2024: Capi di Stato e di Governo in visita ufficiale in Italia

Roma, 18 Gennaio 2024

(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Il Presidente della Repubblica Italiana (Sergio Mattarella) ha ricevuto – nel Palazzo del Quirinale – il Presidente della Repubblica del Kazakistan (Kassym-Jomart Tokayev). La Banda musicale dell’Esercito Italiano, diretta dal Maestro Magg. Filippo Cangiamila, ha eseguito gl’inni nazionali dei due Paesi – Menıñ Qazaqstanym, composto da Şämşi Qaldayaqov nel 1956 e adottato quale inno nazionale della Qazaqstan Respublikasy (da noi un tempo chiamato Cosacchia o Terra dei Cosacchi) nel 2006, e Il canto degli Italiani, composto e scritto, nel 1847, da Michele Novaro (che si basò su un poemetto patriottico scritto da Goffredo Mameli) e divenuto inno nazionale della Repubblica Italiana nel 2017 (de facto lo era già dal 1946) – e la marcia d’ordinanza del 3° reggimento Granatieri di Sardegna (nota con il titolo I pifferi), composta nel 1775 per quest’antica e gloriosa specialità dell’Armata Sarda poi del Regio Esercito e infine dell’Esercito Italiano. Lo schieramento d’onore ha visto impegnati, oltre alla formazione musicale principale dell’Esercito Italiano e ai militari del 1° reggimento Granatieri di Sardegna, una formazione di Corazzieri a cavallo.

video realizzato dai tecnici del laboratorio audiovisivi della Presidenza della Repubblica Italiana

Al termine dell’incontro – cui ha preso parte anche il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e Vice Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana (Antonio Tajani) – i due presidenti si sono intrattenuti a colazione. Poi il Presidente Tokayev, accompagnato dal Ministro Tajani, si è recato a Palazzo Chigi: ad accoglierlo, la Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana (Giorgia Meloni) e il Ministro della Difesa (Guido Crosetto). 

Qui lo schieramento d’onore era composto da militari della Compagnia d’Onore dell’Aeronautica Militare:

video realizzato dai tecnici del laboratorio audiovisivi della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana

La Banda musicale dell’Aeronautica Militare, diretta dal 1° Lgt. Giuseppe Fiumara, ha suonato la marcia d’ordinanza dell’Aeronautica Militare italiana: il primo direttore del Corpo Musicale della Regia Aeronautica (poi Aeronautica Militare), il Maestro Alberto Di Miniello, la compose ispirandosi al celebre balletto Amor di Romualdo Marenco:

video registrato da Luigi Bloise per Alamari Musicali in occasione di un concerto della Fanfara del Comando 1^ regione aerea, diretta dal 1° Lgt. Orch. Antonio Macciomei

Nikolajewka… Ritorno alla baita

Il racconto audiovisivo del concerto NIKOLAJEWKA…RITORNO ALLA BAITA della Musica di ordinanza della Brigata alpina Julia dell’ Esercito Italiano nell’auditorium dell’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente Stefano Sabbatini a Pozzuolo del Friuli – che non sarebbe stato possibile senza Marco Vidoni e il “suo” OverlandChannel – ha inizio con l’esecuzione della marcia di ordinanza dell’Esercito Italiano, diretta dal Graduato Aiutante Calogero Scibetta.

Questa marcia, in origine, era dedicata al Comandante della Banda dell’Esercito (Col. Francesco Pellegrini). Quando il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano (Gen. Giulio Fraticelli) ebbe modo di ascoltarlo, rimase talmente colpito dal tema principale, ispirato al Coro dei Pellegrini dal Tannhäuser di Richard Wagner, che la volle subito come Marcia d’Ordinanza dell’Esercito Italiano. Con il titolo 4 MAGGIO, data in cui nel 1861 fu fondato l’Esercito Italiano, la marcia composta dal Maestro Fulvio Creux fu presentata ufficialmente la prima volta il 29 aprile 2004 alla presenza del Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, che ne siglò l’avallo definitivo.

