Monte Canino

Matajur-M.Nero

Il Monte Canin (Mont Cjanine in friulano, Kanin in sloveno, Cjanôn in resiano) è l’ultimo massiccio montuoso delle Alpi Giulie in territorio italiano: esso segna infatti l’odierno confine tra i comuni di Resia e Chiusaforte, facenti parte della provincia di Udine, e il comune di Plezzo, appartenente alla Slovenia. Il Canin non è una vera e propria vetta, ma è costituito da un colossale altopiano calcareo, formato da cime che raggiungono altezze variabili tra i milleottocento e i duemilatrecento metri, che culmina in una larga cresta che lo percorre in tutta la sua estensione e assume, a Sud, le sembianze di un grande mare di roccia. Le correnti umide meridionali portate principalmente dai venti di Libeccio e di Scirocco, non incontrando prima di esso alcun ostacolo, impattano direttamente con le rocce dell’altopiano causando precipitazioni di carattere piovoso molto intense, stimabili tra i tremila e i tremilacinquecento millimetri annui. All’alto tasso di piovosità corrispondono elevate frequenza e quantità di precipitazioni di tipo nevoso durante la stagione invernale: questa effettivamente rappresenta la zona più nevosa di tutto l’arco alpino, seconda soltanto ad alcune vette della non lontana Stiria. La continua opera di dissoluzione delle rocce da parte dell’acqua ha causato la formazione di caverne, foibe, grotte, orridi, pozzi e altri fenomeni carsici che hanno reso famosa la zona anche a livello internazionale: le sue abissali profondità che in alcuni casi raggiungono i mille metri, costituiscono infatti motivo di interesse per molti studiosi e speleologi. Sin dal 1521 le alte creste del Canin segnavano il confine tra i territori appartenenti alla Serenissima Repubblica di Venezia e quelli dipendenti dall’Impero Asburgico, ma fu dal 1861 che esse divennero linea di confine tra il Regno d’Italia e l’Impero Austroungarico e assunsero una sempre maggiore importanza dal punto di vista strategico per la difesa della Val di Resia e del Canal del Ferro. Il confine naturale italo-austriaco scendeva infatti dalle Alpi Carniche e Giulie fino al torrente Pontebbana – affluente del fiume Fella, che versa le sue acque nel Tagliamento – che rappresentava il confine di Stato vero e proprio e divideva letteralmente in due il centro abitato e l’importante snodo ferroviario di Pontebba: da una parte la Pontebba italiana e dall’altra la Pontafel austriaca, ognuna col suo fascio di binari. Le principali linee ferroviarie sul confine orientale erano la Ferrovia Destra Tagliamento  Casarsa-Spilimbergo-Pinzano-Gemona, la Wocheinerbahn Jesenice-Tolmino-Gorizia-Trieste, la Sudbahn Lubiana-Postumia-Pivka-Divaca-Sezana-Trieste e, soprattutto, la cosiddetta Rodolfiana o Pontebbana che si diramava in due tratte di grande importanza per il territorio austriaco Pontafel-Tarvisio-Fusine Val Romana-Kranjskagora-Lubiana e Pontafel-Udine-Tarvisio-Villach-Klagenfurt-Vienna e un ramo nel territorio italiano Pontebba-Carnia-Tolmezzo-Villa Santina da cui partivano le tramvie decauville a scartamento ridotto Villa Santina-Comeglians, Villa Santina-Ampezzo e Tolmezzo-Paluzza Moscardo che giungevano fin sotto le future retrovie del fronte carnico. Il patto militare stipulato a Vienna il 20 maggio 1882, col quale gli imperi di Austria e Germania accolsero il Regno d’Italia nella Duplice Alleanza che prese dunque il nome di Triplice Alleanza, proibiva la costruzione di nuovi edifici militari nelle rispettive aree di confine. Tale vincolo sfavoriva non poco la posizione italiana: gli Austriaci potevano infatti contare sui preesistenti Forti Hensel a Malborghetto, Kluze a Bovec (odierna Plezzo) e Raibl sul Passo Predil – costruiti in epoca napoleonica – e sul nuovo Forte Hermann sulla cima del Monte Rombon. Per eludere questa clausola del trattato, gli Italiani innalzarono alcuni edifici che denominavano ricoveri e che venivano descritti e dichiarati come ospedali. In realtà i ricoveri alpini costituivano il cosiddetto Ridotto Carnico: un vero e proprio sistema difensivo d’alta quota che venne realizzato, negli anni precedenti il primo conflitto mondiale, per il presidio delle montagne delle Alpi Carniche e delle Alpi Giulie adiacenti il confine orientale lungo un percorso che andava dal massiccio del Canin a quello dello Zuc Dal Bor. Il principale di questi edifici, costruito a partire  dal 1904 a Chiusaforte, sarebbe effettivamente diventato sede del Comando Militare Italiano, da cui partivano i rifornimenti diretti alla Val Dogna, alla Val Raccolana, a Sella Nevea e al Canin. Sulla Sella Bila Pec fu invece realizzato dal regio esercito di un ricovero alpino su due piani con alloggi per circa centocinquanta persone e dotato di sistema idrico, servizi e magazzini che era possibile rifornire grazie a una teleferica. Tali costruzioni si devono soprattutto agli uomini dei reparti del Genio Militare, del Reggimento Minatori e del Reggimento Zappatori, che si trovavano ancora a operare in quei siti al momento dell’entrata in guerra dell’Italia nella primavera del 1915 (la Prima Guerra Mondiale scoppiò in realtà nel 1914). Al confine di Pontebba e nelle zone limitrofe era di stanza il I Reggimento Alpini: sulla linea di cresta Cule Tarond-Due Pizzi-Piper-Jof di Melegnot-Sella di Somdogna erano dislocate le “penne nere” dei battaglioni Gemona e Fella mentre in Val Raccolana e sulla Sella Nevea, al fianco dei reggimenti di Bersaglieri e di Artiglieri che sarebbero stati oltremodo impegnati per tutta la durata del conflittto, erano invece posizionati gli alpini dei battaglioni Pieve di Teco, Val Arroscia e Monte Canin. Proprio alle batterie da montagna e alle cosiddette “someggiate” – non soltanto le vettovaglie, ma anche gran parte degli armamenti compresi mitragliatrici, obici e cannoni venivano infatti portati in quota a spalla e a traino dai soldati o sulla soma di cavalli e muli, di cui erano dotate queste ultime – di tali battaglioni alpini venne dato l’ordine di assicurarsi il possesso dei punti chiave della linea di confine orientale. Nei primi giorni di guerra furono conquistate, dopo aspri combattimenti, le “selle” Prevala, Robon e Nevea poi il Monte Guarda, la Casera Caal e l’altopiano a sud del Canin fino alla Kaninhutte. A quegli stessi uomini toccò quindi il faticoso compito di costruire nuovi sistemi difensivi e nuovi ricoveri e di realizzare nuovi sentieri e gallerie che permettessero di raggiungere le linee di combattimento in quota. Particolare importanza avrebbero avuto il presidio fortificato sulla Sella Prevala – unico valico che collegava l’altopiano del Canin alla conca di Plezzo – e il sentiero dell’Aquila, che collegava la Sella Prevala al Monte Rombon*) Nel periodo primaverile e per tutta l’estate successiva perdurarono le ostilità: agguati nella nebbia, assalti notturni, fuoco incessante delle artiglierie, bombardamenti e cannoneggiamenti che sembravano infiniti poi terribili combattimenti corpo a corpo con pugnali e baionette…una vera barbarie che causò migliaia di vittime…ma la morte li trovava vivi! Arrivarono le piogge autunnali – di cui si parlava prima – che costringevano gli uni a rifugiarsi nelle caverne e nei ripari e gli altri a tentare inutili e snervanti assedii: molti dei sopravvissuti si ammalarono…ancora però non avevano fatto la conoscenza del solito Generale Inverno: le nevicate abbondanti e le violente tormente distrussero le teleferiche e le linee telefoniche e resero le strade e i sentieri impraticabili per settimane; le provviste si esaurirono; le temperature polari fecero il resto. La morte bianca decimò i soldati senza distinzione alcuna di grado nè di schieramento: dalle Alpi Carniche e Giulie essa portò via con sè oltre dodicimila uomini.

