausi della tantissima gente e delirio alle prove.
La Parata dello scorso due giugno ha presentato qualche novità rispetto alle edizioni precedenti. Il morale delle truppe certamente è stato alto sin dalle prove, sia a Guidonia che soprattutto quelle notturne del 29 maggio ai Fori Imperiali, dove le ore di ozio che hanno preceduto l’ammassamento e il defilamento sono state condite da goliardici sfottò e una gioia molto diffusa, specialmente dai paracadutisti che hanno trovato un’ottima spalla nella fanfara della Taurinense e dai corpi civili, ammassati invece pochi metri più in fondo alle Terme di Caracalla. https://youtu.be/306NVcvrcTU La fanfara dei Bersaglieri e i Forestali hanno animato l’intero settore prendendo letteralmente in ostaggio Crocerossine e Corpo Militare CRI. Più silenziosi i militari della Marina, dopo l’indicibile affair “gavettone” dello scorso anno che si credeva fosse l’unico motivo dell’assenza del Comsubin dalla parata. Ci avevamo creduto anche noi che un gavettone tirato dai giganti verdi della Marina all’indirizzo del Capo di Stato Maggiore della Marina fosse l’unico motivo della loro mancata partecipazione, ma poi ci siamo guardati un po’ intorno. Le forze speciali mancavano praticamente ovunque: Il 9° Col Moschin e gli Alpini del 4° Parà sono rimasti altrettanto in caserma. Tra le forze di Polizia una fila per uno tra NOCS e GIS, che erano impersonati da uomini di altre specialità data la loro contenuta mole corporea. Il perchè di tale scelta resta misterioso: c’è chi parla di addestramento delle forze speciali in vista delle operazioni contro gli scafisti in Libia e chi di eccessivo buonismo.
Ad ogni modo noi che abbiamo sempre esecrato le polemiche sul due giugno, non inizieremo certo a farne oggi.

Osserviamo però, oltre alla giusta attenzione – che sempre si poteva dare – agli atleti militari e a quelli paralimpici, che l’iniziativa degli ombrelli colorati dei bambini, che hanno occupato metà della tribuna fotografi ammassando gli operatori dell’informazione in una tonnara, non si sa bene quale contributo abbiano aggiunto. Dallo scorso anno il ritorno delle Frecce Tricolori, rimaste nell’hangar per le edizioni 2012 e 2013 sotto al loden di Mario Monti che la sarta aveva riadattato anche un po’ ad Enrico Letta, ha esercitato uno straordinario effetto traino per la partecipazione popolare che è stata altissima, a livello delle parate dell’era Ciampi. Qualche polemica l’ha suscitata l’autore dei testi che sono stati distribuiti sia alla stampa – inclusi i cronisti della Rai – che letti dall’annunciatore ufficiale su via dei Fori. La Musica d’Ordinanza dei Granatieri ha sfilato nel grigio verde della Grande Guerra ed è stata venduta per la tenuta del 1848. La data di fondazione del primo Reggimento, scritta chiaramente sui tamburi in 1659 è stata letta per 1748 mentre la fondazione dei Corazzieri è stata anticipata al 1540 rispetto al 1868. L’affronto più grave è stato inferto alla Brigata Sassari che è stata accorpata ai Granatieri di Sardegna. L’accuratezza dei testi in una parola: un disastro. Tra le altre cose, ben tornate divise storiche. Sono uscite dai magazzini quelle confezionate per la parata del 2011 dei 150 anni dell’Unità, tra cui le prime file della compagnia storica della Guerra di Liberazione in divisa inglese del CIL, cosa che probabilmente non è nemmeno conosciuta da chi ha scritto i testi ma che il consulente militare che stava in cabina di commento Rai, solitamente il generale Fogari, non mancava di sottolineare. Un ultimo appunto sulle divise storiche del ’15-’18: non abbiamo capito bene di che colore fossero dato che ogni reparto, a seconda della sartoria ch ha preso l’appalto, ne aveva repliche di tinte sensibilmente diverse. Solo quelle dei Sassarini erano ineccepibili. Per il resto, dato il budget che le viene dedicato, la parata non è destinata ad avere novità di rilievo, sebbene il sapore di molti dei tagli che le hanno inferto è di sapore decisamente demagogico. Vadano i carri armati e i sorvoli aerei, ma se ogni corpo civile sfilasse con la sua banda e la parata durerebbe mezz’ora in più di sola musica. Quale sarebbe il costo? Il lucido per gli ottoni?

All’anno prossimo.

MARCO POTENZIANI per ALAMARI MUSICALI

IL MOSAICO DEL GRANATIERE

Il 18 febbraio 2015 un Granatiere di Sardegna in congedo (in congedo (il caporalmaggiore, poi sergente, Nello Sebastiano Genovese 9 sc 82 CCS 2 btg gra mecc ” CENGIO”) lanciò un appello, in forma di evento sul social network Facebook, dal titolo SALVIAMO IL MOSAICO DEL GRANATIERE che proponeva (al costo di un euro) l’adozione di una tessera del mosaico onde riuscire a salvarlo dalla possibile demolizione e finanziare il suo spostamento presso il Museo storico dei Granatieri di Sardegna *). L’entusiastica generosità con cui immediatamente risposero gli iscritti dell’Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna, di cui fanno parte sia coloro che hanno militato con i bianchi alamari sia i simpatizzanti di questa specialità, mi ha particolarmente colpito e mi ha spinto a cercare qualche notizia sul Mosaico del Granatiere. Fu così che m’imbattei nel prezioso materiale fotografico raccolto dal Granatiere Ernesto Bonelli e, altrettanto generosamente, donata al Museo. Da questo si può evincere che la generosità aveva caratterizzato sin dal 23 agosto 1937 – data ufficiale d’inizio lavori – la realizzazione di questo grande mosaico policromo (circa trenta metri quadrati): vi si dedicarono infatti – nelle ore e nei giorni liberi dal servizio – granatieri, sottufficiali e ufficiali del 2° Reggimento Granatieri di Sardegna (tra cui il S.Ten, Lucchetti e il S.Ten. Tongiani) e, in particolar modo, il sottotenente dei Granatieri Lino Lipinsky De Orlov, autore ufficiale dell’opera realizzata con la cosiddetta tecnica vaticana.

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L’immagine scelta per il grande mosaico che decorava la facciata di quella che era la Casa del Granatiere, ovvero lo spaccio per la truppa (che all’epoca veniva chiamato “sala convegno della truppa”), fu quella del militare nell’atto di lanciare una granata: tale gesto, rifletteva il caratteristico impiego della Specialità nel primo periodo della sua esistenza. L’appellativo “granatieri” ebbe infatti origine dal fatto che, nel 1685, il re Vittorio Amedeo II di Savoia assegnò ad ogni compagnia del reggimento Guardie sei soldati incaricati di lanciare allo scoperto le granate. Avete letto proprio bene: 1685! I Granatieri sono, infatti, il più antico corpo militare italiano, poiché derivano direttamente dall’antico Reggimento delle Guardie Reali creato nel 1659 dal duca Carlo Emanuele II di Savoia e, sin dal 1664 a tale unità, spettava – nell’ordinamento militare – la precedenza su tutti gli altri reggimenti proprio per l’anzianità quale primo della fanteria d’ordinanza. La divisa grigioverde, indossata dal granatiere raffigurato nel mosaico, invece era stata adottata qualche anno dopo il trasferimento a Roma del 1° e del 2°Reggimento Granatieri di Sardegna, precedentemente di stanza a Parma e a Piacenza. Da allora gli alamari – che vengono, comunque, riprodotti sulle mostrine e che continuano a spettare ai soli Granatieri e Carabinieri – rimasero solo sull’alta uniforme da parata.

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Il Comandante del Reggimento, il Colonnello Alberto Mannerini, seguì personalmente la costruzione del mosaico e la realizzazione di tutti i numerosi affreschi (andati perduti) che decoravano le pareti all’interno della sala convegno truppa. La Casa del Granatiere, sita all’interno della Caserma Umberto I di piazza Santa Croce in Gerusalemme, che ospitava il Reggimento Granatieri di Sardegna fu ufficialmente inaugurata il 27 gennaio 1938 dal Capo del Governo Benito Mussolini.

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Durante il periodo bellico della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra di Liberazione, il mosaico subì seri danni a causa di colpi d’artiglieria o di arma da fuoco di grosso calibro.