Poi la Musica di ordinanza della Brigata alpina Julia, diretta dal proprio Capomusica (Sergente Maggiore Flavio Mercorillo) ha eseguito un brano del noto compositore lussemburghese Georges Sadeler: DOLOMITI.

La composizione – vincitrice del VI Concorso internazionale di composizione per marce Città di Allumiere nel 2021 e del Trofeo Maestro Rossano Cardinali (fu clarinetto nella Banda musicale dell’Arma dei Carabinieri) – presenta i tratti tipici della marcia in stile nord- europeo: è costituita da una prima parte solenne, da un Trio dal tipico carattere lirico seguito da una piccola ripresa del tema iniziale che avvia la composizione verso la sua conclusione.

Jo sol stade a confessami, Olin bevi, Vin sudàt, Giovanin color di rose: sono solo alcune delle villotte friulane contenute nel medley FOLK VALZER (RAPSODIE FURLANE) eseguito dalla Musica di ordinanza della Brigata alpina “Julia” ( Esercito Italiano) durante il concerto NIKOLAJEWKA…RITORNO ALLA BAITA.

Le Villotte – composizioni polifoniche, caratterizzate da un breve testo poetico popolare, legate all’antica tradizione del canto popolare friulano – si diffusero in Friuli a partire dal XV secolo. La trascrizione più antica di una canzone friulana riporta la data del 14 aprile 1380: il testo della ballata – intitolata Piruç myò doç inculurit – era stato inserito addirittura un documento rogato, redatto da un notaio a Cividale del Friuli in quell’anno. Circa tre secoli dopo, un tale Ermes di Coloredo (Colloredo di Monte Albano, 1622 – Gorizzo di Camino al Tagliamento, 1692) trasformò la villotta da canto di tradizione orale a produzione compositiva d’autore. Due secoli oltre, le ballate friulane cominciarono a essere raccolte (a partire dal 1865 per i versi e dal 1892 per quanto riguarda la musica) e catalogate per soggetti: l’amore, la natura, l’invito sessuale, il sarcasmo, la canzonatura, la rivendicazione, la guerra, l’emigrazione. La raccolta più nota rimane, ancora oggi, quella di Adelgiso Fior (1954, Milano, ristampa anastatica a cura dell’Associazione Culturale Fûrclap 2003), che censisce circa quattrocento Villotte friulane. Tuttavia si ritiene che le Villotte siano molte di più, circa 600 con oltre 1700 varianti!

Poi il Capomusica – Sergente Maggiore Flavio Mercorillo – ha ceduto la bacchetta al Graduato Capo Giorgio Cannistrà affinché dirigesse una composizione originale per banda scritta, in tempi moderni a noi contemporanei, da un autore italiano. Incredibile, ma vero! Mi riferisco, ovviamente, al fatto che raramente i compositori italiani dedicano attenzione ai corpi bandistici.