Era la neve l’unica cosa che davvero non sarebbe mancata, anche sotto l’incessante rombo dei cannoni, alle migliaia di Alpini che erano giunti, nel mese di aprile del 1915, sul massiccio montuoso del Canin dopo tre giorni di viaggio in treno e due giorni di cammino su per le sue erte rocciose: l’avevo presagito l’ignoto autore del canto alpino Monte Canino. Ricordare i propri affetti, bere la neve e cantare – nonostante tutto – con un pizzico di amara ironia significò per lui la salvezza: della vita e della dignità umana. Si accorse infatti che un centinaio di metri da lui c’era un uomo che come lui, seppure indossasse una divisa dal colore diverso e parlasse un’altra lingua, era sceso da un treno, probabilmente a Tarvisio, dopo un lungo viaggio ed era salito per un erta di montagna, probabilmente la Seebach per Predil fino al Deutsche Kanzel, ed anche lui era arrivato fin lassù per lo stesso motivo…e anche lui probabilmente, per farsi coraggio, stava tentando di ricordare la vita semplice – ma in confronto a ora agiata – e la giovinezza spensierata e la propria fidanzata lontana…e forse anche lui sta sussurrando tra sè e sè una timida canzone…

E così la mente dell’Alpino torna indietro nel tempo…

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Il rumore della ferraglia (ricordate La Tradotta?) che corre sui binari martella oramai da tre giorni il cervello dell’alpino: i suoi occhi, tra sbuffi di fumo, vedono ormai solo pianura e lontane cime con l’ultima neve di primavera…poi il frastuono si fa sordo perchè il treno sta passando sul ponte di uno dei grandi corsi che solcano la piana del Po’: l’Adda, l’Oglio, il Ticino… e poi l’Adige, il Brenta , il Piave e infine il Tagliamento e il convoglio punta verso i monti. Dapprima le alture sembrano dipinte di un timido verde poi si sale sulle Alpi Giulie e il bianco della neve si confonde con l’azzurro del cielo. I freni stridono ed i macchinisti fermano il treno ad una piccola stazione alla confluenza di due valli: il borgo è ordinato e incorniciato dai rettangoli di terra coltivata che danno da vivere ai suoi abitanti (siete mai stati in Veneto o in Friuli?). Gli Alpini scendono dai vagoni e la momentanea confusione viene ben presto interrotta dagli ordini secchi e precisi degli ufficiali: il reparto viene inquadrato e sistemato in ordine di marcia e le Compagnie, suddivise per Plotoni, iniziano il trasferimento a piedi. Il profumo dell’aria pulita gli fa dimenticare l’odore del carbone bruciato nella caldaia della locomotiva e nelle sue orecchie entra il ritmo cadenzato delle scarpe chiodate di dieci, cento, mille suoi simili: la lunga colonna di fanti sale la mulattiera in mezzo alle pinete prealpine e dopo un’ora transita davanti ad una postazione di artiglieria dove sono sistemati i quattro cannoni da 75 mm della batteria del monte Staulizze ed è il primo segnale che ricorda all’alpino il motivo della sua presenza in questo angolo delle Alpi (la guerra!). Il reparto prosegue e sosta agli stavoli di Ruschis:  pochi anziani e qualche donna iniziano i primi lavori di primavera e alcuni ragazzini, presi da naturale curiosità, corrono verso la colonna in marcia, vociando tra loro in una lingua tanto incomprensibile quanto basta a far pensare all’alpino di esser entrato in una terra straniera prima ancora di iniziare una guerra. I boschi appaiono ancora curati dalla mano dell’uomo il giallo del fiore di tarassaco annuncia l’arrivo della bella stagione come il canto del cuculo che scende da Plagna: ora la mulattiera si snoda lungo la catena displuviale tra il Canal del Ferro e la Val Resia. La marcia prosegue fino a Sella Sagata dove una seconda batteria di cannoni rinnova il monito agli Alpini. L’acqua fresca del torrente Brussin disseta i soldati che poi continuano a camminare attraverso il bosco alla volta del tornante di Cöpe disseminato di trincee e qui, dopo solo qualche rampa il profumo del bosco lascia il posto ad una follata di putrido vento gelido che, come uno schiaffo improvviso, percuote le narici in vista del pianoro di Ćänytaua, una piccola radura disseminata di croci e freschi tumuli di terra smossa, ingentilita con qualche raffazzonato mazzo di rododendro innalzato per dare una degna sepoltura ai primi eroici giovanotti che su quei monti hanno già donato, per la causa italiana, la loro tenera vita. Poco lontano si sentono i lamenti dei soldati feriti provenienti dalla prima linea e curati nell’angusto riparo di sasso adibito ad ospedale da campo sotto il Tulste Uar – cima montuosa alle spalle di Prato intrisa di sudore, fatica e sangue e ambìto punto strategico di osservazione da dove poter controllare ogni movimento nella valle di Resia e del Fella giù fino a Moggio e oltre. Ma non ci si può fermare: non c’è tempo da perdere! Bisogna raggiungere le postazioni sul fronte e dare il cambio a chi da troppo tempo è lassù…ma in un rio, approfittando della sosta per abbeverare i muli, qualcuno decide di lasciare un segno indelebile incidendo su una pietra il nome del reggimento alpini in transito verso Pust Gost. L’altopiano, molto ampio, è immerso nel primo verde delle faggete: quella che da Resiutta sembrava una cima lontana ora diventa imponente mentre i paesi a fondovalle sono rimpiccioliti. Il Canin ora è proprio davanti agli occhi dell’alpino ed è là ch’egli sta andando a “vivere”, combattere e morire. La mulattiera s’inerpica, il verde del faggio si trasforma e lascia posto al pino mugo ed a qualche sporadico larice: adesso la fatica si fa sentire anche nelle gambe di chi ha vent’anni. Un ultimo sforzo ancora e la Compagnia arriva a Sella Labuia: sopra una cresta affilata, in posizione alquanto ardita, c’è un’altra batteria di cannoni e sulla sella domina una costruzione fuori misura . Il nome Regina Margherita suona dolce come il riposo che si è meritato l’alpino: il sole affresca di effimero color rosa la Canina Alpe ed i soldati si apprestano a passare la notte nel grande rifugio. La mattina seguente, il sonno del soldato viene malamente interrotto dalla voce del sergente: SvegliaZaino e 91 in spalla! Si riparte! Il sentiero ora si snoda e taglia in mezzo i prati quasi verticali della cresta Indrinizza: i canaloni sono ancora carichi di neve e dopo una breve salita si fa vedere il maestoso versante meridionale del Sart. Un paesaggio quasi lunare gli si prospetta dinanzi, una distesa di roccia mista a neve che sembra non avere fine: il Foran dal Muss. Dall’altra parte della valle, sopra l’altipiano svetta la stupenda mole del Jof di Montasio. La colonna fa una sosta al nuovo ricovero di Sella Canin: sotto di loro si apre l’ampio vallone del Prevala immerso nella neve. La marcia prosegue verso Sella Prevala: reticolati e muri a secco, caverne e baraccamenti sono il segnale che al valico si vive e la guerra è molto più vicina. Gli Alpini marciano ancora: un paio di ore ancora sopra il Pian delle Lope poi sotto il Cergnala fino alla Cima Confine e la fila in grigioverde arriva a destinazione. Sella Robon: Zaino a terra! e dopo la fatica arrivano la fame e la sete. Il calcare del Canin lassù si beve tutta l’acqua per restituirla soltanto mille metri più in basso ed allora si scioglie un po’ di neve nella gavetta. Le salmerie non sono ancora arrivate e lo sguardo dell’alpino si perde verso lo Jof Fuart mentre un paio di grammi di tabacco avvolto in una cartina lo aiutano a pensare ad altro. L’impero degli Asburgo è dall’altra parte e lì si sta inchiodati uno di fronte all’altro per un tempo indefinito che non trascorre mai.

