Piccolo contributo per diffondere, in Italia e nel mondo, la conoscenza e l'amore per le Bande e le Fanfare delle Forze Armate, dei Corpi di Polizia e delle Associazioni d'Arma della Repubblica Italiana, della Repubblica di San Marino e dello Stato della Città del Vaticano.
Nell’ambito delle celebrazioni e dei festeggiamenti che si stanno svolgendo in tutta Italia in occasione del Bicentenario dell’Arma dei Carabinieri, è stata allestita una mostra interessante presso la “Galleria Commerciale Porta di Roma”. Affollati gli stands espositivi delle varie specialità della Benemerita e l’esposizione di alcuni mezzi in dotazione: gazzelle “vintage” come Alfa Romeo Giulia, Alfa Romeo 90 e Fiat 600, ma anche Lotus Evora, Alfa Romeo 159 e Fiat Bravo per quanto riguarda le quattro ruote; la mitica Moto Guzzi Superalce, ma anche la moderna BMW R1200 R per gli amanti della Sezione Motociclisti del Nucleo Operativo Radio Mobile dei Carabinieri….che, stando a quanto mi ha riferito il “collega” Enrico Fasciolo – autore di queste bellissime fotografie – erano davvero tanti.
Folla entusiasta in occasione delle dimostrazioni pratiche date dalle Unità cinofile come esempio dei servizi di polizia antidroga. Calorose dimostrazioni d’affetto – infine – nei confronti dell’Arma da parte del folto pubblico intervenuto al concerto della Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma, diretta dal Maresciallo Capo M° Danilo Di Silvestro: magnifica la Grande Uniforme Storica con il pennacchio biancorosso sulla lucerna, la doppia banda rossa sui pantaloni e gli speroni ai piedi… Queste sono le “note” caratteristiche, che distinguono – infatti – i corpi musicali dell’Arma dei Carabinieri da tutti gli altri reparti della quarta forza armata della Repubblica Italiana e traggono origine dal primo antico nucleo di otto trombetti a cavallo (istituito il 1 ottobre 1820) da cui si sarebbero poi “generate” le Fanfare della XIV Legione della Scuola Allievi Carabinieri di Torino e della VII Legione Carabinieri di Napoli e da esse via via la Fanfara poi la Musica e infine la Banda della Legione Allievi Carabinieri di Roma che – sotto l’attenta guida del Maestro Luigi Cajoli divenne la Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri. Attualmente, dopo lo scioglimento della Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Torino, l’Arma dei Carabinieri può ancora contare sulle Fanfare del III Battaglione “Lombardia”, del X Battaglione “Campania” e del XII Battaglione “Sicilia” (di stanza rispettivamente a Milano, Napoli e Palermo), sulla Fanfara del IV Reggimento Carabinieri a Cavallo (di stanza a Roma) e sulle Fanfare della Scuola Allievi Marescialli e Brigadieri e della Scuola Allievi Carabinieri (di stanza, rispettivamente, a Firenze e a Roma).
Si deve alla lungimiranza del dottor Filippo De Ambrogi, direttore della Galleria Commerciale Porta di Roma, e alla sua fruttuosa collaborazione con il Luogotenente Andrea Marrese , Comandante della Stazione Carabinieri “Nuovo Salario” la realizzazione di questo riuscitissimo concerto e alla brava – seppur giovanissima e forse un po’ timida (dote rara oggigiorno, la timidezza) – Selenia Orzella, che ha illustrato brevemente la storia della Fanfara della Scuola Allievi Carabinieri di Roma: istituita nel 1885 per presenziare alle numerose cerimonie ufficiali d’istituto e per far marciare gli Allievi, essa è attualmente composta da 45 professori musicisti, provenienti dai vari Conservatori d’Italia e non solo presenzia a importanti manifestazioni sia militari che civili, ma effettua importanti concerti sia in Italia sia all’estero. Dal 1997, come ha ricordato la presentatrice, essa è diretta dal Maresciallo Capo Maestro Danilo Di Silvestro: diplomato in Trombone e in Perfezionamento nel corso di Direzione di Banda presso il Conservatorio di Pescara, ha conseguito il Diploma di Strumentazione per Banda presso il Conservatorio Licinio Refice di Frosinone. Uno dei suoi insegnanti, la professoressa Antonia Sarcina, era presente – tra il pubblico delle prime file – al concerto, che si è aperto – come da tradizione ormai consolidata – dalla marcia sinfonica “Dorotea”, composta dal Maestro Vincenzo Borgia (Direttore della Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri dal 1972 al 2000).