Federico Agnello é nato in un “porto di mare” (nel senso più letterale del termine, visto e considerato che é nato ad Augusta, in provincia di Siracusa), ha musicalmente navigato dal Conservatorio Arcangelo Corelli di Messina a molti festival nazionali e internazionali di musica originale per banda ed é infine approdato al Conservatorio Francesco Antonio Bonporti di Trento (dove si sta perfezionando in strumentazione e direzione di banda). Dai luoghi di questa meravigliosa zona si é evidentemente lasciato ispirare nella composizione di un brano per il Corpo Bandistico di Andalo dal titolo FROST RHAPSODY, nel quale ha saputo descrivere talmente bene le atmosfere magiche della montagna da aver conquistato il primo premio al quinto concorso internazionale di composizione per banda giovanile Città di Sinnai (2014). L’introduzione é coinvolgente e invitante: quel tanto da invogliarci a incamminarci alla scoperta dei sentieri della montagna, seppure impervi e scoscesi. La fatica e i rischi del cammino – che si ritrovano nella parte “oscura” che segue la prima parte del brano – sono premiati dalla soddisfazione del panorama di cui si può godere una volta raggiunta la vetta (come si respira nel tema iniziale, ripreso in forma “grandiosa”). A questo punto, si palesa Frost, la leggendaria figura del gelo, rappresentato da un dolce solo di flauto e un particolare effetto di fischi (il vento?) porta la neve: una sezione dolce che, con temi sottili e fluidi, descrive prima la neve che si posa dolcemente sul terreno e poi la maestosità della montagna completamente innevata. E dalla poesia alla magia e al divertimento il passo é breve: i pupazzi di neve prendono vita e trasportano l’ascoltatore, con ritmiche e armonie cangianti, verso un finale rallegrante che descrive le attività ludiche e sportive tipiche delle vacanze invernali in montagna. Gli organizzatori di Milano Cortina 2026 e l’Ente Nazionale per il Turismo dovrebbero prenderlo in considerazione per realizzare uno spot promozionale! Oppure dovrebbero commissionarne uno nuovo al compositore e affidarne l’esecuzione alla Musica di ordinanza della Brigata alpina Julia! Come accadde, per esempio, al medico, chimico e compositore russo Aleksandr Porfir’evič Borodin. Nel 1879 gli venne affidata la realizzazione di uno dei cosiddetti dodici tableaux vivants per celebrare il giubileo d’argento dello zar Alessandro II, celebre anche per fatto espandere l’Impero russo verso est. A dire il vero, a causa del tentato omicidio dello zar (avvenuto nel mese di febbraio di quello stesso anno, nel Palazzo d’Inverno), il progetto iniziale non fu realizzato. Ma il poema sinfonico era stato composto (e fu eseguito in pubblico, proprio nel teatro del Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo – l’8 aprile 1880 – dalla Orchestra dell’Opera Russa diretta da Nikolaj Rimskij-Korsakov) ed è tuttora ben accolto nelle sale da concerto. Come in questa occasione, pressoché perfetta, a Pozzuolo del Friuli da parte dei musicisti della Julia, diretti dal Graduato scelto Antonio Tomaipitinca.

In una steppa desertica nella zona del Caucaso si ode una canzone russa poi, in lontananza, il trotto di cavalli e cammelli e una melopea orientale racconta il passaggio di una carovana di genti indigene (probabilmente di etnia armena o azera), scortata da un plotone di soldati russi. Mentre la carovana si allontana lentamente dall’ipotetico luogo in cui viene immaginificamente a trovarsi l’ascoltatore, fino a scomparire dalla linea dell’orizzonte, la canzone russa e il canto asiatico si fondono in una sola armonia che si perde nella steppa: una struttura semplice, ma oltremodo efficace, che presenta i due temi caratteristici prima indipendenti poi insieme in contrappunto, mentre le lunghe note tenute ed in ritmo di marcia evocano la traversata di un paesaggio più che vasto, senza limiti. L’arrangiamento per banda di Flavio Vicentini non ha fatto perdere tale sapienza narrativa alla composizione originale di NELLE STEPPE DELL’ASIA CENTRALE. Lo stesso si può dire dell’arrangiamento per banda che Fulvio Creux ha scritto della FANTASIA EROICA di Francesco Paolo Neglia.