Questo è il Coro della Brigata Alpina Julia http://youtu.be/vy7fs_TDoUw

« Non ti ricordi quel mese d’aprile quel lungo treno che andava al confine e trasportava migliaia degli alpini su su correte è ora di partir. Dopo tre giorni di strada ferrata ed altri due di lungo cammino siamo arrivati sul monte Canino e a ciel sereno ci tocca riposar. Non più coperte, lenzuola pulite…non più l’ebrezza dei dolci tuoi baci…solo si sentono gli uccelli rapaci fra la tormenta e il rombo del cannon. Se avete fame guardate lontano, se avete sete la tazza alla mano…se avete sete la tazza alla mano che ci rinfresca la neve ci sarà.»

*) Dopo la disfatta di Caporetto dal Monte Rombon, proprio percorrendo il Sentiero dell’Aquila, una colonna dell’esercito austriaco raggiunse Sella Prevala. Gli Alpini opposero un’accanita resistenza ed erano pronti al contrattacco agli ordini del colonnello Cavarzerani, ma – a causa dell’avanzata delle truppe austro-tedesche sul fronte del fiume Isonzo e sul fronte di Sella Nevea – fu loro ordinato di lasciare il Canino e di ripiegare fino a Chiusaforte attraversando, nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 1917, le “selle” Bila Pec, Grubia e Buia.

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NOTA BENE: Si ringrazia Lorenzo Barbarino che con il suo Con gli alpini in marcia verso il monte Canin  ha accompagnato e ispirato il mio “lavoro” idealmente accanto a quei soldati di trincea improvvisati poeti.

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In alternativa al brano di cui sopra, propongo la versione eseguita dal coro della SAT  (Società Alpinisti Tridentini), che è il più celebre tra i cori maschili italiani comunemente chiamati “di montagna”. http://youtu.be/RDVBVtBiRyU

The Butterfly Lovers

<<Una fanciulla cinese appartenente a una famiglia benestante è costretta a indossare abiti maschili e a fingersi uomo per poter studiare. Durante il periodo dei suoi studi ella ha modo di frequentare, come amico, un giovane e se ne innamora perdutamente e segretamente, non potendo rivelargli la sua vera identità di genere. Quando i genitori la richiamano a casa, il suo amico si offre di accompagnarla (anzi accompagnarlo) nel viaggio e la fanciulla ne approfitta per tentare di spiegargli la sua storia e cerca invano di fargli capire che colui che egli crede un amico è in realtà la donna che lo ama. Poiché il giovanotto non capisce la situazione, ella pensa a un’escamotage: parla di se stessa descrivendosi come la propria sorella minore e suggerisce all’amico di chiederla in moglie ai suoi genitori. Purtroppo, al suo arrivo nella casa paterna, la fanciulla scopre che suo padre l’ha già promessa al figlio di un ricco mercante. La situazione precipita e il giovane amico finalmente scopre la sua identità e si accorge di essere innamorato di lei, ma i due sono obbligati a rispettare le usanze e il volere dei genitori di lei e sono costretti a separarsi. Il giovane muore, col cuore spezzato dal dolore per la separazione forzata. Il giorno delle nozze, la fanciulla si reca sulla tomba dell’amato. Il cielo si incupisce al pari almeno dell’animo di lei. Un tuono sottolinea il suo turbamento e un fulmine colpisce la tomba del giovine, scoperchiandola. Ella vi si lascia cadere dentro, affranta. Un secondo fulmine colpisce dunque quel luogo di amore e morte: ne escono due farfalle che rappresentano le anime dei due giovani finalmente libere di volare insieme verso un comune destino d’amore.>>: questa la trama di “The Butterfly Lovers” di Hendrick Anna Christiaan Mertens altrimenti detto Hardy Martens. Per entrare nello spirito di questo racconto leggendario, Mertens si è avvalso di varie scene musicali che partono dal rombo del tuono finale e ripercorrono a ritroso le diverse fasi della vicenda sentimentale trasponendole in situazioni musicali: le farfalle sono rappresentate dal velato suono di particolari strumenti a percussione, mentre l’accorato suono del violino, imitando quello di antichi strumenti musicali orientali, descrive ansie, desideri, speranze e turbamenti della fanciulla. Il violino solista, che in questo caso è affidato a Elisabetta Cananzi, si mescola alle diverse voci della Banda Musicale dell’Esercito, ma questa si fa a tratti ritmica e aggressiva rappresentando di volta in volta l’oppressione esterna e la ribellione interiore dei due giovani. Nel momento conclusivo del brano torna la “farfalla”, ma soltanto per svanire nel sogno lasciando l’ascoltatore immerso nel silenzio della propria anima.