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Subito dopo le vicende belliche la Caserma fu abbandonata dall’Esercito e, nel 1958, fu ceduta dal Ministero della Difesa all’Intendenza di Finanza che, in massima parte, non la utilizzò: com’è facilmente intuibile, la scarsa manutenzione o – per meglio dire – lo stato di abbandono dell’infrastruttura comportarono l’inevitabile degrado del mosaico. Ai Granatieri questo fatto provocava una profonda sofferenza spirituale e rappresentava un motivo di vergogna per la stessa città di Roma, alla cui difesa i Granatieri di Sardegna sono preposti. Pertanto, non appena venne costituito, il 1 ottobre 1979, il 2° Battaglione Granatieri Meccanizzato Cengio – che ereditò medagliere, motto, simboli e stendardo del 2° Reggimento – i granatieri chiesero con insistenza e, per voce del Granatiere Generale Raffaele Simone, ottennero dallo Stato Maggiore dell’Esercito che il mosaico venisse distaccato, restaurato e trasferito nel cortile della loro caserma Alfonso Albanese Ruffo di via Tiburtina. Dal 1982 esso fu dunque fedele compagno di tanti militari, giustamente orgogliosi della loro appartenenza a un corpo tanto glorioso, e fu testimone di avvenimenti festosi come la ricostituzione del 2° Reggimento Granatieri di Sardegna nel 1992, ma anche di tragici eventi – quale il misterioso suicidio del granatiere pisano Claudio Fausto Leonardini, precipitato da una finestra il 4 luglio 1995 e morto dopo quasi due settimane di coma – e degli scandali che ne seguirono. ***)

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Nel 1996 i granatieri furono trasferiti a Spoleto (dove ora, dopo un nuovo scioglimento, restano soltanto la 5ª e la 6ª Compagnia Fucilieri, che fanno parte del 1º Reggimento Granatieri di Sardegna) e il granatiere del mosaico restò nuovamente solo, almeno fino a quando nel 2010 – in seguito all’annunciata dismissione della caserma da parte del Ministero della Difesa e alle ricorrenti notizie di assegnazione dell’intero complesso militare al Comune di Roma – non giunsero gli attivisti del movimento Action per il diritto alla casa a occupare simbolicamente il sito per qualche ora. ****) Naturalmente le condizioni del mosaico, nuovamente rimasto per anni privo di qualunque intervento di manutenzione, stavano volgendo nuovamente al degrado e c’erano seri rischi che venisse proprio definitivamente demolito.

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Ma vi pare che coloro che (insieme ad alcuni rinforzi di volontari tra bersaglieri, carabinieri, carristi, cavalieri, paracadutisti e polizia dell’Africa italiana e a una parte della popolazione romana) dettero origine alla Resistenza italiana contro l’occupazione nazista seguita all’armistizio dell’8 settembre 1943, scontrandosi duramente contro le preponderanti truppe tedesche e resistendo eroicamente per due giorni presso Porta San Paolo poi sul Campidoglio – ultimo baluardo della difesa di Roma, difeso dalla IV Compagnia Reclute del 1º Reggimento, comandata del Capitano Alberto Alessandrini –  avrebbero potuto rinunciare a uno dei loro simboli? NO DAVVERO!

Il motto dei Granatieri deriva dal grido «A me le guardie per l'onore di casa Savoia!» lanciato dal Duca Carlo Emanuele II di Savoia, comandante del Reggimento Guardie Reali (Granatieri), ai suoi uomini, che si lanciarono in un corpo a corpo contro gli austriaci nella Battaglia di Goito del 30 maggio 1848 (Prima Guerra d'Indipendenza) e risultarono decisivi per le sorti del combattimento. Il motto venne ridotto, dopo la proclamazione della Repubblica Italiana, all'attuale motto:

Il motto dei Granatieri deriva dal grido «A me le guardie per l’onore di casa Savoia!» lanciato dal Duca Carlo Emanuele II di Savoia, comandante del Reggimento Guardie Reali (Granatieri), ai suoi uomini, che si lanciarono in un corpo a corpo contro gli austriaci nella Battaglia di Goito del 30 maggio 1848 (Prima Guerra d’Indipendenza) e risultarono decisivi per le sorti del combattimento. Il motto venne ridotto, dopo la proclamazione della Repubblica Italiana, all’attuale motto: “A me le guardie ! “

E così, a soli due mesi di distanza dall’inizio della colletta, ecco che Il Granatiere di Lipinsky De Orlov torna a Piazza Santa Croce in Gerusalemme…e proprio nel giorno del 356° anniversario della costituzione del Corpo delle Guardie Reali, da cui deriva la specialità dell’Esercito Italiano denominata Granatieri di Sardegna: il 18 aprile.

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La Musica d’ordinanza del I Reggimento Granatieri di Sardegna – diretta dal Maestro Primo Maresciallo Luogotenente Domenico Morlungo – ha dunque accompagnato musicalmente la cerimonia inaugurale di riposizionamento del Mosaico del Granatiere.

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Il Sottosegretario di Stato alla Difesa, On. Domenico Rossi, taglia il nastro nel corso della cerimonia di riposizionamento del mosaico

Il Sottosegretario di Stato alla Difesa, On. Domenico Rossi, taglia il nastro nel corso della cerimonia di riposizionamento del mosaico “Il Granatiere” insieme al Presidente dell’Associazione Nazionale “Granatieri di Sardegna”, Generale di Corpo d’Armata nella riserva Mario Buscemi, e al Comandante della Brigata Meccanizzata “Granatieri di Sardegna”, Generale Maurizio Riccò.

“Oggi non potevo non essere qui, almeno per due motivi: primo perché da Sottosegretario alla Difesa, e quindi come esponente del Governo, ritengo che in tutte le cerimonie sia necessario far sentire la presenza delle Istituzioni; secondo perché, in passato, sono stato Comandante della Brigata Meccanizzata Granatieri di Sardegna e quindi, oltre al piacere di stare tra amici, sento l’orgoglio di avere contribuito all’operatività di una Brigata che ancora oggi è parte attiva di missioni nazionali (come Strade sicure)  e internazionali… Forse non tutti sanno apprezzare i valori che ci sono dietro una cerimonia come questa: cerimonie come quella odierna rappresentano un momento di grande riflessione e memoria ed è per questo che il mio plauso va al Presidente dell’Associazione Granatieri Gen. Buscemi per averla organizzata. Serve più cultura della difesa. E non dobbiamo dimenticare quel 25 aprile, quel giorno di Liberazione – che tra pochi giorni ci apprestiamo a “festeggiare” – e l’importanza del primo atto di resistenza della Divisione Granatieri contro i tedeschi l’8 settembre del 1943 a Porta San Paolo… La Resistenza, prima che fatto politico, fu soprattutto rivolta morale. Questo sentimento, tramandato di padre in figlio, costituisce un patrimonio che deve permanere nella memoria collettiva del Paese… Quindi, in un momento di crisi di valori etici e morali, una rinascita è certamente possibile per tutti (anche nei momenti di difficoltà) chiamando: A ME LE GUARDIE!”: ha dichiarato il Sottosegretario di Stato alla Difesa on. Domenico Rossi.

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L’attuale Comandante della Brigata Meccanizzata Granatieri di Sardegna, Generale di Brigata Maurizio Riccò, ha esaltato – al termine della cerimonia e del concerto – la figura del Granatiere che, nel solco delle tradizioni, “ha partecipato a tutte le più importanti battaglie per la costituzione dell’Unità d’Italia e fornisce, costantemente, il proprio contributo in molteplici scenari nazionali e internazionali, anche per la sicurezza dei cittadini”.

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Nel solco delle tradizioni anche il breve, ma suggestivo concerto che la Musica d’ordinanza dei Granatieri ha tenuto dinanzi ai numerosi presenti, emozionati nel riascoltare le marce della loro plurisecolare tradizione..

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tra cui la celeberrima Marcia d’ordinanza intitolata “I Pifferi”, scritta nel 1775 (pare da tale P. Napolitano) come marcia e sveglia per il 3° Reggimento Granatieri Guardie

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E l’indomani, per festeggiare degnamente il ritorno de Il Granatiere nella sua sede originaria, si sono riuniti tutti (o quasi) gli ex commilitoni che avevano fatto parte del 2° Battaglione Cengio.*****) e che ricordano con nostalgia i tempi in cui erano alloggiati nella caserma di Via Tiburtina, che non è più stata dismessa ed è attualmente sede del Reparto Comando e Supporti tattici della Brigata meccanizzata “Granatieri di Sardegna”.