Il Maestro Creux in persona così la descrive: “La Fantasia Eroica è stata scritta alla vigilia della Grande Guerra: è un grande affresco sonoro ricco di contenuto, che mai cade nella banalità o nella retorica, come avviene per molta musica coeva, specie per banda; in essa possiamo comprendere la tensione e l’ideale creativo di questo compositore, che anticipa di 10 anni la più nota esperienza dei compositori della cosiddetta “generazione dell’80”, ottenendo risultati di pregio in un’epoca nella quale il travaglio per il trapasso tra l’imperante genere lirico ed il nascente (per l’Italia) genere sinfonico era molto sentito: sapienza contrappuntistica, ricchezza armonica, eleganza melodica sono gli ingredienti capaci di fare del compositore siciliano una figura significativa della composizione musicale nel primo ‘900 in Italia. L’indicazione iniziale è “Tempo di Marcia”, ma il richiamo è solo nell’agogica, nulla di più. Ben si coglie, in questo brano, la accennata sapienza contrappuntistica dell’autore: si susseguono/alternano tre idee principali: Tema squillante (ascendente) delle Trombe, sviluppato come un Fugato; Movimento a gradi congiunti di Crome; Tema cantabile, affidato da principio ai Clarinetti, che poi tornano tutte e tre sovrapposte, nel climax
della composizione che precede (dopo aver ripreso il Tema iniziale “Inverso”, discendente questa volta) la solenne Coda conclusiva.”

Il Graduato Scelto Damiano Giacomuzzi, oltre a introdurre i brani musicali in programma, ha letto alcune parti del romanzo autobiografico di Giulio Bedeschi Centomila gavette di ghiaccio per contestualizzare, anche per mezzo della proiezione di immagini d’epoca, il dramma della battaglia di Nikolajewka e della ritirata di Russia. Tutto il programma musicale è stato, infatti, pensato per raccontare in musica quella tragica campagna militare.

Nikolajewka è la località spersa nella vasta pianura russa, dove scorre il fiume Don, divenuta famosa per la battaglia disperata ingaggiata dagli uomini della Divisione Tridentina, unitamente a quelli d’altre unità combattenti alpine, per uscire dall’accerchiamento che l’esercito sovietico aveva creato attorno a queste truppe e ad altri quarantamila sbandati sia dell’armata italiana sia delle forze alleate (tedeschi, ungheresi e rumeni). Il 26 gennaio 1943, con 30° gradi sotto zero, dopo giorni di ritirata sempre incalzati dalle truppe e dai partigiani russi, con equipaggiamento “standard”, cioè che andava bene sia in Africa sia in Russia, e con armi inadeguate (arma individuale era il moschetto mod.1891), gli alpini, quasi con un atto disperato, urlando e brandendo i fucili a mo’ di clava dopo aver terminato le munizioni, incitati dal loro comandante, il generale Riverberi, che dall’alto di un carro armato tedesco, a più riprese, urlava “Avanti Tridentina!”, riuscirono a rompere l’accerchiamento prendendo di sorpresa i russi che rimasero sbigottiti di tanta irruenza. Ma la vittoria non fu incruenta! Gli alpini, che già erano stati decimati nelle settimane precedenti dal meglio equipaggiato ed armato esercito sovietico, ma, soprattutto, dal grande gelo dell’inverno russo, lasciarono migliaia di morti e di feriti sulla neve della piana di Nikolajewka che precedeva il terrapieno della ferrovia oltre la quale si apriva la via del ritorno a casa. A Bepi De Marzi é stata sufficiente una sola parola per descrivere quel dramma, ma la narrazione da parte di Damiano Giacomuzzi l’ha trasformata in un “docufilm” che lascia il segno in chi ne ascolta l’esecuzione diretta dal Sergente Maggiore Flavio Mercorillo.

Mi ha colpito molto anche la descrizione che ne ha fatto Sergio Piovesan: “LE VOCI DI NIKOLAJEWKA non contiene un testo, ma solo una parola, Nikolajewka, che scandisce la musica di questo canto con una melodia minimamente ispirata alla musica popolare russa, una melodia che, sembrando provenire da lontano, ricorda dapprima il miraggio della salvezza che per molti, invece, termina con le urla di chi è senza speranza; sono quindi le voci della disperazione che ci vogliono ricordare quanto la guerra sia crudele, brutale e disumana, qualsiasi guerra, anche quella che oggi è considerata “giusta”. Non esistono guerre di questo tipo! Fu, quella che terminò 60 anni fa, una guerra che sconvolse il mondo e che procurò immani sofferenze ai soldati, alle popolazioni civili ed alle comunità ebraiche. E noi cantiamo LE VOCI DI NIKOLAJEWKA, e lo canteremo sempre, invitando il pubblico ad ascoltare il brano nello spirito del ricordo e come ammonimento per adoperarsi tutti affinché non vi siano altre “Nikolajewke”.”