A seguire la trascrizione per banda scritta dal Maestro Domenico Fantini (suo predecessore) della “Marcia, Danza e Finale” del Secondo Atto dell’opera lirica “Aida” di Giuseppe Verdi.
Colpito al cuore il pubblico da una raffica musicale di ottoni, percussioni e fiati nel medley “Moment for Morricone”: arrangiamento del compositore olandese Johan De Meij – in omaggio al Maestro Ennio Morricone e alle sue colonne sonore per i film del genere “spaghetti western” di Sergio Leone – talmente suggestivo che sembrava di sentire le voci di Clint Eastwood, Eli Wallach e Lee Van Cleef ne “Il buono, il brutto e il cattivo” o di veder apparire la bellissima Claudia Cardinale, il fascinoso Henry Fonda o il truce Charles Bronson di “C’era una volta il west”.
L’atmosfera si è fatta più elegante e raffinata con il bellissimo “Blues” di Michele Mangani (uno dei pochi compositori italiani di musica per banda!) tratto da “Un Americano a Parigi” di George Gershwin: splendido l’assolo dell’Appuntato scelto Maurizio Trequattrini in occasione del “canto del cigno” del suo Clarinetto soprano in Si bemolle, che ha suonato in concerto con la Fanfara dei Carabinieri di Roma (oltre che in passato nella Fanfara dei Carabinieri di Firenze e spesso con la Banda centrale dell’Arma) per l’ultima volta…visto e considerato che d’ora in poi presterà il suo talento alla voce del Clarinetto piccolo in La bemolle…più acuta e più difficile!
Ha avuto modo di fare sfoggio della sua bravura anche il solista Leonardo Vinciarelli alla Tromba in Si bemolle nella colonna sonora composta nel 1997 da Nicola Piovani per il film “La vita è bella” – di e con Roberto Benigni – con la quale vinse il Premio Oscar nel 1999…
Immancabile il “Guillaume Tell” composto dal celeberrimo compositore pesarese Gioachino Antonio Rossini, che ha visto il Maresciallo Capo M° Danilo Di Silvestro nella doppia veste di direttore della Fanfara e di direttore del pubblico, assolutamente entusiasta.
Infine l’Ouverture che il compositore olandese Jacob De Haan scrisse “su commissione” per la “Saint Peter’s Wind Symphony” di Brisbane, in Australia, dedicandola a “Ross Roy”: la villa monumentale di tardo Ottocento in cui venne fondato nel 1945, il Collegio Saint Peter’s Lutheran e che ne è sempre rimasta simbolo. In questa composizione Ross Roy si trasforma in vera e propria metafora degli anni trascorsi a scuola: vi si ritrovano i toni solenni della disciplina, i toni sereni dei momenti gioiosi e dei sorrisi, i toni intensi dei primi amori, delle amicizie, i toni orientaleggianti simbolo della diversità delle culture presenti ormai nella scuola moderna e della comprensione reciproca e nuovamente solenni per rappresentare i momenti di tensione che caratterizzano il periodo scolastico a ridosso dell’esame finale e infine l’apoteosi gioiosa della raggiunta maturità al termine del ciclo di studi: sembra quasi di veder volare i berretti alla fine della cerimonia di consegna del diploma. L’Ouverture si conclude e inizia la vita adulta. Spero di essere riuscita a darne la giusta lettura attraverso le fotografie:
Dopo il saluto di ringraziamento alle Autorità ed ai cittadini presenti da parte del Maggiore Alessandro Di Stefano, Comandante della Compagnia Carabinieri di “Montesacro”, da cui dipende il Comando Stazione Carabinieri “Nuovo Salario”, http://youtu.be/LmtB_9AB4JI la Fanfara della Scuola Allievi Carabinieri di Roma ha concluso il concerto eseguendo la marcia d’ordinanza (dal 1929) dell’Arma dei Carabinieri – “La Fedelissima” di Luigi Cirenei, il secondo direttore della Banda dell’Arma –
e l’inno nazionale della Repubblica Italiana, che tutti chiamano “Fratelli d’Italia” o “Inno di Mameli”, ma che in realtà sappiamo essere stata scritta e composta da Michele Novaro col titolo “Il canto degli Italiani”.