Sarebbe stato bello e auspicabile poter ascoltare per l’appunto in silenzio questo brano molto bello e particolare,

ma non di facilissimo ascolto…ma molte delle spettatrici presenti al concerto hanno dovuto portarsi appresso i bambini anche molto piccoli, che ovviamente hanno portato del tenero scompiglio in platea disturbando la registrazione audiovisiva del brano: noi ve la proponiamo quasi integralmente perché in fondo i colpetti di tosse o i pianti dei bambini piccoli fanno parte integrante della vita delle donne ed è giusto che se ne dia conto in qualche modo.

Concerto in memoria di Olivio Di Domenico

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Nel corso del 2013 lo “studente” Alessandro Celardi (*) – iscritto alla Scuola di strumentazione e direzione per banda del Conservatorio di Musica Licinio Refice di Frosinone – scelse come argomento della propria tesi di laurea del biennio specialistico – di “concerto” con la docente M° Antonia Sarcina (**) – un personaggio assai noto nel mondo della musica militare italiana: il M° Olivio Di Domenico.

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Il Maestro Olivio Di Domenico nacque a Sacrofano (***) – cittadina che sorge nella zona detta del Parco di Veio situata a nord di Roma, tra la via Cassia e la via Flaminia – il 22 ottobre 1925. Nel 1959 succedette al Maestro Antonio D’Elia (un uomo, un mito) alla direzione della Banda Musicale della Guardia di Finanza, che seppe riorganizzare mostrando un eccezionale acume artistico e spessore umano e che condusse in numerose e applauditissime tournée in Italia e in Europa  fino al 1979, anno in cui si congedò dal Corpo per dedicarsi all’insegnamento. Nel 1980 divenne infatti Docente di Composizione e Strumentazione per Banda al Conservatorio di Musica Santa Cecilia di Roma dove ricoprì anche l’ambito incarico di Vice Direttore. Egli scrisse musica didattica, musica da camera, musica d’occasione, inni e marce. Per molti anni fu anche direttore della storica Banda Municipale degli Autoferrotranvieri di Roma (A.T.A.C.):  egli la guidò durante l’esibizione al cospetto di papa Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo nel 2000 e continuò a condurla fino al suo scioglimento, nel 2004. Il Maestro Di Domenico morì, per l’anagrafe, il 20 maggio 2010: in realtà le sue indubbie qualità artistiche, morali e professionali pervadono la musica frizzante e divertente, composta ispirandosi alle tecniche del dodecafonismo di Anton Webern e di Paul Hindemith, che ci ha lasciato in eredità e con essa egli continua a vivere.

Probabilmente questo motivo ha spinto il M° Alessandro Celardi, che nel frattempo ha conseguito la laurea di biennio presso il Conservatorio di Musica Licinio Refice di Frosinone, a revisionare alcuni brani del suo repertorio quali Concerto per banda  e Strutture 70 adattandoli all’organico moderno di tipo standard per renderli più fruibili da tutti i complessi bandistici militari e civili dei giorni nostri.

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Dobbiamo dunque a questo brillante giovane direttore e all’impegno del M° Antonia Sarcina la “riscoperta” di questo patrimonio musicale italiano che non deve andare perduto: ottima, a tale scopo, l’idea di organizzare un concerto aperto al pubblico anziché ai soli “addetti ai lavori”. E il pubblico ha dimostrato il proprio gradimento accorrendo numeroso, nonostante la concomitanza dell’evento con il Festival della Canzone Italiana di Sanremo e della partita di calcio Bologna – Roma, presso il bellissimo Teatro Palladium (****) (altro pezzo della storia di Roma situato nel quartiere della Garbatella) che l’Università degli Studi Roma Tre ha intelligentemente messo a disposizione dell’evento.

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Fortunatamente per noi il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri ha concesso che all’evento prendesse parte la Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma. E così tra il folto pubblico – insieme alla vedova del Maestro Olivio Di Domenico, ad autorità civili e militari, a docenti universitari, a docenti dei conservatori di musica di Frosinone e di Roma, a musicisti militari (per l’occasione in abiti civili poiché in veste di spettatori) e direttori di bande delle forze armate e dei corpi di polizia (in particolare abbiamo notato la presenza di Giovanni Maria Narduzzi, direttore Banda Musicale del Corpo della Polizia Locale di Roma Capitale, e di Fulvio Creux e Antonella Bona, rispettivamente direttore e vicedirettore della Banda Musicale dell’Esercito) – siamo finiti anche noi di Alamari Musicali.

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Grazie alla gentile concessione degli Enti e delle persone sopra citate abbiamo avuto modo di assistere all’esecuzione dei suddetti tre brani composti da Olivio Di Domenico (Gli Accademisti http://youtu.be/x5p4D5o3NlU, Strutture 70 http://youtu.be/dQHJjW66-rE e Concerto per banda http://youtu.be/–557SYt0UY) eseguiti dalla Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma, diretta per l’occasione dal giovane M° Alessandro Celardi e arricchiti dalla presenza di alcuni ottimi musicisti provenienti dal medesimo conservatorio di musica e di una bravissima collega della Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri. Tra questi il più interessante, almeno per me che lo conoscevo poco o niente (Ahimé! Confesso: passione e conoscenza della musica non solo militare nel mio caso sono inversamente proporzionali), è stato l’ultimo. Concerto per banda fu composto dal M° Di Domenico nel 1967 e venne eseguito per la prima volta in occasione del 193° anniversario della fondazione del Corpo della Guardia di Finanza: i tre movimenti di cui esso è costituito – definiti dall’autore Introduzione, Romanza e Finale – mi richiamano alla mente il patchwork di un tappeto indiano in cui ogni riquadro sembra una parte a se stante sebbene il disegno sia fatto su un pezzo unico e non dato dalla cucitura di parti diverse, ma probabilmente sarebbe meglio definirli come una visione onirica o un racconto di Halloween narrato con la tecnica del “flusso di coscienza” e trasformato in un film… Probabilmente, però, un vero critico musicale lo definirebbe così: <<L’Introduzione sviluppa un tema brillante che si intreccia in un vivace gioco contrappuntistico attraverso episodi sempre che si concludono in ampie linee sonore. La Romanza inizia con indefiniti arpeggi di flauti, celesta e vibrafono per svolgersi poi, con linguaggio semplice, in temi essenzialmente espressivi. Il Finale ha carattere scherzoso e burlesco: prende come pretesto la scala di Fa Maggiore, tema nel quale si avvicendano le varie famiglie strumentali in una gara sempre più intensa fino al termine della composizione.>>

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Dopo un intervallo interessante almeno quanto il concerto, durante il quale si è parlato dello stretto rapporto che ha legato le origini dei primi complessi bandistici agli istituti da cui sono derivati dagli attuali conservatorii di musica, la Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma è tornata sul palco del Teatro Palladium – con il suo abituale organico costituito da quarantacinque musicisti – sotto la direzione del Maresciallo Capo Danilo Di Silvestro, che si è diplomato in Strumentazione per banda nel 2012 presso il suddetto Conservatorio di Frosinone proprio con il M° Antonia Sarcina.