Fu un’altra guerra (la cosiddetta Grande Guerra, la Prima Guerra Mondiale) a ispirare Arturo Zardini, un maestro di Pontebba (paese che, all’epoca, si trovava sul confine italo-austriaco: l’abitato dall’altra parte del fiume che segnava la linea di demarcazione si chiamava Pontafel) profugo a Firenze. Forse proprio in Piazza della Signoria, leggendo sul giornale le notizie delle stragi che avvenivano al fronte, lo Zardini, commosso e rattristato da quelle vicende, trasse l’ispirazione del testo e della musica. STELUTIS ALPINIS é, infatti, un canto d’autore. Da molti è ritenuto di origine popolare (caratteristica comune a tutti quei canti che, nel testo e nella musica, raggiungono livelli di poesia tanto alta da diventare patrimonio di tutto il popolo), ma popolare lo divenne subito dopo: fu fatto proprio dagli Alpini, sia friulani sia di altre regioni, e ancora oggi é considerato il canto simbolo non solo delle truppe alpine, ma anche del popolo friulano. La Musica di ordinanza della Brigata alpina Julia ne ha eseguito l’arrangiamento per banda di Paolo Frizzarin,

È un compendio di sofferenze, di dedizioni, di intimità, di affetti, di certezze. Non più canto, non villotta, ma preghiera profonda e, nello stesso tempo, semplice ed umana. Ma per i Friulani non é soltanto il canto dell’Alpino morto, ma un inno per la loro terra che, dopo quella immane tragedia, ha vissuto (affrontandole sempre con dignità e superandole, spesso proprio con l’aiuto degli Alpini della Brigata Julia) altre sofferenze: un’altra guerra, invasioni straniere, lotte fratricide, dolorose emigrazioni, terremoti…

Inevitabilmente, mentre scrivo, il mio pensiero va alle vittime, ai feriti, ai dispersi e ai soccorritori impegnati nelle aree del Kurdistan settentrionale e occidentale, della Siria e della Turchia colpite – proprio poche ore dopo la fine del concerto NIKOLAJEWKA…RITORNO ALLA BAITA. Zone già straziate da guerre fratricide. Zone in cui, probabilmente, i nostri Alpini potrebbero portare fratellanza e pace mentre soccorrono e ricostruiscono. Come hanno sempre fatto. Come tutti, nel mondo, gli riconoscono. Con il VALORE ALPINO

VALORE ALPINO, nota anche come Trentatré, fu scritta per il battaglione Susa da Eugenio Palazzi (le parole sono, invece, di Camillo Fabiano), ispirato a una canzonetta francese intitolata Fìers Alpins, e prese subito una tal voga da essere. cantato da tutte le truppe alpine al fronte durante la Grande Guerra fino a diventarne canto ufficiale e marcia di ordinanza.

Ben altra storia ha IL CANTO DEGLI ITALIANI (scritto e composto nel 1847 da Michele Novaro e basato su poemetto patriottico di Goffredo Mameli), inno nazionale della Repubblica Italiana, con cui si é concluso il concerto.

Ma é, per l’appunto, tutta ‘nata storia che non starò qui a raccontarvi.

Era il 4 Novembre, dopotutto!