Al termine della Grande Guerra i Granatieri di Sardegna furono destinati al presidio di Fiume, ma - in seguito a problemi con la minoranza croata - furono allontanati dalla città il 25 agosto 1919. Acquartieratisi a Ronchi di Monfalcone (ora Ronchi dei Legionari), sette ufficiali inviarono a Gabriele D'Annunzio la lettera da cui sarebbe poi scaturita l'Impresa di Fiume: « Sono i Granatieri di Sardegna che Vi parlano. È Fiume che per le loro bocche vi parla. Quando, nella notte del 25 agosto, i granatieri lasciarono Fiume, Voi, che pur ne sarete stato ragguagliato, non potete immaginare quale fremito di entusiasmo patriottico abbia invaso il cuore del popolo tutto di Fiume… Noi abbiamo giurato sulla memoria di tutti i morti per l'unità d'Italia: Fiume o morte! e manterremo, perché i granatieri hanno una fede sola e una parola sola. L'Italia non è compiuta. In un ultimo sforzo la compiremo. » Il

Al termine della Grande Guerra i Granatieri di Sardegna furono destinati al presidio di Fiume, ma – in seguito a problemi con la minoranza croata – furono allontanati dalla città il 25 agosto 1919. Acquartieratisi a Ronchi di Monfalcone (ora Ronchi dei Legionari), sette ufficiali inviarono a Gabriele D’Annunzio la lettera da cui sarebbe poi scaturita l’Impresa di Fiume: « Sono i Granatieri di Sardegna che Vi parlano. È Fiume che per le loro bocche vi parla. Quando, nella notte del 25 agosto, i granatieri lasciarono Fiume, Voi, che pur ne sarete stato ragguagliato, non potete immaginare quale fremito di entusiasmo patriottico abbia invaso il cuore del popolo tutto di Fiume… Noi abbiamo giurato sulla memoria di tutti i morti per l’unità d’Italia: Fiume o morte! e manterremo, perché i granatieri hanno una fede sola e una parola sola. L’Italia non è compiuta. In un ultimo sforzo la compiremo. » Il “poeta vate”, seppure fosse un Tenente in congedo dei Lancieri di Novara, volle farsi carico delle temerarie operazioni per la riconquista di Fiume (per la quale sarebbe stato insignito del grado onorifico di Generale di Brigata Aerea). Durante la fase finale dell’Impresa di Fiume volle indossare l’uniforme da Tenente colonnello dei “Granatieri di Sardegna” e onorare il Corpo coniando il motto “Di noi tremò la nostra vecchia gloria: tre secoli di fede e una vittoria.” che fu adottato con particolare entusiasmo dai Granatieri del II Reggimento (di cui il 2° Btg. Cengio raccolse l’eredità).

*) http://www.museimilitari.it/Articolo.asp?Articolo=MuseoGranatieri

**) http://www.granatieridisardegna.it/galleria_lipinsky_2.htm

***) http://archiviostorico.corriere.it/1997/luglio/09/Storie_sesso_caserma_co_10_9707097315.shtml      http://archiviostorico.corriere.it/1997/luglio/17/supertestimone_granatiere_buttato_dalla_finestra_co_10_9707178650.shtml  http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/12/20/tutti-assolti-per-la-morte-del-granatiere.html

****) http://www.abitarearoma.net/action-occupa-la-caserma-ruffo/

*****) http://militarynewsfromitaly.com/2015/04/20/ritorno-alla-naja-per-un-giorno-raduno-del-2-battaglione-cengio/

Il Conte Rosso

Piroscafo CONTE ROSSO

Piroscafo CONTE ROSSO

In onore di Amedeo VII di Savoia, Conte di Savoia e Conte d’Aosta, Moriana e Nizza dal 1383 al 1391 noto come il “Conte Rosso”- il Lloyd Sabaudo volle chiamare un piroscafo transatlantico di 180 metri di lunghezza, 22 di larghezza, 17.879 tonnellate di stazza lorda e circa 22.000 tonnellate di dislocamento, costruito nei cantieri scozzesi William Beardmore & Co a Dalmuir nei pressi di Glasgow. * A onor del vero, il primo tentativo di varo, avvenuto il 26 gennaio 1921, fallì perché la nave rimase ferma sullo scalo: in marineria, si sa, la superstizione domina e, forse, con un fondo di ragione. Invece lo scafo del piroscafo scese effettivamente in acqua il successivo 10 febbraio, ma trascorse più di un anno prima che i lavori finissero. Il “Conte Rosso” salpò, infatti, il 29 marzo 1922 per il suo viaggio inaugurale sulla rotta Genova-Napoli-Montevideo-Buenos Aires.

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Dai carteggi dei Lloyds risulta che dal 1922 al 1928 il transatlantico venisse impiegato sulla linea Genova-Napoli-New York e poi, fino al 1932 fu destinato a percorrere la rotta del suo primo viaggio verso il Sud America. In seguito alla fusione del Lloyd Sabaudo di Genova con due altre importanti compagnie di navigazione (Cosulich Line e Navigazione Generale Italiana) nella Società Italia e al riordino della risultante flotta, il Conte Rosso fu noleggiato al Lloyd Triestino – che poi l’acquistò un anno più tardi – e fu impiegato sulla rotta Trieste-Venezia-Brindisi-Suez-Bombay-Singapore-Shangai.

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Nel 1935, durante la Guerra d’Etiopia, il governo di Mussolini lo requisì per trasportare truppe italiane e coloni in Africa Orientale Italiana. L’anno successivo, rientratone in pieno possesso, il Lloyd Triestino l’affidò allo Stabilimento Tecnico Triestino per i necessari lavori di “ristrutturazione” ne fece sostituire l’apparato motore con un nuovo apparato motore, costruito dalla Franco Tosi di Legnano, che vantava una potenza di 25.000 HP utile al conseguimento di velocità sino a 20 nodi. Probabilmente fu proprio questa caratteristica innovativa a renderlo appetibile per il Ministero della Guerra e, in particolar modo, per la Marina Militare che lo requisì il 3 dicembre 1940 per adibirlo al trasporto di truppe in Libia: l’equipaggio civile del piroscafo dimostrò in numerose occasioni coraggio ed efficienza effettuando numerosi viaggi sulla rotta di guerra Roma – Tripoli e trasportando indenni parecchie migliaia di uomini (fra cui per esempio, l’8 febbraio 1941, reparti della Divisione Ariete), sino al 24 maggio 1941.

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All’alba del 24 maggio 1941 (alle ore 04.40, secondo il diario di bordo) il “Conte Rosso” salpò – assieme ai piroscafi passeggeri “Esperia”, al piroscafo misto “Marco Polo” e alla motonave passeggeri “Victoria”, anch’esse adibite al trasporto di truppe – da Napoli diretto a Tripoli con a bordo 280 uomini d’equipaggio civile al comando dal triestino Fabris e 2449 (altre fonti parlano di 247 e 2482) fra ufficiali, sottufficiali e soldati di tutte le Armi (avieri, carabinieri, carristi, fanti e genieri), per un totale di 2729 uomini degli 8.500 uomini destinati al fronte libico: tanto campionario umano annoverava gente in dimestichezza con il mare e gente che invece lo vedeva per la prima volta, richiamati delle classi anziane e giovanissimi volontari, spesso universitari né mancava qualche “clandestino” come l’allievo ufficiale Bartolotta del 4° Rgt.Carristi, che s’era nascosto in una scialuppa pur di seguire in Africa il proprio reparto, malgrado l’ordine di restare a terra. Il convoglio veloce (viaggiava a oltre 17 nodi) era scortato dalle torpediniere “Procione”, “Pegaso” e “Orsa” e dal cacciatorpediniere “Freccia” ed era comandato dal Contrammiraglio Francesco Canzoneri. Alle 15.15 i bastimenti iniziarono l’attraversamento dello Stretto di Messina e a loro si unirono intorno alle ore 16.00, come scorta a distanza, i cacciatorpediniere “Ascari”, “Corazziere” e “Lanciere” e gli incrociatori pesanti “Trieste” e “Bolzano” della Terza Divisione e, per incrementare la vigilanza antisommergibile, le  torpediniere “Calliope”, “Perseo” e “Calatafimi”, che però sarebbero rientrate in porto in serata.

Al tramonto del 24 maggio il convoglio di cui faceva parte il “Conte Rosso” si trovava dunque circa dieci miglia al largo di Augusta su due file, con la scorta diretta su entrambi i lati e gli incrociatori, sempre di poppa, ad un paio di miglia e qualche idrovolante in missione antisommergibile che lo sorvolava.  Zigzagando a circa diciotto nodi su un mare tranquillo, i bastimenti seguivano la rotta a levante della Sicilia, pericolosa per la vicinanza di Malta, ma più rapida dell’altra a ponente. Poco prima delle 20.30 circa le navi cessarono di zigzagare per poter fare il punto della situazione prima del buio, mentre i Cant-Z rientravano ad Augusta.