Fino a qualche tempo fa il “Si!” conclusivo dell’inno nazionale segnava effettivamente la fine di qualunque concerto degli organici musicali militari italiani: recentemente si è invece diffusa l’abitudine a richiedere e concedere bis anche dopo di esso. La Fanfara non si è lasciata troppo pregare e ha “improvvisato” la marcia a tempo di valzer “Wien bleibt Wien” di Johann Schrammel: ci ha fatto pensare al Concerto di Capodanno, a quel giorno pieno di speranza per quel che il Nuovo Anno promette di portare di bello e di buono….e speriamo che funzioni – considerata anche la “location” del concerto – contro la crisi.
Commovente l’affetto della gente che, al termine del concerto. si è accalcata e messa in fila – anziché per un nuovo modello di apparecchio di telefonia mobile – per salutare i musicisti, il Capo Fanfara e persino la sottoscritta, onorata ed emozionata nella mia uniforme da Benemerita dell’Associazione Nazionale Carabinieri – sezione “V.B. SALVO D’ACQUISTO” di Ponsacco (PI).
In onore di Amedeo VII di Savoia, Conte di Savoia e Conte d’Aosta, Moriana e Nizza dal 1383 al 1391 noto come il “Conte Rosso”- il Lloyd Sabaudo volle chiamare un piroscafo transatlantico di 180 metri di lunghezza, 22 di larghezza, 17.879 tonnellate di stazza lorda e circa 22.000 tonnellate di dislocamento, costruito nei cantieri scozzesi William Beardmore & Co a Dalmuir nei pressi di Glasgow. * A onor del vero, il primo tentativo di varo, avvenuto il 26 gennaio 1921, fallì perché la nave rimase ferma sullo scalo: in marineria, si sa, la superstizione domina e, forse, con un fondo di ragione. Invece lo scafo del piroscafo scese effettivamente in acqua il successivo 10 febbraio, ma trascorse più di un anno prima che i lavori finissero. Il “Conte Rosso” salpò, infatti, il 29 marzo 1922 per il suo viaggio inaugurale sulla rotta Genova-Napoli-Montevideo-Buenos Aires.
Dai carteggi dei Lloyds risulta che dal 1922 al 1928 il transatlantico venisse impiegato sulla linea Genova-Napoli-New York e poi, fino al 1932 fu destinato a percorrere la rotta del suo primo viaggio verso il Sud America. In seguito alla fusione del Lloyd Sabaudo di Genova con due altre importanti compagnie di navigazione (Cosulich Line e Navigazione Generale Italiana) nella Società Italia e al riordino della risultante flotta, il Conte Rosso fu noleggiato al Lloyd Triestino – che poi l’acquistò un anno più tardi – e fu impiegato sulla rotta Trieste-Venezia-Brindisi-Suez-Bombay-Singapore-Shangai.
Nel 1935, durante la Guerra d’Etiopia, il governo di Mussolini lo requisì per trasportare truppe italiane e coloni in Africa Orientale Italiana. L’anno successivo, rientratone in pieno possesso, il Lloyd Triestino l’affidò allo Stabilimento Tecnico Triestino per i necessari lavori di “ristrutturazione” ne fece sostituire l’apparato motore con un nuovo apparato motore, costruito dalla Franco Tosi di Legnano, che vantava una potenza di 25.000 HP utile al conseguimento di velocità sino a 20 nodi. Probabilmente fu proprio questa caratteristica innovativa a renderlo appetibile per il Ministero della Guerra e, in particolar modo, per la Marina Militare che lo requisì il 3 dicembre 1940 per adibirlo al trasporto di truppe in Libia: l’equipaggio civile del piroscafo dimostrò in numerose occasioni coraggio ed efficienza effettuando numerosi viaggi sulla rotta di guerra Roma – Tripoli e trasportando indenni parecchie migliaia di uomini (fra cui per esempio, l’8 febbraio 1941, reparti della Divisione Ariete), sino al 24 maggio 1941.