4 novembre locandina

Lo scorso 4 Novembre si è ripetuto il consueto calendario di appuntamenti e celebrazioni. Lontani dai fasti della reggenza La Russa del ministero della Difesa e dalle caratteristiche esposizioni di mezzi e installazioni espositive, sono tornate quanto meno in auge – sebbene in forma più contenuta, per adeguarsi alla “spending review” – l’apertura delle caserme e i concerti di bande e fanfare militari in molte piazze d’Italia.

Nella Capitale d’Italia, alla tradizionale deposizione della corona d’alloro al sacello del Milite ignoto sull’Altare della Patria (resa ancora più solenne dalle note musicali della Banda Musicale dell’Esercito, diretta dal Cap. M° Antonella Bona) è seguita, poche ore dopo, una nuova cerimonia in piazza del Quirinale. Lo spirito che ci si era prefissati per questa seconda manifestazione era quello dell’incontro tra militari e cittadini in un comune abbraccio, all’ombra del Quirinale, in concomitanza dell’inaugurazione di un’opera scultorea dedicata ai Caduti: una lunga lapide che reca i nomi dei centosettantacinque militari italiani caduti nelle missioni di pace del secondo dopo guerra, dalla guerra di Corea – in cui l’Italia inviò rappresentanze ed assetti del Corpo militare CRI – fino ai monti dell’Afghanistan. L’opera, articolata su diversi pannelli, fa certamente riflettere…specie in termini di proporzione: la prima lunga schiera di caduti – tutti nella stessa data – sono gli aviatori di Kindu; seguono, alla spicciolata, casi sporadici di incidenti considerabili, seppur nella loro tragicità, “di routine”; il marò Filippo Montesi, caduto in Libano nel 1982, apre il triste capitolo delle missioni fuori area degli ultimi trent’anni; seguono i nomi dei caduti nei Balcani, l’equipaggio di Lyra 34 e via via fino ai Caduti a Nassirya, in Iraq e in Afghanistan (tra i quali c’è anche il nome di DAVID – e non DAVIDE! – Tobini).

david tobini

L’opera “Angeli degli Eroi” di Flavio Favelli, con l’auspicio di non doverne aggiornare la tragica contabilità, è stata poi traslata nel sacrario delle bandiere del vittoriano dove sono esposte le bandiere di tutti i reparti militari sciolti dopo le guerre o dopo i recenti “salassi” di bilancio. Sebbene significativa, la lapide e il suo significato appaiono fin troppo ispirati all’analogo muro in granito nero che – a Washington DC – reca i nomi dei quasi centomila caduti americani nella guerra del Vietnam, ma – a differenza dell’installazione che l’ha ispirata – essa non sarà all’aperto bensì rimarrà custodita in un simulacro certamente significativo, ma sconosciuto ai più e destinato a rimanere tale. Se non altro sarà al riparo dagli atti vandalici che l’opera omologa della capitale americana non rischia, essendo affidata ad un popolo che persino nelle sconfitte evita di trascinare la propria bandiera nell’incandescenza delle polemiche. Data la natura di quest’opera, erano presenti alla cerimonia moltissimi parenti dei caduti e a loro è stato riservato un posto di prima importanza nello schieramento in piazza del Quirinale. Dopo la deposizione del cuscino di fiori il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella si è intrattenuto, rientrando nel palazzo, con alcuni reduci e con i parenti di alcuni caduti e ha ricevuto una sonora contestazione da uno di essi, rimasto anonimo e allontanatosi subito dopo. Momenti di tensione per il cerimoniale, dunque, che non ha trovato modo alcuno di lenire lo sfogo di questo giovane parente, con gli occhiali scuri sotto ai quali asciugava costantemente lacrime con la mano, che lamentava qualcosa come una medaglia mancata e la disparità di trattamento tra il “suo” caduto e quelli degli altri. Nulla si è saputo di più e, nel frattempo – com’è d’uso in questi casi – il Capo dello Stato e il Ministro della Difesa Roberta Pinotti hanno proseguito a salutare i bambini delle scolaresche, simulando indifferenza. Sono questi i rischi che si corrono a comprimere la società civile nel cerimoniale militare e cristallizzare il dolore privato di tante famiglie nel dominio pubblico delle date solenni. Serva di lezione! Rientrate le autorità nel Palazzo del Quirinale, sono state tolte le transenne e – come previsto dallo spirito della manifestazione – i parenti e gli altri civili hanno raggiunto i militari che avevano animato la cerimonia. I parenti dei caduti hanno potuto avvicinarsi alla grande lapide: l’hanno contemplata in silenzio, accarezzando il nome dei figli, e alcuni tra loro non riuscivano a trattenere le lacrime. E, a pochi metri, la Banda Musicale Interforze eseguiva marcette briose… L’atmosfera era quantomeno surreale.