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Erano le 20.33 quando, poche miglia più al largo, il Luogotenente Malcolm David Wanklyn**, Comandante del sommergibile “HMS Upholder” della British Royal Navy appartenente alla Flottiglia di Malta, vide apparirgli nette nel periscopio le sagome delle navi che si stagliavano sullo sfondo del luminoso tramonto: era in mare già da venti giorni e, nonostante fino a quel momento gli fosse riuscito di affondare soltanto un piccolo piroscafo, gli erano rimasti solo due siluri. Wanklyn decise di lanciarli entrambi: gli ordigni sfiorarono il “Freccia”, caposcorta, che sparò il Very verde per dare l’allarme e mise barra a sinistra per dare caccia e, insieme al “Corazziere” e al “Lanciere”, fu subito sull’unità nemica e, in meno di diciannove minuti, la misero fuori gioco danneggiandola seriamente con molte delle 37 cariche di profondità lanciate andate a segno. Sul Conte Rosso, che gli navigava sulla dritta a poca distanza, il segnale però non fu avvertito o, se lo fu, mancò il tempo per reagire con la manovra: fecero prima i siluri, squarciando lo scafo sulla sinistra, a proravia. Sulle prime sembrò che le esercitazioni di salvataggio fatte all’inizio del viaggio dovessero dare i loro frutti: i militari, secondo le disposizioni, si erano rapidamente concentrati a poppa, dove corse anche il Terzo Ufficiale di Guardia Predonzan che racconta: <<Dopo cinque minuti la nave cominciò ad appruarsi. Risuonò sinistro il “Si salvi chi può!” e fu il caos. Urlai, allora, ai militari infagottati nel salvagente di buttarsi in acqua. Ne spinsi parecchi oltre la murata, ma altri, non sapendo nuotare, non trovavano la forza di muoversi e si accovacciarono, vinti, ad attendere la morte. Tutto l’equipaggio civile si prodigò per ridurre le dimensioni del disastro: molti marinai pagarono con la loro vita la salvezza di oltre 1300 soldati. Non erano passati 10 minuti dal siluramento, che il Conte Rosso aveva già la poppa rivolta al cielo con le eliche che giravano ancora lentamente, sempre più alte sull’acqua. Il mare intorno brulicava di zattere e di teste, tutta gente in lotta disperata per la vita, tesa ad allontanarsi dal bastimento per evitare il tanto temuto gorgo. Dalle fiancate, ormai quasi verticali, grappoli di uomini scivolavano giù, appesi a penzoloni in posizione innaturale. Poi vi fu come un tuono, un immane ultimo respiro della nave, fatto di sibili e di schianti: lo scafo andò a picco veloce e diritto, quasi senza gorgo, mentre enormi bolle d’aria e di nafta salivano a galla, portando con se alla salvezza uomini già condannati.>> Erano effettivamente trascorsi soltanto otto minuti dall’ordine di lancio da parte del comandante Wanklyn quando il “Conte Rosso” affondò di prua a circa 10 miglia per 83° da Capo Murro di Porco in Sicilia (al largo di Siracusa): il relitto del Conte Rosso giace in posizione 36°41′ N, 15°42′ E. qzqjw9  036702

Nessuno saprà mai quanta, tra la gente che era in acqua aggrappata ai rottami od alle zattere o sostenuta dal salvagente, perì prima di poter essere salvata: certo l’ingestione di nafta o il colpo dei sugheri alla carotide dovettero mietere subito molte vittime. Gran parte delle vittime non ebbe effettivamente il tempo di abbandonare la nave o fu strangolata dai propri giubbotti salvagente, dopo essersi tuffata da un’altezza di decine di metri: l’appruamento aveva infatti portato il Conte Rosso ad impennare la poppa molto al disopra della superficie. Il “Corazziere”, il “Lanciere”, la “Procione” e la “Pegaso”, quindi, presero a rastrellare il mare a lento moto, aiutandosi a tratti con i proiettori: le altre navi, invece, proseguirono con il convoglio, che giunse indenne a Tripoli il mattino seguente. Frattanto, da Augusta, salpavano in fretta una decina di pescherecci del dragaggio, diretti anch’essi verso la zona del disastro. Tra le navi soccorritrici giunse anche la nave ospedale “Arno”, che trasportava feriti da Bengasi (Libia) a Napoli e che alle ore 23.00 deviò la rotta verso il punto dell’affondamento. Tutto ciò, per centinaia di uomini, costituì quindi la differenza tra la morte e la vita: con esattezza per 1.432 di essi, tanti quanti furono i superstiti che, sin dalle prime ore del 25, cominciarono a sbarcare ad Augusta. Qui, il Comando della base navale era già in allarme, e pronto a riceverli, anche se il loro numero elevatissimo poneva subito dei problemi di natura logistica, ospedaliera e assistenziale. La città viveva, invece, ore ancora incerte: s’era saputo della tragedia, ma gliene sfuggivano le proporzioni e probabilmente soltanto quando una prima colonna di camion carichi di naufraghi passò in via Principe Umberto, diretta al Comando di Terravecchia, e la gente dai marciapiedi e dalle case poté vedere decine di giovani denudati sui cassoni, coperti dai soli teloni, con dipinta sul volto l’immagine della durissima prova sopportata, allora capì e si commosse. Da un balcone, una mano gettò su un camion un pane perché portasse un primo conforto ai naufraghi: fu l’inizio di una gara, che trovò il limite solo nelle ristrettezze d’un paese che non era ricco, non era grande, e per di più già risentiva delle restrizioni dovute alla guerra. <<Ricordo ancora la generosa popolazione di Augusta, che con le lacrime agli occhi ci fece una commovente accoglienza.>> scrive tal Eleuteri, un superstite, e Rustia, un altro la cui lettera sta in cornice nello studio del Sindaco: <<A noi naufraghi fu riservata un’accoglienza affettuosa e piena di attenzioni, che mai potremo dimenticare.>> Augusta praticamente li adottò: sia  i 1432 vivi, sia i 1297 morti. Duecentotrentanove salme, tra cui quella del Capitano di Vascello Enrico De Bellegarde comandante militare del “Conte Rosso” furono recuperate e deposte sulla banchina sommergibili, che stentava a contenerle e ai funerali partecipò tutta la cittadinanza, frammista ai militari superstiti, che seguivano i feretri infagottati nelle tenute di fatica dei “marò” in attesa che dai depositi giungessero le nuove divise. Quelle salme, metà delle quali proseguirono per Siracusa per motivi di spazio, ricevettero un omaggio assiduo da parte degli abitanti di Augusta anche negli anni successivi, fin quando, verso il 1960, non ne venne disposta la definitiva traslazione ai paesi d’origine o al Sacrario messinese dedicato al Cristo Re.

Funerali

L’affondamento della nave passeggeri “Conte Rosso”, adibita al trasporto truppe verso l’Africa Settentrionale, provocò il più alto numero di vittime umane in un singolo bastimento di tutta la Seconda Guerra Mondiale all’interno della Marina Italiana e David Wanklyn, comandante dell’ “HSM Upholder” fu decorato, per questo siluramento, con la Victoria Cross: sarebbe poi morto, disperso in mare, il 14 aprile 1942 al comando del suo sommergibile, affondato dalla torpediniera “Pegaso” mentre cercava di attaccare un altro convoglio italiano nella zona di Tripoli. Gli uomini del “Conte Rosso” sopravvissuti, quindici giorni dopo il naufragio, furono inviati – dopo una breve licenza – a combattere su tutti fronti, dall’Africa alla Russia dove patirono altre drammatiche prove. La guerra non poteva, infatti, avere riguardi per chi, seppur ancora scosso nell’intimo, era tutta via rimasto integro nel fisico.

Questo drammatico evento continua, anche a distanza di decenni, a essere oggetto di toccanti commemorazioni.

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Nel 2007 l’Amministrazione Comunale di Augusta (SR) decise di commemorare la tragedia con un concerto della Fanfara del 12° Battaglione Carabinieri “Sicilia”. La compagine musicale militare si esibì, diretta dal Maresciallo Capo Paolo Mario Sena, il 19 maggio 2007. L’emozionante esibizione, presentata da Mirca Viola, si aprì con l’Ouverture “1812” di Pëtr Il’ič Čajkovskij particolarmente adatta coi suoi toni cupi, tristi e solenni che fanno pensare alla preghiera mesta per le vittime, quei lampi di cannone che richiamano la guerra e la morte, quei triangoli di sottofondo che fanno pensare all’allarme sulla nave che sta affondando nella concitazione nei soccorsi e quel suono cupo e potente alla fine che evoca l’ultimo richiamo del bastimento a vapore immediatamente prima di colare a picco http://youtu.be/doeb1fh3aec

Nel filmato, alcuni di voi probabilmente riconosceranno, al corno, il Brigadiere Alessandro Conte, Vice Capo Fanfara della Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma, nella tradizione molto bella dello scambio fra musicisti delle Fanfare dell’Arma – che speriamo possa continuare – alla quale la Fanfara dei Carabinieri di Palermo si è sempre prestata con entusiasmo.

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* Con la medesima onomastica e per la stessa compagnia di navigazione, dai cantieri di Glasgow uscirono in breve periodo anche le navi Conte Biancamano, Conte Grande e Conte Verde: quest’ultima era un’unità similare al Conte Rosso, sebbene leggermente più piccola, mentre le altre due, di costruzione successiva, erano più grandi e presentavano varie differenze. http://transatlanticera.blogspot.it/2012/12/blog-post.html

** David_Wanklyn_VC_IWM_A_7293 http://en.wikipedia.org/wiki/David_Wanklyn

Fonti: Notiziario della Marina, Anno XXXI N.7, luglio 1984, a cura di Tullio Marcon; “Genova, città dei transatlantici” di Paolo Piccione;
“La guerra italiana sul mare. La Marina tra vittoria e sconfitta 1940-1943” di Giorgio Giorgerini; “Navi mercantili perdute (USMM)” di Rolando Notarangelo, Gian Paolo Pagano; http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2012/06/30/news/i-100-anni-di-luigi-superstite-del-conte-rosso-1.5343305http://www.galleriaroma.it/Eventi/2007/Immagini/Conte%20Rosso/Conte%20Rosso.htm; http://www.trentoincina.it/mostrapost.php?id=15 .