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Essi hanno deliziato i presenti con alcuni brani del loro abituale repertorio: Marcia, Danza Finale del secondo atto dell’opera Aida di Giuseppe Verdi http://youtu.be/5GD0KpLGIAg, Sinfonia dall’opera Tancredi di Gioachino Rossini http://youtu.be/M-jCpvneli8, l’arrangiamento per banda scritto dall’olandese Jan Van Der Heyden dei temi principali delle colonne sonore che John Williams ha composto per la tetralogia cinematografica interpretata da Harrison Ford Indiana Jones selection http://youtu.be/8oMFDCSU2q4.

A gran voce gli spettatori hanno richiesto un bis, che il Maresciallo Capo Danilo Di Silvestro ha concesso molto volentieri: ha potuto così cogliere l’occasione per presentare un nuovo brano – scritto appositamente per l’organico della Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma dal M° Filippo Cangiamila (*****), Vice Direttore della Banda Musicale del Corpo della Polizia Penitenziaria – dal titolo affettuosamente ironico CICCI’ con chiaro riferimento all’acronimo solitamente utilizzato per appellare i Carabinieri e alle iniziali della Casa Circondariale, in cui gli agenti della Polizia Penitenziaria si trovano a operare ogni giorno con notevole sacrificio http://youtu.be/q_bJmhhJjcM. Non potevano certo mancare, in chiusura di concerto, La Fedelissima marcia d’ordinanza dell’Arma dei Carabinieri dal 1929 composta da Luigi Cirenei http://youtu.be/wlauBfG5s54 e Il canto degli Italiani composto da Michele Novaro http://youtu.be/0im8Ud6g3-I adottato come inno nazionale della Repubblica Italiana sin dal 1946.

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Dopo uno scrosciante applauso, che sembrava non volesse finire, le lucerne coi pennacchi biancorossi hanno lasciato il palcoscenico e, dopo un breve rinfresco, le abbiamo viste lasciare piazza Bartolomeo Romano per fare ritorno alla caserma di via Carlo Alberto Dalla Chiesa…”perché, si sa, ogni cosa bella finisce”.

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(*) Alessandro Celardi nel 2013 ha portato l’Orchestra di fiati Città di Ferentino alla vittoria nel Campionato del Mondo per Bande da concerto che si è svolto, come da tradizione, a Kerkrade (Olanda) dal 4 al 28 Luglio 2013.

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(**) Antonia Sarcina è nata a Trieste nel 1963 e si e’ stabilita sin da giovanissima a Roma dove ha compiuto gli studi musicali ed umanistici, conseguendo il diploma di maturità classica e i diplomi in pianoforte, composizione e strumentazione per banda, direzione d’orchestra e ha seguito corsi di perfezionamento sia in Italia sia in Russia. E’ docente di composizione e strumentazione per banda e direzione d’orchestra (2001 Conservatorio Nino Rota di Monopoli (BA), 2002-2007 San Pietro a Majella di Napoli, 2007-2010 Santa Cecilia di Roma, dal 2010 titolare di cattedra di orchestrazione per banda e direzione di banda presso il Licinio Refice di Frosinone) e da diversi anni si dedica alla ricerca e alla diffusione delle opere delle compositrici italiane ed estere. Nel 2011 ha tenuto una Masterclass sul repertorio italiano originale per banda presso il Conservatorio olandese di Maastricht. Vanta una lunga carriera concertistica di successo che l’ha portata in giro per l’Italia e per l’Europa: alcuni suoi recitals al pianoforte sono stati registrati per la Radio Vaticana e per emittenti radiofoniche e televisive private e nazionali italiane. Ha iniziato a scrivere musica in giovanissima età e molte sue composizioni – che comprendono arrangiamenti e trascrizioni di vario genere e musiche di scena per il teatro classico oltre a musica bandistica. didattica, lirica, sacra, sinfonica e da camera – sono state pubblicate in Italia, Germania e Stati Uniti d’America, oppure hanno vinto primi premi in importanti concorsi nazionali ed internazionali di composizione e sono regolarmente eseguite sia in Italia sia all’estero. E’ stata il primo direttore d’orchestra donna a prendere parte ai concorsi nazionali per la nomina del Maestro Direttore delle Bande Musicali della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza e della Marina Militare. In qualità di direttore d’orchestra ospite ha diretto la Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri e la Banda Musicale della Guardia di Finanza oltre a bande musicali militari del Brasile e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

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(***) http://www.lcnet.it/reticiviche/sacrofano/paese.html

(****) http://www.romaeuropa.net/it/opificio/presentazione.html http://www.romaeuropa.net/images/pdf/dossieropificio.pdf

(*****) Filippo Cangiamila è nato a Palermo nel 1980. E’ laureato in trombone, strumentazione per banda, composizione e direzione d’orchestra. Ha ottenuto, in qualità di strumentista, idoneità o collaborazioni con diverse orchestre ed enti (tra cui Arena di Verona, Accademia di Santa Cecilia, Teatro Vittorio Emanuele di Messina, Teatro Lirico di Cagliari, Teatro alla Scala di Milano, Orchestra di Stato di Cipro, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro La Fenice di Venezia, Orchestra Sinfonica Abruzzese, Orchestra Haydn di Bolzano e Trento) ed è stato – tra il 2002 e il 2007 – dapprima II e poi I Trombone nell’Orchestra Sinfonica di Roma con la quale si è esibito in prestigiosi teatri di Roma (Teatro Argentina, Teatro Sistina, Auditorium Parco della Musica, Auditorium di via della Conciliazione)  e del mondo (San Pietroburgo, Belgrado, Berlino, Madrid, Londra, Atene, Brasilia, Rio de Janeiro). Nel 2007 ha vinto il concorso nazionale per titoli ed esami presso la Banda Musicale della Guardia di Finanza in Roma e di questo organico ha fatto parte come strumentista fino al 2012. Come compositore si è distinto in numerosi concorsi – Premio Licinio Refice (II, 1998), Premio Oreste Sindici (III, 2004), Premio Valentino Bucchi (I, 2004), Premio Contemporaneamente (II, 2006), Premio Giovanni Palatucci (II, 2010) – e alcune delle sue composizioni per banda sono edite dalle case editrici Scomegna e Wicky. Nel 2012, vincendo un concorso pubblico per titoli ed esami, è divenuto Maestro Vice Direttore della Banda Nazionale del Corpo di Polizia Penitenziaria.

Un buon “noncompleanno” a teeeeeeeeeeee: 29 febbraio 1792 – 2014

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Voglio pubblicamente ringraziare un tale Vivazza – musicista della Banda cittadina di Lugo di Romagna (sua terra natìa) nonché fervente sostenitore della Rivoluzione Francese, che tanta importanza ha avuto sull’origine stessa delle bande militari che mi propongo di continuare a seguire per amore e solo per amore  – per aver chiesto un bel dì in isposa la cantante urbinate Anna Guidarini.