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La banda interforze è una compagine musicale che nasce dall’esigenza di non fare torti a nessuna delle principali bande militari, che – per motivi di bilancio – non ci sarebbe modo di far suonare tutte insieme poiché ciascuna di esse è composta da un centinaio di orchestrali. Vengono quindi chiamati in servizio una manciata di musicisti da ognuna delle bande militari cosiddette “ministeriali” o “centrali” (Aeronautica Militare, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Esercito e Marina Militare) per comporne una di una quarantina di strumentisti, diretti – a rotazione – dal Maestro Direttore di una delle suddette bande musicali.

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Il Ten.Col. M° Patrizio Esposito, direttore della Banda Musicale dell’Aeronautica Militare, ha pertanto diretto quella composta per il 4 Novembre. Tale formazione musicale, data la solennità dell’occasione in questione e delle altre a cui viene solitamente impegnata, ha indossato l’alta uniforme, esponendo pertanto una variopinta gamma di pennacchi, chepì e lucerne, giacche verdi della Finanza, code di rondine dei Carabinieri, code blu e oro della Marina e l’uniforme – indubbiamente troppo “da serata di gala” – dell’Aeronautica (frac e papillon). L’assortimento casuale della Banda Interforze e la rotazione, secondo le esigenze dei complessi musicali di appartenenza e secondo i turni di servizio, dei suoi musicisti comporta l’impossibilità di effettuare prove e di collaudare arrangiamenti ed esecuzioni: questo rende inevitabile e persino opportuno il dover ripiegare la scelta su pochi brani standard, che non sempre risultano consoni con l’occasione.

Il concerto – durato una ventina di minuti – che ha concluso la cerimonia dello scorso 4 novembre ha infatti sacrificato infatti il repertorio musicale tradizionale italiano in favore della ballabile Carmen di George Bizet, dell’onnipresente Guillaume Tell di Gioachino Rossini e delle tipiche marce americane di John Philip Sousa (dal sapore, forse, un po’ commerciale data la loro internazionalità), lasciando nella “lista dei desideri” brani certamente più adatti magari tratti dal canzoniere risorgimentale o dai canti della Grande Guerra e, in particolare, “Le Campane di San Giusto” (era il 4 novembre, dopotutto!).

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Soltanto la grande professionalità e l’ottima preparazione accademica e artistica degli orchestrali e del maestro direttore hanno fatto si che, complessivamente, la qualità dell’esecuzione fosse buona. I musicisti militari (peraltro applauditissimi dalle ormai immancabili scolaresche, composte soprattutto da alunni della Scuola Primaria) hanno tamponato le sbavature di una cerimonia altrimenti improvvisata e concettualmente un po’ confusa tra festa e ricordo, brio e commozione, lacrime e rabbia…

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Sorvoliamo…come la straordinaria Pattuglia Acrobatica Nazionale delle Frecce Tricolori! Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Viva le Forze Armate! Viva gli Italiani!

Articolo di Marco Potenziani e Claudia Giannini per Alamari Musicali

Filmati di Marco Potenziani per Alamari Musicali

Fotografie di Paolo Giandotti, Marco Potenziani e Davide Fracassi per Alamari Musicali