Concerto in memoria di Olivio Di Domenico

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Nel corso del 2013 lo “studente” Alessandro Celardi (*) – iscritto alla Scuola di strumentazione e direzione per banda del Conservatorio di Musica Licinio Refice di Frosinone – scelse come argomento della propria tesi di laurea del biennio specialistico – di “concerto” con la docente M° Antonia Sarcina (**) – un personaggio assai noto nel mondo della musica militare italiana: il M° Olivio Di Domenico.

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Il Maestro Olivio Di Domenico nacque a Sacrofano (***) – cittadina che sorge nella zona detta del Parco di Veio situata a nord di Roma, tra la via Cassia e la via Flaminia – il 22 ottobre 1925. Nel 1959 succedette al Maestro Antonio D’Elia (un uomo, un mito) alla direzione della Banda Musicale della Guardia di Finanza, che seppe riorganizzare mostrando un eccezionale acume artistico e spessore umano e che condusse in numerose e applauditissime tournée in Italia e in Europa  fino al 1979, anno in cui si congedò dal Corpo per dedicarsi all’insegnamento. Nel 1980 divenne infatti Docente di Composizione e Strumentazione per Banda al Conservatorio di Musica Santa Cecilia di Roma dove ricoprì anche l’ambito incarico di Vice Direttore. Egli scrisse musica didattica, musica da camera, musica d’occasione, inni e marce. Per molti anni fu anche direttore della storica Banda Municipale degli Autoferrotranvieri di Roma (A.T.A.C.):  egli la guidò durante l’esibizione al cospetto di papa Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo nel 2000 e continuò a condurla fino al suo scioglimento, nel 2004. Il Maestro Di Domenico morì, per l’anagrafe, il 20 maggio 2010: in realtà le sue indubbie qualità artistiche, morali e professionali pervadono la musica frizzante e divertente, composta ispirandosi alle tecniche del dodecafonismo di Anton Webern e di Paul Hindemith, che ci ha lasciato in eredità e con essa egli continua a vivere.

Probabilmente questo motivo ha spinto il M° Alessandro Celardi, che nel frattempo ha conseguito la laurea di biennio presso il Conservatorio di Musica Licinio Refice di Frosinone, a revisionare alcuni brani del suo repertorio quali Concerto per banda  e Strutture 70 adattandoli all’organico moderno di tipo standard per renderli più fruibili da tutti i complessi bandistici militari e civili dei giorni nostri.

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Dobbiamo dunque a questo brillante giovane direttore e all’impegno del M° Antonia Sarcina la “riscoperta” di questo patrimonio musicale italiano che non deve andare perduto: ottima, a tale scopo, l’idea di organizzare un concerto aperto al pubblico anziché ai soli “addetti ai lavori”. E il pubblico ha dimostrato il proprio gradimento accorrendo numeroso, nonostante la concomitanza dell’evento con il Festival della Canzone Italiana di Sanremo e della partita di calcio Bologna – Roma, presso il bellissimo Teatro Palladium (****) (altro pezzo della storia di Roma situato nel quartiere della Garbatella) che l’Università degli Studi Roma Tre ha intelligentemente messo a disposizione dell’evento.

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Fortunatamente per noi il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri ha concesso che all’evento prendesse parte la Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma. E così tra il folto pubblico – insieme alla vedova del Maestro Olivio Di Domenico, ad autorità civili e militari, a docenti universitari, a docenti dei conservatori di musica di Frosinone e di Roma, a musicisti militari (per l’occasione in abiti civili poiché in veste di spettatori) e direttori di bande delle forze armate e dei corpi di polizia (in particolare abbiamo notato la presenza di Giovanni Maria Narduzzi, direttore Banda Musicale del Corpo della Polizia Locale di Roma Capitale, e di Fulvio Creux e Antonella Bona, rispettivamente direttore e vicedirettore della Banda Musicale dell’Esercito) – siamo finiti anche noi di Alamari Musicali.

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Grazie alla gentile concessione degli Enti e delle persone sopra citate abbiamo avuto modo di assistere all’esecuzione dei suddetti tre brani composti da Olivio Di Domenico (Gli Accademisti http://youtu.be/x5p4D5o3NlU, Strutture 70 http://youtu.be/dQHJjW66-rE e Concerto per banda http://youtu.be/–557SYt0UY) eseguiti dalla Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma, diretta per l’occasione dal giovane M° Alessandro Celardi e arricchiti dalla presenza di alcuni ottimi musicisti provenienti dal medesimo conservatorio di musica e di una bravissima collega della Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri. Tra questi il più interessante, almeno per me che lo conoscevo poco o niente (Ahimé! Confesso: passione e conoscenza della musica non solo militare nel mio caso sono inversamente proporzionali), è stato l’ultimo. Concerto per banda fu composto dal M° Di Domenico nel 1967 e venne eseguito per la prima volta in occasione del 193° anniversario della fondazione del Corpo della Guardia di Finanza: i tre movimenti di cui esso è costituito – definiti dall’autore Introduzione, Romanza e Finale – mi richiamano alla mente il patchwork di un tappeto indiano in cui ogni riquadro sembra una parte a se stante sebbene il disegno sia fatto su un pezzo unico e non dato dalla cucitura di parti diverse, ma probabilmente sarebbe meglio definirli come una visione onirica o un racconto di Halloween narrato con la tecnica del “flusso di coscienza” e trasformato in un film… Probabilmente, però, un vero critico musicale lo definirebbe così: <<L’Introduzione sviluppa un tema brillante che si intreccia in un vivace gioco contrappuntistico attraverso episodi sempre che si concludono in ampie linee sonore. La Romanza inizia con indefiniti arpeggi di flauti, celesta e vibrafono per svolgersi poi, con linguaggio semplice, in temi essenzialmente espressivi. Il Finale ha carattere scherzoso e burlesco: prende come pretesto la scala di Fa Maggiore, tema nel quale si avvicendano le varie famiglie strumentali in una gara sempre più intensa fino al termine della composizione.>>

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Dopo un intervallo interessante almeno quanto il concerto, durante il quale si è parlato dello stretto rapporto che ha legato le origini dei primi complessi bandistici agli istituti da cui sono derivati dagli attuali conservatorii di musica, la Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma è tornata sul palco del Teatro Palladium – con il suo abituale organico costituito da quarantacinque musicisti – sotto la direzione del Maresciallo Capo Danilo Di Silvestro, che si è diplomato in Strumentazione per banda nel 2012 presso il suddetto Conservatorio di Frosinone proprio con il M° Antonia Sarcina.

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Essi hanno deliziato i presenti con alcuni brani del loro abituale repertorio: Marcia, Danza Finale del secondo atto dell’opera Aida di Giuseppe Verdi http://youtu.be/5GD0KpLGIAg, Sinfonia dall’opera Tancredi di Gioachino Rossini http://youtu.be/M-jCpvneli8, l’arrangiamento per banda scritto dall’olandese Jan Van Der Heyden dei temi principali delle colonne sonore che John Williams ha composto per la tetralogia cinematografica interpretata da Harrison Ford Indiana Jones selection http://youtu.be/8oMFDCSU2q4.

A gran voce gli spettatori hanno richiesto un bis, che il Maresciallo Capo Danilo Di Silvestro ha concesso molto volentieri: ha potuto così cogliere l’occasione per presentare un nuovo brano – scritto appositamente per l’organico della Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma dal M° Filippo Cangiamila (*****), Vice Direttore della Banda Musicale del Corpo della Polizia Penitenziaria – dal titolo affettuosamente ironico CICCI’ con chiaro riferimento all’acronimo solitamente utilizzato per appellare i Carabinieri e alle iniziali della Casa Circondariale, in cui gli agenti della Polizia Penitenziaria si trovano a operare ogni giorno con notevole sacrificio http://youtu.be/q_bJmhhJjcM. Non potevano certo mancare, in chiusura di concerto, La Fedelissima marcia d’ordinanza dell’Arma dei Carabinieri dal 1929 composta da Luigi Cirenei http://youtu.be/wlauBfG5s54 e Il canto degli Italiani composto da Michele Novaro http://youtu.be/0im8Ud6g3-I adottato come inno nazionale della Repubblica Italiana sin dal 1946.

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Dopo uno scrosciante applauso, che sembrava non volesse finire, le lucerne coi pennacchi biancorossi hanno lasciato il palcoscenico e, dopo un breve rinfresco, le abbiamo viste lasciare piazza Bartolomeo Romano per fare ritorno alla caserma di via Carlo Alberto Dalla Chiesa…”perché, si sa, ogni cosa bella finisce”.