Voglio ringraziare una fantastica nonna (quale nonna non è di per sé fantastica per il semplice fatto di essere null’altro che due volte mamma!?) romagnola e una mamma paziente sempre pronta a seguire il marito nelle sue peregrinazioni tra Ravenna, Ferrara e Bologna nel tentativo di sfuggire alla cattura da parte delle truppe pontificie, tornate al potere dopo la Restaurazione.

Voglio ringraziare i fratelli Malerbi di Lugo, insegnanti di musica e – in particolare – di canto e un certo Maestro Prinetti per aver saputo dare al nostro “enfant prodige” i primi rudimenti nel campo della musica, del canto e della spinetta.

Voglio ringraziare gli insegnanti del Liceo musicale bolognese, presso il quale il “tedeschino” si appassionò tanto allo studio di Joseph Haydn e, soprattutto, di Wolfgang Amadeus Mozart (con il quale si può quasi immaginare un “passaggio del testimone” tra anime poiché la nascita del festeggiato seguì di soli tre mesi la sua morte).

Voglio ringraziare il direttore del il Teatro San Moisè di Venezia che scelse di dare fiducia a un giovanissimo compositore che presentò nel 1810 La cambiale di matrimonio, un’opera dal titolo più che mai attuale, e il Teatro del Fondo – oggi Teatro Mercadante – di Napoli che gli concesse il palco per rappresentare con successo la prima versione in musica della tragedia shakesperiana di Otello ossia l’Africano di Venezia (Giuseppe Verdi ne avrebbe scritta un’altra più drammatica tempo dopo).

Voglio ricordare con affettuosa e rinnovata meraviglia la gradevolissima e frizzante – sotto ogni aspetto – aria di Como e la bellezza serena della Villa Pliniana presso cui il Cigno compose la bellissima opera Tancredi.

Voglio regalare un ombrello agli imbecilli e agli invidiosi che, proprio nella mia città, decretarono con fischi, frizzi e lazzi il clamoroso e incredibile insuccesso de Il barbiere di Siviglia in occasione della prima che si tenne presso il Teatro Argentina e voglio invece regalare un fiore ai miei concittadini che l’applaudirono al Teatro Valle quando ebbero il privilegio di assistere alla prima di Cenerentola

Voglio ringraziare il San Carlo di Napoli per aver avuto il coraggio di affidargli addirittura la direzione del Teatro, permettendo così la messa in scena di opere quali La pietra del paragone, La gazza ladra, L’italiana in Algeri e Semiramide.

Voglio ringraziare la soprano spagnola Isabella Colbran, che del celebre compositore italiano fu per alcuni anni musa ispiratrice e consorte.

Voglio ringraziare Parigi che l’accolse senza la sua notoria “puzzetta sotto il naso” e ne comprese il genio e la grandezza: e come avrebbe potuto altrimenti dinanzi a  Le Comte Ory e al mirabile capolavoro Guillaume Tell.

Voglio persino ringraziare nuovamente la summenzionata cantante spagnola perché durante la fase depressiva in cui egli entrò probabilmente in seguito a problemi coniugali risoltisi in parte con una separazione egli compose un bellissimo Stabat Mater, che riuscì a concludere in realtà soltanto alla morte del padre Giuseppe (il Vivazza di cui sopra).

Mi sento, seppure con qualche egoistica difficoltà, di ringraziare la sua seconda compagna di vita Olympe Pélissier, che lo supportò nella sua scelta di non comporre più musica, se non i Péchés de vieillesse per se stesso e pochi intimi, e di ritirarsi nella campagna francese di Passy: in fondo quegli anni avrebbero portato alla composizione di una memorabile Petite messe solennelle: d’altro canto non dev’essere stato facile non solo supportare, ma anche sopportare un uomo che definire “dalle mille sfaccettature” potrei considerarlo un eufemismo visto che egli fu al tempo stesso collerico e gioviale, ipocondriaco e amante della buona tavola, umorale e appassionato corteggiatore di belle donne, depresso e bon vivant, apatico eppure appassionato genio culinario sempre pronto a sperimentare nuove ricette, profondamente pigro eppure musicalmente iperattivo e molto altro…tanto che egli scrisse e riscrisse non so quante volte i finali delle sue stesse opere alternandone versioni a lieto fine e a versioni con finale che più drammatico non avrebbe potuto nemmeno Giuseppe Verdi (e, con tutto il rispetto per il venerabile Maestro raffigurato sulla nostra amata banconota da “millelire”, ho detto tutto…vero!?).

Voglio ringraziare la Serenissima Repubblica di San Marino, cui sono molto legata per “affinità elettive” e per affetto nei confronti della Banda Militare al gran completo, per aver concesso al genio italico (temo non sarebbe del tutto corretto definire italiano qualcuno nato e vissuto per la maggior parte del proprio tempo prima che l’Italia stessa nascesse) il titolo di nobile poiché di certo egli ha contribuito grandemente a nobilitare la musica.

Voglio ringraziare il Regno di Prussia che gli attribuì la sua più alta onorificenza, nominandolo Cavaliere “Pour le Mérite für Wissenschaften und Künste”, e il Regno di Francia che fece altrettanto, riconoscendogli il titolo di Grand’Ufficiale dell’Ordine della “Légion d’honneur”.

Voglio ringraziare il governo italiano per averne preteso la restituzione delle spoglie dalla terra di Francia (ciò avvenne in tempi biblici poiché egli morì di cancro – anche in questo caso: che modernità! – nel 1868, ma si dovette attendere sino al 1887) e alla magnifica Firenze per averle accolte nel “tempio dell’Itale glorie” (il monumento funebre realizzato da Giuseppe Cassioli e inaugurato nel 1900) presso la Basilica di Santa Croce: in tal modo ho potuto in qualche modo rendergli omaggio in occasione della mia visita a Firenze, ove mi ero recata per ascoltare e riprendere i concerti natalizi della Fanfara della Scuola Allievi Marescialli e Brigadieri dei Carabinieri.

Voglio ringraziare Pesaro, che il “nostro” nominò erede universale delle sue ingenti fortune poiché ivi era nato nel 1792, per aver utilizzato tali fondi per l’istituzione di un Liceo Musicale cittadino, poi divenuto nel 1940 Conservatorio Statale di Musica a lui intitolato.

Voglio ringraziare la Fondazione, erede dell’Ente Morale a cui erano state conferite proprietà e gestione del suo asse ereditario, per il il contributo che continua a dare allo studio e alla diffusione nel mondo della figura, della memoria e delle opere del celeberrimo compositore pesarese – anche attraverso l’annuale Opera Festival a lui intitolato e, soprattutto, per il sostegno che offre all’attività del Conservatorio che ha preparato alcuni dei migliori musicisti che io conosca (tra cui l’attuale direttore della Fanfara del IV Reggimento Carabinieri a Cavallo che è anche fine oboista nella Banda Musicale del Corpo della Gendarmeria Vaticana e debuttò giovanissimo nella prestigiosa European Union Youth Orchestra).