All’alba del 24 maggio 1941 (alle ore 04.40, secondo il diario di bordo) il “Conte Rosso” salpò – assieme ai piroscafi passeggeri “Esperia”, al piroscafo misto “Marco Polo” e alla motonave passeggeri “Victoria”, anch’esse adibite al trasporto di truppe – da Napoli diretto a Tripoli con a bordo 280 uomini d’equipaggio civile al comando dal triestino Fabris e 2449 (altre fonti parlano di 247 e 2482) fra ufficiali, sottufficiali e soldati di tutte le Armi (avieri, carabinieri, carristi, fanti e genieri), per un totale di 2729 uomini degli 8.500 uomini destinati al fronte libico: tanto campionario umano annoverava gente in dimestichezza con il mare e gente che invece lo vedeva per la prima volta, richiamati delle classi anziane e giovanissimi volontari, spesso universitari né mancava qualche “clandestino” come l’allievo ufficiale Bartolotta del 4° Rgt.Carristi, che s’era nascosto in una scialuppa pur di seguire in Africa il proprio reparto, malgrado l’ordine di restare a terra. Il convoglio veloce (viaggiava a oltre 17 nodi) era scortato dalle torpediniere “Procione”, “Pegaso” e “Orsa” e dal cacciatorpediniere “Freccia” ed era comandato dal Contrammiraglio Francesco Canzoneri. Alle 15.15 i bastimenti iniziarono l’attraversamento dello Stretto di Messina e a loro si unirono intorno alle ore 16.00, come scorta a distanza, i cacciatorpediniere “Ascari”, “Corazziere” e “Lanciere” e gli incrociatori pesanti “Trieste” e “Bolzano” della Terza Divisione e, per incrementare la vigilanza antisommergibile, le torpediniere “Calliope”, “Perseo” e “Calatafimi”, che però sarebbero rientrate in porto in serata.
Al tramonto del 24 maggio il convoglio di cui faceva parte il “Conte Rosso” si trovava dunque circa dieci miglia al largo di Augusta su due file, con la scorta diretta su entrambi i lati e gli incrociatori, sempre di poppa, ad un paio di miglia e qualche idrovolante in missione antisommergibile che lo sorvolava. Zigzagando a circa diciotto nodi su un mare tranquillo, i bastimenti seguivano la rotta a levante della Sicilia, pericolosa per la vicinanza di Malta, ma più rapida dell’altra a ponente. Poco prima delle 20.30 circa le navi cessarono di zigzagare per poter fare il punto della situazione prima del buio, mentre i Cant-Z rientravano ad Augusta.
Erano le 20.33 quando, poche miglia più al largo, il Luogotenente Malcolm David Wanklyn**, Comandante del sommergibile “HMS Upholder” della British Royal Navy appartenente alla Flottiglia di Malta, vide apparirgli nette nel periscopio le sagome delle navi che si stagliavano sullo sfondo del luminoso tramonto: era in mare già da venti giorni e, nonostante fino a quel momento gli fosse riuscito di affondare soltanto un piccolo piroscafo, gli erano rimasti solo due siluri. Wanklyn decise di lanciarli entrambi: gli ordigni sfiorarono il “Freccia”, caposcorta, che sparò il Very verde per dare l’allarme e mise barra a sinistra per dare caccia e, insieme al “Corazziere” e al “Lanciere”, fu subito sull’unità nemica e, in meno di diciannove minuti, la misero fuori gioco danneggiandola seriamente con molte delle 37 cariche di profondità lanciate andate a segno. Sul Conte Rosso, che gli navigava sulla dritta a poca distanza, il segnale però non fu avvertito o, se lo fu, mancò il tempo per reagire con la manovra: fecero prima i siluri, squarciando lo scafo sulla sinistra, a proravia. Sulle prime sembrò che le esercitazioni di salvataggio fatte all’inizio del viaggio dovessero dare i loro frutti: i militari, secondo le disposizioni, si erano rapidamente concentrati a poppa, dove corse anche il Terzo Ufficiale di Guardia Predonzan che racconta: <<Dopo cinque minuti la nave cominciò ad appruarsi. Risuonò sinistro il “Si salvi chi può!” e fu il