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(*) Alessandro Celardi nel 2013 ha portato l’Orchestra di fiati Città di Ferentino alla vittoria nel Campionato del Mondo per Bande da concerto che si è svolto, come da tradizione, a Kerkrade (Olanda) dal 4 al 28 Luglio 2013.

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(**) Antonia Sarcina è nata a Trieste nel 1963 e si e’ stabilita sin da giovanissima a Roma dove ha compiuto gli studi musicali ed umanistici, conseguendo il diploma di maturità classica e i diplomi in pianoforte, composizione e strumentazione per banda, direzione d’orchestra e ha seguito corsi di perfezionamento sia in Italia sia in Russia. E’ docente di composizione e strumentazione per banda e direzione d’orchestra (2001 Conservatorio Nino Rota di Monopoli (BA), 2002-2007 San Pietro a Majella di Napoli, 2007-2010 Santa Cecilia di Roma, dal 2010 titolare di cattedra di orchestrazione per banda e direzione di banda presso il Licinio Refice di Frosinone) e da diversi anni si dedica alla ricerca e alla diffusione delle opere delle compositrici italiane ed estere. Nel 2011 ha tenuto una Masterclass sul repertorio italiano originale per banda presso il Conservatorio olandese di Maastricht. Vanta una lunga carriera concertistica di successo che l’ha portata in giro per l’Italia e per l’Europa: alcuni suoi recitals al pianoforte sono stati registrati per la Radio Vaticana e per emittenti radiofoniche e televisive private e nazionali italiane. Ha iniziato a scrivere musica in giovanissima età e molte sue composizioni – che comprendono arrangiamenti e trascrizioni di vario genere e musiche di scena per il teatro classico oltre a musica bandistica. didattica, lirica, sacra, sinfonica e da camera – sono state pubblicate in Italia, Germania e Stati Uniti d’America, oppure hanno vinto primi premi in importanti concorsi nazionali ed internazionali di composizione e sono regolarmente eseguite sia in Italia sia all’estero. E’ stata il primo direttore d’orchestra donna a prendere parte ai concorsi nazionali per la nomina del Maestro Direttore delle Bande Musicali della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza e della Marina Militare. In qualità di direttore d’orchestra ospite ha diretto la Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri e la Banda Musicale della Guardia di Finanza oltre a bande musicali militari del Brasile e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

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(***) http://www.lcnet.it/reticiviche/sacrofano/paese.html

(****) http://www.romaeuropa.net/it/opificio/presentazione.html http://www.romaeuropa.net/images/pdf/dossieropificio.pdf

(*****) Filippo Cangiamila è nato a Palermo nel 1980. E’ laureato in trombone, strumentazione per banda, composizione e direzione d’orchestra. Ha ottenuto, in qualità di strumentista, idoneità o collaborazioni con diverse orchestre ed enti (tra cui Arena di Verona, Accademia di Santa Cecilia, Teatro Vittorio Emanuele di Messina, Teatro Lirico di Cagliari, Teatro alla Scala di Milano, Orchestra di Stato di Cipro, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro La Fenice di Venezia, Orchestra Sinfonica Abruzzese, Orchestra Haydn di Bolzano e Trento) ed è stato – tra il 2002 e il 2007 – dapprima II e poi I Trombone nell’Orchestra Sinfonica di Roma con la quale si è esibito in prestigiosi teatri di Roma (Teatro Argentina, Teatro Sistina, Auditorium Parco della Musica, Auditorium di via della Conciliazione)  e del mondo (San Pietroburgo, Belgrado, Berlino, Madrid, Londra, Atene, Brasilia, Rio de Janeiro). Nel 2007 ha vinto il concorso nazionale per titoli ed esami presso la Banda Musicale della Guardia di Finanza in Roma e di questo organico ha fatto parte come strumentista fino al 2012. Come compositore si è distinto in numerosi concorsi – Premio Licinio Refice (II, 1998), Premio Oreste Sindici (III, 2004), Premio Valentino Bucchi (I, 2004), Premio Contemporaneamente (II, 2006), Premio Giovanni Palatucci (II, 2010) – e alcune delle sue composizioni per banda sono edite dalle case editrici Scomegna e Wicky. Nel 2012, vincendo un concorso pubblico per titoli ed esami, è divenuto Maestro Vice Direttore della Banda Nazionale del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Un buon “noncompleanno” a teeeeeeeeeeee: 29 febbraio 1792 – 2014

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Voglio pubblicamente ringraziare un tale Vivazza – musicista della Banda cittadina di Lugo di Romagna (sua terra natìa) nonché fervente sostenitore della Rivoluzione Francese, che tanta importanza ha avuto sull’origine stessa delle bande militari che mi propongo di continuare a seguire per amore e solo per amore  – per aver chiesto un bel dì in isposa la cantante urbinate Anna Guidarini.

Voglio ringraziare una fantastica nonna (quale nonna non è di per sé fantastica per il semplice fatto di essere null’altro che due volte mamma!?) romagnola e una mamma paziente sempre pronta a seguire il marito nelle sue peregrinazioni tra Ravenna, Ferrara e Bologna nel tentativo di sfuggire alla cattura da parte delle truppe pontificie, tornate al potere dopo la Restaurazione.

Voglio ringraziare i fratelli Malerbi di Lugo, insegnanti di musica e – in particolare – di canto e un certo Maestro Prinetti per aver saputo dare al nostro “enfant prodige” i primi rudimenti nel campo della musica, del canto e della spinetta.

Voglio ringraziare gli insegnanti del Liceo musicale bolognese, presso il quale il “tedeschino” si appassionò tanto allo studio di Joseph Haydn e, soprattutto, di Wolfgang Amadeus Mozart (con il quale si può quasi immaginare un “passaggio del testimone” tra anime poiché la nascita del festeggiato seguì di soli tre mesi la sua morte).

Voglio ringraziare il direttore del il Teatro San Moisè di Venezia che scelse di dare fiducia a un giovanissimo compositore che presentò nel 1810 La cambiale di matrimonio, un’opera dal titolo più che mai attuale, e il Teatro del Fondo – oggi Teatro Mercadante – di Napoli che gli concesse il palco per rappresentare con successo la prima versione in musica della tragedia shakesperiana di Otello ossia l’Africano di Venezia (Giuseppe Verdi ne avrebbe scritta un’altra più drammatica tempo dopo).

Voglio ricordare con affettuosa e rinnovata meraviglia la gradevolissima e frizzante – sotto ogni aspetto – aria di Como e la bellezza serena della Villa Pliniana presso cui il Cigno compose la bellissima opera Tancredi.

Voglio regalare un ombrello agli imbecilli e agli invidiosi che, proprio nella mia città, decretarono con fischi, frizzi e lazzi il clamoroso e incredibile insuccesso de Il barbiere di Siviglia in occasione della prima che si tenne presso il Teatro Argentina e voglio invece regalare un fiore ai miei concittadini che l’applaudirono al Teatro Valle quando ebbero il privilegio di assistere alla prima di Cenerentola

Voglio ringraziare il San Carlo di Napoli per aver avuto il coraggio di affidargli addirittura la direzione del Teatro, permettendo così la messa in scena di opere quali La pietra del paragone, La gazza ladra, L’italiana in Algeri e Semiramide.

Voglio ringraziare la soprano spagnola Isabella Colbran, che del celebre compositore italiano fu per alcuni anni musa ispiratrice e consorte.

Voglio ringraziare Parigi che l’accolse senza la sua notoria “puzzetta sotto il naso” e ne comprese il genio e la grandezza: e come avrebbe potuto altrimenti dinanzi a  Le Comte Ory e al mirabile capolavoro Guillaume Tell.

Voglio persino ringraziare nuovamente la summenzionata cantante spagnola perché durante la fase depressiva in cui egli entrò probabilmente in seguito a problemi coniugali risoltisi in parte con una separazione egli compose un bellissimo Stabat Mater, che riuscì a concludere in realtà soltanto alla morte del padre Giuseppe (il Vivazza di cui sopra).

Mi sento, seppure con qualche egoistica difficoltà, di ringraziare la sua seconda compagna di vita Olympe Pélissier, che lo supportò nella sua scelta di non comporre più musica, se non i Péchés de vieillesse per se stesso e pochi intimi, e di ritirarsi nella campagna francese di Passy: in fondo quegli anni avrebbero portato alla composizione di una memorabile Petite messe solennelle: d’altro canto non dev’essere stato facile non solo supportare, ma anche sopportare un uomo che definire “dalle mille sfaccettature” potrei considerarlo un eufemismo visto che egli fu al tempo stesso collerico e gioviale, ipocondriaco e amante della buona tavola, umorale e appassionato corteggiatore di belle donne, depresso e bon vivant, apatico eppure appassionato genio culinario sempre pronto a sperimentare nuove ricette, profondamente pigro eppure musicalmente iperattivo e molto altro…tanto che egli scrisse e riscrisse non so quante volte i finali delle sue stesse opere alternandone versioni a lieto fine e a versioni con finale che più drammatico non avrebbe potuto nemmeno Giuseppe Verdi (e, con tutto il rispetto per il venerabile Maestro raffigurato sulla nostra amata banconota da “millelire”, ho detto tutto…vero!?).