Voglio ringraziare Giuseppe Mazzini, uno dei padri spirituali della mia Nazione e della stessa Europa, che nel suo Filosofia della musica ebbe a definirlo «Titano di potenza e di audacia: il Napoleone d’un’epoca musicale.» e, data l’altissima considerazione che egli aveva di Napoleone non avrebbe potuto fargli complimento più grande.

Voglio ringraziare Marie-Henri Beyle, meglio noto come Stendhal (e scusate se è poco) per aver saputo mirabilmente sintetizzare il suo pensiero sul genio pesarese nella sua biografia – probabilmente romanzata e non del tutto attendibile, ma intrigante – nella prefazione: «Lo invidio più di chiunque abbia vinto il primo premio in denaro alla lotteria della natura poiché, a differenza di quello, egli ha vinto un nome imperituro, il genio e, soprattutto, la felicità.» (ha un sapore di menagramo visto che il Maestro era ancora vivo quando il francese ne scrisse la Vita).

Ora, probabilmente, avete sin qui pensato ch’io volessi commemorare tristemente l’assenza, giustificata per precoce “scomparsa” dovuta a un “brutto male” che ha “spento” il Maestro (*)…..ahiahiahi! ma allora non avete capito alcunché del carattere dello straordinario Giovacchino Antonio…ops! Mi perdoni, Maestro: chiedo venia….avevo dimenticato ch’ella preferisca essere chiamato semplicemente Gioachino (con un “c” sola, vero? Glielo dica ai miei lettori più pignoli!). Io qui voglio festeggiare il duecentoventiduesimo (avete letto bene: sono 222 candeline da spegnere) di Gioachino Rossini!!! Siccome siamo entrambi molto generosi, vi invitiamo tutti quanti a un mega party: il Maestro ha realizzato uno spettacolare menù (in confronto, miei cari, i giurati di Masterchef sono iscritti al primo anno della scuola alberghiera) per la cena e io mi metto alla consolle…voi dovete soltanto gustarvi la festa…e magari ballare.

L’ultimo brano era non solo l’ultimo in ordine cronologico che ho trovato in rete, ma rappresenta anche un momento per finire in calma e serenità la serata….altrimenti rischiate di essere colti dalla frenesia de La Danza e di continuare a ballare per tutta la notte: la maggior parte di noi non ha più l’età per queste “follie”.

Questo, invece, è il mio personalissimo augurio al Maestro: più azzeccato di così…al suo carattere e al suo modo di affrontare la musica e la vita, secondo me non ne trovereste manco doveste campare anche voi dueceventidue anni e più…

Eh, già! Non vorrete mica davvero considerarlo morto: quelli come lui sono immortali!!!! Se fosse morto, non gli avrei mica dedicato un pomeriggio…

P.s.: Voglio ringraziare l’attuale direttore della Banda Musicale dell’Esercito per avermi letto nel pensiero (in questo caso si possono definire “affinità e-lettive”) e avermi inviato i codici di accesso ad alcuni dei video di cui sopra, che spero abbiano fatto apprezzare a tutti voi l’estrema brillantezza ritmica che rasenta la frenesia – segnando un netto stacco rispetto allo stile degli operisti del Settecento, dai quali comunque ricavò stilemi e convenzioni formali – e l’assoluta genialità del famoso «crescendo rossiniano» che dona alla musica un tratto surreale che mi ha richiamato alla mente la favola e il film da cui ho ricavato il mio messaggio di auguri finale e che riesce a combinarsi perfettamente tanto con argomenti tratti dal teatro comico quanto con i soggetti tragici che Rossini scelse per le sue opere. A proposito di opere….tanto per darvi un’idea della sua proverbiale “pigrizia” eccovene l’elenco – spero completo, ma non ci giurerei:

Opere liriche (tra parentesi luogo e data della prima rappresentazione):

La cambiale di matrimonio (Teatro San Moisè, Venezia, 3 novembre 1810), L’equivoco stravagante (Teatro del Corso, Bologna 26 ottobre 1811), L’inganno felice (Teatro San Moisè, Venezia 8 gennaio 1812), Demetrio e Polibio (Teatro Valle, Roma, il 18 maggio 1812), Ciro in Babilonia ossia La caduta di Baldassare (Teatro comunale, Ferrara, 14 marzo 1812), La scala di seta (Teatro San Moisè, Venezia, 9 maggio 1812), La pietra del paragone (Teatro alla Scala, Milano, 26 settembre 1812), L’occasione fa il ladro ossia Il cambio della valigia (Teatro San Moisè, Venezia, 24 novembre 1812), Il signor Bruschino ossia Il figlio per azzardo (Teatro San Moisè, Venezia, 27 gennaio 1813), Tancredi (Gran Teatro La Fenice, Venezia, 6 febbraio 1813), L’Italiana in Algeri (Teatro San Benedetto, Venezia, 22 maggio 1813), Aureliano in Palmira (Teatro alla Scala, Milano, 26 dicembre 1813), Il Turco in Italia (Teatro alla Scala, Milano, 14 agosto 1814), Sigismondo (Teatro La Fenice, Venezia, 26 dicembre 1814), Elisabetta, Regina d’Inghilterra (Teatro di San Carlo, Napoli, 4 ottobre 1815), Torvaldo e Dorliska (Teatro Valle, Roma 26 dicembre 1815), Il barbiere di Siviglia (Teatro Argentina, Roma, 20 febbraio 1816, col titolo Almaviva ossia l’inutile precauzione), La gazzetta (Teatro dei Fiorentini, Napoli, 26 settembre 1816), Otello ossia L’Africano di Venezia (Teatro del Fondo, Napoli, 4 dicembre 1816), La Cenerentola ossia La bontà in trionfo (Teatro Valle, Roma, 25 gennaio 1817), La gazza ladra (Teatro alla Scala, Milano, 31 maggio 1817), Armida (Teatro San Carlo, Napoli, 11 novembre 1817), Adelaide di Borgogna (Teatro Argentina, Roma, 27 dicembre 1817), Mosè in Egitto (Teatro San Carlo, Napoli, 5 marzo 1818), Ricciardo e Zoraide (Teatro San Carlo, Napoli, 3 dicembre 1818), Ermione (Teatro San Carlo, Napoli, 27 marzo 1819), Eduardo e Cristina (Teatro San Benedetto, Venezia, 24 aprile 1819), La donna del lago (Teatro San Carlo, Napoli, 24 ottobre 1819), Bianca e Falliero ossia Il consiglio dei Tre (Teatro alla Scala, Milano, 26 dicembre 1819), Maometto II (Teatro San Carlo, Napoli, 3 dicembre 1820), Matilde di Shabran ossia Bellezza e cuor di ferro (Teatro Apollo, Roma, 24 febbraio 1821), Zelmira (Teatro San Carlo, Napoli, 16 dicembre 1822), Semiramide (Teatro La Fenice, Venezia, 3 febbraio 1823), Ugo Re d’Italia (progettata a Londra nel 1824, forse ne compose un atto – perduta), Il viaggio a Reims, ossia L’albergo del giglio d’oro (Théâtre des Italiens, Parigi, 19 giugno 1825), Adina (Teatro Reale São Carlos, Lisbona, 22 giugno 1826), Ivanhoé (Teatro dell’Odéon, Parigi 15 settembre 1826, pastiche), Le siège de Corinthe rifacimento di Maometto II (Académie Royale de Musique=Opéra, Parigi, 9 ottobre 1826), Moïse et Pharaon ou Le passage de la Mer Rouge, rifacimento di Mosè in Egitto (Académie Royale de Musique, Parigi, 26 marzo 1827), Le Comte Ory (Académie Royale de Musique, Parigi, 20 agosto 1828), Guillaume Tell (Académie Royale de Musique (Opéra), Parigi, 3 agosto 1829), Robert Bruce, pastiche con musiche di Rossini sulla figura di Roberto I di Scozia (Académie Royale de Musique, Parigi 3 dicembre 1846)