Voglio ringraziare la Serenissima Repubblica di San Marino, cui sono molto legata per “affinità elettive” e per affetto nei confronti della Banda Militare al gran completo, per aver concesso al genio italico (temo non sarebbe del tutto corretto definire italiano qualcuno nato e vissuto per la maggior parte del proprio tempo prima che l’Italia stessa nascesse) il titolo di nobile poiché di certo egli ha contribuito grandemente a nobilitare la musica.

Voglio ringraziare il Regno di Prussia che gli attribuì la sua più alta onorificenza, nominandolo Cavaliere “Pour le Mérite für Wissenschaften und Künste”, e il Regno di Francia che fece altrettanto, riconoscendogli il titolo di Grand’Ufficiale dell’Ordine della “Légion d’honneur”.

Voglio ringraziare il governo italiano per averne preteso la restituzione delle spoglie dalla terra di Francia (ciò avvenne in tempi biblici poiché egli morì di cancro – anche in questo caso: che modernità! – nel 1868, ma si dovette attendere sino al 1887) e alla magnifica Firenze per averle accolte nel “tempio dell’Itale glorie” (il monumento funebre realizzato da Giuseppe Cassioli e inaugurato nel 1900) presso la Basilica di Santa Croce: in tal modo ho potuto in qualche modo rendergli omaggio in occasione della mia visita a Firenze, ove mi ero recata per ascoltare e riprendere i concerti natalizi della Fanfara della Scuola Allievi Marescialli e Brigadieri dei Carabinieri.

Voglio ringraziare Pesaro, che il “nostro” nominò erede universale delle sue ingenti fortune poiché ivi era nato nel 1792, per aver utilizzato tali fondi per l’istituzione di un Liceo Musicale cittadino, poi divenuto nel 1940 Conservatorio Statale di Musica a lui intitolato.

Voglio ringraziare la Fondazione, erede dell’Ente Morale a cui erano state conferite proprietà e gestione del suo asse ereditario, per il il contributo che continua a dare allo studio e alla diffusione nel mondo della figura, della memoria e delle opere del celeberrimo compositore pesarese – anche attraverso l’annuale Opera Festival a lui intitolato e, soprattutto, per il sostegno che offre all’attività del Conservatorio che ha preparato alcuni dei migliori musicisti che io conosca (tra cui l’attuale direttore della Fanfara del IV Reggimento Carabinieri a Cavallo che è anche fine oboista nella Banda Musicale del Corpo della Gendarmeria Vaticana e debuttò giovanissimo nella prestigiosa European Union Youth Orchestra).

Voglio ringraziare Giuseppe Mazzini, uno dei padri spirituali della mia Nazione e della stessa Europa, che nel suo Filosofia della musica ebbe a definirlo «Titano di potenza e di audacia: il Napoleone d’un’epoca musicale.» e, data l’altissima considerazione che egli aveva di Napoleone non avrebbe potuto fargli complimento più grande.

Voglio ringraziare Marie-Henri Beyle, meglio noto come Stendhal (e scusate se è poco) per aver saputo mirabilmente sintetizzare il suo pensiero sul genio pesarese nella sua biografia – probabilmente romanzata e non del tutto attendibile, ma intrigante – nella prefazione: «Lo invidio più di chiunque abbia vinto il primo premio in denaro alla lotteria della natura poiché, a differenza di quello, egli ha vinto un nome imperituro, il genio e, soprattutto, la felicità.» (ha un sapore di menagramo visto che il Maestro era ancora vivo quando il francese ne scrisse la Vita).

Ora, probabilmente, avete sin qui pensato ch’io volessi commemorare tristemente l’assenza, giustificata per precoce “scomparsa” dovuta a un “brutto male” che ha “spento” il Maestro (*)…..ahiahiahi! ma allora non avete capito alcunché del carattere dello straordinario Giovacchino Antonio…ops! Mi perdoni, Maestro: chiedo venia….avevo dimenticato ch’ella preferisca essere chiamato semplicemente Gioachino (con un “c” sola, vero? Glielo dica ai miei lettori più pignoli!). Io qui voglio festeggiare il duecentoventiduesimo (avete letto bene: sono 222 candeline da spegnere) di Gioachino Rossini!!! Siccome siamo entrambi molto generosi, vi invitiamo tutti quanti a un mega party: il Maestro ha realizzato uno spettacolare menù (in confronto, miei cari, i giurati di Masterchef sono iscritti al primo anno della scuola alberghiera) per la cena e io mi metto alla consolle…voi dovete soltanto gustarvi la festa…e magari ballare.

L’ultimo brano era non solo l’ultimo in ordine cronologico che ho trovato in rete, ma rappresenta anche un momento per finire in calma e serenità la serata….altrimenti rischiate di essere colti dalla frenesia de La Danza e di continuare a ballare per tutta la notte: la maggior parte di noi non ha più l’età per queste “follie”.

Questo, invece, è il mio personalissimo augurio al Maestro: più azzeccato di così…al suo carattere e al suo modo di affrontare la musica e la vita, secondo me non ne trovereste manco doveste campare anche voi dueceventidue anni e più…

Eh, già! Non vorrete mica davvero considerarlo morto: quelli come lui sono immortali!!!! Se fosse morto, non gli avrei mica dedicato un pomeriggio…

P.s.: Voglio ringraziare l’attuale direttore della Banda Musicale dell’Esercito per avermi letto nel pensiero (in questo caso si possono definire “affinità e-lettive”) e avermi inviato i codici di accesso ad alcuni dei video di cui sopra, che spero abbiano fatto apprezzare a tutti voi l’estrema brillantezza ritmica che rasenta la frenesia – segnando un netto stacco rispetto allo stile degli operisti del Settecento, dai quali comunque ricavò stilemi e convenzioni formali – e l’assoluta genialità del famoso «crescendo rossiniano» che dona alla musica un tratto surreale che mi ha richiamato alla mente la favola e il film da cui ho ricavato il mio messaggio di auguri finale e che riesce a combinarsi perfettamente tanto con argomenti tratti dal teatro comico quanto con i soggetti tragici che Rossini scelse per le sue opere. A proposito di opere….tanto per darvi un’idea della sua proverbiale “pigrizia” eccovene l’elenco – spero completo, ma non ci giurerei:

Opere liriche (tra parentesi luogo e data della prima rappresentazione):

La cambiale di matrimonio (Teatro San Moisè, Venezia, 3 novembre 1810), L’equivoco stravagante (Teatro del Corso, Bologna 26 ottobre 1811), L’inganno felice (Teatro San Moisè, Venezia 8 gennaio 1812), Demetrio e Polibio (Teatro Valle, Roma, il 18 maggio 1812), Ciro in Babilonia ossia La caduta di Baldassare (Teatro comunale, Ferrara, 14 marzo 1812), La scala di seta (Teatro San Moisè, Venezia, 9 maggio 1812), La pietra del paragone (Teatro alla Scala, Milano, 26 settembre 1812), L’occasione fa il ladro ossia Il cambio della valigia (Teatro San Moisè, Venezia, 24 novembre 1812), Il signor Bruschino ossia Il figlio per azzardo (Teatro San Moisè, Venezia, 27 gennaio 1813), Tancredi (Gran Teatro La Fenice, Venezia, 6 febbraio 1813), L’Italiana in Algeri (Teatro San Benedetto, Venezia, 22 maggio 1813), Aureliano in Palmira (Teatro alla Scala, Milano, 26 dicembre 1813), Il Turco in Italia (Teatro alla Scala, Milano, 14 agosto 1814), Sigismondo (Teatro La Fenice, Venezia, 26 dicembre 1814), Elisabetta, Regina d’Inghilterra (Teatro di San Carlo, Napoli, 4 ottobre 1815), Torvaldo e Dorliska (Teatro Valle, Roma 26 dicembre 1815), Il barbiere di Siviglia (Teatro Argentina, Roma, 20 febbraio 1816, col titolo Almaviva ossia l’inutile precauzione), La gazzetta (Teatro dei Fiorentini, Napoli, 26 settembre 1816), Otello ossia L’Africano di Venezia (Teatro del Fondo, Napoli, 4 dicembre 1816), La Cenerentola ossia La bontà in trionfo (Teatro Valle, Roma, 25 gennaio 1817), La gazza ladra (Teatro alla Scala, Milano, 31 maggio 1817), Armida (Teatro San Carlo, Napoli, 11 novembre 1817), Adelaide di Borgogna (Teatro Argentina, Roma, 27 dicembre 1817), Mosè in Egitto (Teatro San Carlo, Napoli, 5 marzo 1818), Ricciardo e Zoraide (Teatro San Carlo, Napoli, 3 dicembre 1818), Ermione (Teatro San Carlo, Napoli, 27 marzo 1819), Eduardo e Cristina (Teatro San Benedetto, Venezia, 24 aprile 1819), La donna del lago (Teatro San Carlo, Napoli, 24 ottobre 1819), Bianca e Falliero ossia Il consiglio dei Tre (Teatro alla Scala, Milano, 26 dicembre 1819), Maometto II (Teatro San Carlo, Napoli, 3 dicembre 1820), Matilde di Shabran ossia Bellezza e cuor di ferro (Teatro Apollo, Roma, 24 febbraio 1821), Zelmira (Teatro San Carlo, Napoli, 16 dicembre 1822), Semiramide (Teatro La Fenice, Venezia, 3 febbraio 1823), Ugo Re d’Italia (progettata a Londra nel 1824, forse ne compose un atto – perduta), Il viaggio a Reims, ossia L’albergo del giglio d’oro (Théâtre des Italiens, Parigi, 19 giugno 1825), Adina (Teatro Reale São Carlos, Lisbona, 22 giugno 1826), Ivanhoé (Teatro dell’Odéon, Parigi 15 settembre 1826, pastiche), Le siège de Corinthe rifacimento di Maometto II (Académie Royale de Musique=Opéra, Parigi, 9 ottobre 1826), Moïse et Pharaon ou Le passage de la Mer Rouge, rifacimento di Mosè in Egitto (Académie Royale de Musique, Parigi, 26 marzo 1827), Le Comte Ory (Académie Royale de Musique, Parigi, 20 agosto 1828), Guillaume Tell (Académie Royale de Musique (Opéra), Parigi, 3 agosto 1829), Robert Bruce, pastiche con musiche di Rossini sulla figura di Roberto I di Scozia (Académie Royale de Musique, Parigi 3 dicembre 1846)