Musiche di scena
Edipo a Colono, prima del 1817: musiche per l’Edipo a Colono di Sofocle della traduzione fattane da Giambattista Giusti

Cantate
Il pianto d’Armonia sulla morte di Orfeo (1808), Dalle quiete e pallid’ ombre (1812), Egle ed Irene conosciuta anche come Non posso, oh Dio, resistere (1814), L’Aurora (1815), Le nozze di Teti, e di Peleo (prima esecuzione 1816), La morte di Didone (1818),Omaggio umiliato a Sua Maestà dagli… (1819), Cantata da eseguirsi la sera del dì 9 maggio 1819… (esecuzione 09/05/1819), La riconoscenza (1821), La Santa Alleanza (1822), Il vero omaggio (1822), Omaggio pastorale (1823), Il pianto delle Muse in morte di Lord Byron (1824), Cantata per il battesimo del figlio del banchiere Aguado (1827), Giovanna D’Arco (1832), Cantata in onore del Sommo Pontefice Pio IX (01/01/1847),

Inni e cori
Inno dell’Indipendenza: “Sorgi, Italia, venuta è già l’ora” (1815), De l’Italie et de la France (1825), Coro in onore del Marchese Sampieri (1830), Coro per il terzo centenario della nascita del Tasso “Santo Genio de l’itala terra” (1844), Grido di esultazione riconoscente al Sommo Pontefice Pio IX “Su fratelli, letizia si canti” (1846), Coro delle Guardia Civica di Bologna “Segna Iddio né suoi confini” (1848), Inno alla Pace “È foriera la Pace ai mortali” (1850), Hymne à Napoléon III et à son Vaillant Peuple “Dieu tout puissant” (1867),

Musica sacra
Messa (Bologna 1808), Messa (Ravenna 1808), Messa (Rimini 1809), Messa (Lugo primi anni dell’Ottocento), Laudamus
Quoniam (1813), Miserere Messa di Gloria (Napoli 1820), Preghiera “Deh tu pietoso cielo” (1820), Tantum ergo (1824), Stabat Mater (1832/42), Trois chœures religieux: La Foi, L’Espérance, La Charité (1844), Tantum ergo (1847), O salutaris hostia (1857), Laus Deo (1861), Petite messe solennelle (1863), Dixit Domino.

Musica vocale
Se il vuol la molinara (1801), Dolce aurette che spirate (1810), La mia pace io già perdei (1812), Qual voce, quai note (1813), Alla voce della gloria (1813), “Amore mi assisti” Pezzi per il Quinto Fabio (1817), Il Trovatore “Chi m’ascolta il canto usato” (1818), Il Carnevale di Venezia “Siamo ciechi, siamo nati” (1821), Beltà crudele “Amori scendete propizi al mio cuore” (1821), Canzonetta spagnuola “En medio a mis colores” o “Piangea un dì pensando” (1821), Infelice ch’io son (1821), Addio ai viennesi “Da voi parto, amate sponde” (1822), Dall’oriente l’astro del giorno (1824), Ridiamo, cantiamo che tutto sen va (1824), In giorno sì bello, Tre quartetti da camera, Les adieux à Rome “Rome pour la dernière fois”, Orage et beau temps “Sur le flots incostants” (1829-30), La passeggiata Anacreontica “Or che di fior adorno” (1831), La dichiarazione “Ch’io mai vi possa lasciar d’amare” (1834), Soirées musicales Collezione di 8 ariette e 4 duetti. (1830-1835), Deux nocturnes (1835), Nizza “Nizza, je puis sans peine” (1836), L’ame délaissée “Mon bien aimé” (1844), Inno popolare a Pio IX (1846), Francesca da Rimini “Farò come colui che piange e dice” (1848), La separazione “Muto rimase il labbro” (1857), Deux nouvelles compositions (1861).

Musica strumentale
Sei sonate a quattro (1804), Duetti per corno, Sinfonia in Re maggiore (1808), Sinfonia in Mi bemolle maggiore (1809), Variazioni in Fa maggiore a più strumenti obbligati (1809), Variazioni in Do maggiore per clarinetto obbligato e orchestra (1809), Andante e tema con variazioni per clarinetto (1812), Andante e tema con variazioni per arpa e violino (1815-22), Passo doppio per banda militare (1822), Valzer in Mi bemolle maggiore (1823), Serenata (1823), Duetto per violoncello e contrabbasso (1824), Rendez-vous de chasse (1828), Fantasia per clarinetto e pianoforte (1829), Mariage de S.A.R. le Duc d’Orléans: Trois marches militaires (1837), Scherzo per pianoforte, in la minore (1843 e 1850), Tema originale di Rossini variato per violino da Giovacchino Giovacchini (1845), Marcia (pas-redoublé) (1852), Thème de Rossini suivi de deux variations et coda par Moscheles Pere (1860), La Corona d’Italia (1868)

Péchés de vieillesse (raccolta di vari pezzi distribuiti in 14 volumi)
Volume I – Album italiano, Volume II – Album français, Volume III – Morceaux réservés, Volume IV – Quatre hors-d’œuvres et quatre mendiants, Volume V – Album pour les enfants adolescents, Volume VI – Album pour les enfants dégourdis, Volume VII – Album de chaumière, Volume VIII – Album de château, Volume IX – Album pour piano, violon, violoncello, harmonium et cor, Volume X – Miscellanée pour piano, Volume XI – Miscellanée de musique vocale, Volume XII – Quelques rien pour album, Volume XIII – Musique anodine, Volume XIV – Altri péchés de vieillesse.

(*) Avete caso che sui mezzi di comunicazione di massa non dicono “E’ morto” oppure “E’ defunto”, ma cercano sempre nuovi contorsionismi linguistici? Mah!