Musiche di scena
Edipo a Colono, prima del 1817: musiche per l’Edipo a Colono di Sofocle della traduzione fattane da Giambattista Giusti

Cantate
Il pianto d’Armonia sulla morte di Orfeo (1808), Dalle quiete e pallid’ ombre (1812), Egle ed Irene conosciuta anche come Non posso, oh Dio, resistere (1814), L’Aurora (1815), Le nozze di Teti, e di Peleo (prima esecuzione 1816), La morte di Didone (1818),Omaggio umiliato a Sua Maestà dagli… (1819), Cantata da eseguirsi la sera del dì 9 maggio 1819… (esecuzione 09/05/1819), La riconoscenza (1821), La Santa Alleanza (1822), Il vero omaggio (1822), Omaggio pastorale (1823), Il pianto delle Muse in morte di Lord Byron (1824), Cantata per il battesimo del figlio del banchiere Aguado (1827), Giovanna D’Arco (1832), Cantata in onore del Sommo Pontefice Pio IX (01/01/1847),

Inni e cori
Inno dell’Indipendenza: “Sorgi, Italia, venuta è già l’ora” (1815), De l’Italie et de la France (1825), Coro in onore del Marchese Sampieri (1830), Coro per il terzo centenario della nascita del Tasso “Santo Genio de l’itala terra” (1844), Grido di esultazione riconoscente al Sommo Pontefice Pio IX “Su fratelli, letizia si canti” (1846), Coro delle Guardia Civica di Bologna “Segna Iddio né suoi confini” (1848), Inno alla Pace “È foriera la Pace ai mortali” (1850), Hymne à Napoléon III et à son Vaillant Peuple “Dieu tout puissant” (1867),

Musica sacra
Messa (Bologna 1808), Messa (Ravenna 1808), Messa (Rimini 1809), Messa (Lugo primi anni dell’Ottocento), Laudamus
Quoniam (1813), Miserere Messa di Gloria (Napoli 1820), Preghiera “Deh tu pietoso cielo” (1820), Tantum ergo (1824), Stabat Mater (1832/42), Trois chœures religieux: La Foi, L’Espérance, La Charité (1844), Tantum ergo (1847), O salutaris hostia (1857), Laus Deo (1861), Petite messe solennelle (1863), Dixit Domino.

Musica vocale
Se il vuol la molinara (1801), Dolce aurette che spirate (1810), La mia pace io già perdei (1812), Qual voce, quai note (1813), Alla voce della gloria (1813), “Amore mi assisti” Pezzi per il Quinto Fabio (1817), Il Trovatore “Chi m’ascolta il canto usato” (1818), Il Carnevale di Venezia “Siamo ciechi, siamo nati” (1821), Beltà crudele “Amori scendete propizi al mio cuore” (1821), Canzonetta spagnuola “En medio a mis colores” o “Piangea un dì pensando” (1821), Infelice ch’io son (1821), Addio ai viennesi “Da voi parto, amate sponde” (1822), Dall’oriente l’astro del giorno (1824), Ridiamo, cantiamo che tutto sen va (1824), In giorno sì bello, Tre quartetti da camera, Les adieux à Rome “Rome pour la dernière fois”, Orage et beau temps “Sur le flots incostants” (1829-30), La passeggiata Anacreontica “Or che di fior adorno” (1831), La dichiarazione “Ch’io mai vi possa lasciar d’amare” (1834), Soirées musicales Collezione di 8 ariette e 4 duetti. (1830-1835), Deux nocturnes (1835), Nizza “Nizza, je puis sans peine” (1836), L’ame délaissée “Mon bien aimé” (1844), Inno popolare a Pio IX (1846), Francesca da Rimini “Farò come colui che piange e dice” (1848), La separazione “Muto rimase il labbro” (1857), Deux nouvelles compositions (1861).

Musica strumentale
Sei sonate a quattro (1804), Duetti per corno, Sinfonia in Re maggiore (1808), Sinfonia in Mi bemolle maggiore (1809), Variazioni in Fa maggiore a più strumenti obbligati (1809), Variazioni in Do maggiore per clarinetto obbligato e orchestra (1809), Andante e tema con variazioni per clarinetto (1812), Andante e tema con variazioni per arpa e violino (1815-22), Passo doppio per banda militare (1822), Valzer in Mi bemolle maggiore (1823), Serenata (1823), Duetto per violoncello e contrabbasso (1824), Rendez-vous de chasse (1828), Fantasia per clarinetto e pianoforte (1829), Mariage de S.A.R. le Duc d’Orléans: Trois marches militaires (1837), Scherzo per pianoforte, in la minore (1843 e 1850), Tema originale di Rossini variato per violino da Giovacchino Giovacchini (1845), Marcia (pas-redoublé) (1852), Thème de Rossini suivi de deux variations et coda par Moscheles Pere (1860), La Corona d’Italia (1868)

Péchés de vieillesse (raccolta di vari pezzi distribuiti in 14 volumi)
Volume I – Album italiano, Volume II – Album français, Volume III – Morceaux réservés, Volume IV – Quatre hors-d’œuvres et quatre mendiants, Volume V – Album pour les enfants adolescents, Volume VI – Album pour les enfants dégourdis, Volume VII – Album de chaumière, Volume VIII – Album de château, Volume IX – Album pour piano, violon, violoncello, harmonium et cor, Volume X – Miscellanée pour piano, Volume XI – Miscellanée de musique vocale, Volume XII – Quelques rien pour album, Volume XIII – Musique anodine, Volume XIV – Altri péchés de vieillesse.

(*) Avete caso che sui mezzi di comunicazione di massa non dicono “E’ morto” oppure “E’ defunto”, ma cercano sempre nuovi contorsionismi linguistici? Mah!

Band of Brothers

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Concerto di Natale per pianoforte e fanfara – Teatro Villoresi – Monza, 29 novembre 2013.
La pianista Katia Genghini e la Fanfara del III Battaglione Carabinieri “Lombardia” offriranno un bellissimo concerto, finalizzato alla raccolta fondi per la realizzazione di un Centro di ascolto e di sostegno psicologico rivolto ai reduci delle missioni di pace, ai familiari dei caduti e agli invalidi vittime del dovere, del terrorismo e della criminalità organizzata. Pertanto è prevista un’offerta libera all’ingresso.
La prenotazione è obbligatoria: potete contattare l’Associazione Vittime del dovere telefonando al n° 3665319827 nelle fasce orarie 10.00-12.00/15.00-18.00 e consultare il sito internet http://www.vittimedeldovere.it
Siate generosi!
Nota Bene: Outsider della serata, al flauto e all’ottavino l’ottimo Massimiliano Priamo Ferrara, che presta attualmente servizio presso il N.O.R.M. di Como, in vana attesa da anni – per cavilli burocratici – di essere chiamato a far parte dell’organico della Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma. La Fanfara del III Battaglione Carabinieri “Lombardia”, cui manca temporaneamente il flautista titolare, lo ha chiamato per questo concerto ed egli ha accettato con entusiasmo, anche in considerazione della buona causa cui l’evento è collegato: nonostante la distanza non piccola tra Como e Milano e i mille impegni legati al suo status militare e alla sua passione per la musica, corre alle prove ogni giorno. I colleghi, per l’occasione, hanno deciso di prestargli o regalargli ciascuno una parte della propria alta uniforme: una vera Banda di Fratelli! Siamo (quasi) commossi.

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Alta Uniforme Fanfara