caos. Urlai, allora, ai militari infagottati nel salvagente di buttarsi in acqua. Ne spinsi parecchi oltre la murata, ma altri, non sapendo nuotare, non trovavano la forza di muoversi e si accovacciarono, vinti, ad attendere la morte. Tutto l’equipaggio civile si prodigò per ridurre le dimensioni del disastro: molti marinai pagarono con la loro vita la salvezza di oltre 1300 soldati. Non erano passati 10 minuti dal siluramento, che il Conte Rosso aveva già la poppa rivolta al cielo con le eliche che giravano ancora lentamente, sempre più alte sull’acqua. Il mare intorno brulicava di zattere e di teste, tutta gente in lotta disperata per la vita, tesa ad allontanarsi dal bastimento per evitare il tanto temuto gorgo. Dalle fiancate, ormai quasi verticali, grappoli di uomini scivolavano giù, appesi a penzoloni in posizione innaturale. Poi vi fu come un tuono, un immane ultimo respiro della nave, fatto di sibili e di schianti: lo scafo andò a picco veloce e diritto, quasi senza gorgo, mentre enormi bolle d’aria e di nafta salivano a galla, portando con se alla salvezza uomini già condannati.>> Erano effettivamente trascorsi soltanto otto minuti dall’ordine di lancio da parte del comandante Wanklyn quando il “Conte Rosso” affondò di prua a circa 10 miglia per 83° da Capo Murro di Porco in Sicilia (al largo di Siracusa): il relitto del Conte Rosso giace in posizione 36°41′ N, 15°42′ E.
Nessuno saprà mai quanta, tra la gente che era in acqua aggrappata ai rottami od alle zattere o sostenuta dal salvagente, perì prima di poter essere salvata: certo l’ingestione di nafta o il colpo dei sugheri alla carotide dovettero mietere subito molte vittime. Gran parte delle vittime non ebbe effettivamente il tempo di abbandonare la nave o fu strangolata dai propri giubbotti salvagente, dopo essersi tuffata da un’altezza di decine di metri: l’appruamento aveva infatti portato il Conte Rosso ad impennare la poppa molto al disopra della superficie. Il “Corazziere”, il “Lanciere”, la “Procione” e la “Pegaso”, quindi, presero a rastrellare il mare a lento moto, aiutandosi a tratti con i proiettori: le altre navi, invece, proseguirono con il convoglio, che giunse indenne a Tripoli il mattino seguente. Frattanto, da Augusta, salpavano in fretta una decina di pescherecci del dragaggio, diretti anch’essi verso la zona del disastro. Tra le navi soccorritrici giunse anche la nave ospedale “Arno”, che trasportava feriti da Bengasi (Libia) a Napoli e che alle ore 23.00 deviò la rotta verso il punto dell’affondamento. Tutto ciò, per centinaia di uomini, costituì quindi la differenza tra la morte e la vita: con esattezza per 1.432 di essi, tanti quanti furono i superstiti che, sin dalle prime ore del 25, cominciarono a sbarcare ad Augusta. Qui, il Comando della base navale era già in allarme, e pronto a riceverli, anche se il loro numero elevatissimo poneva subito dei problemi di natura logistica, ospedaliera e assistenziale. La città viveva, invece, ore ancora incerte: s’era saputo della tragedia, ma gliene sfuggivano le proporzioni e probabilmente soltanto quando una prima colonna di camion carichi di naufraghi passò in via Principe Umberto, diretta al Comando di Terravecchia, e la gente dai marciapiedi e dalle case poté vedere decine di giovani denudati sui cassoni, coperti dai soli teloni, con dipinta sul volto l’immagine della durissima prova sopportata, allora capì e si commosse. Da un balcone, una mano gettò su un camion un pane perché portasse un primo conforto ai naufraghi: fu l’inizio di una gara, che trovò il limite solo nelle ristrettezze d’un paese che non era ricco, non era grande, e per di più già risentiva delle restrizioni dovute alla guerra. <<Ricordo ancora la generosa popolazione di Augusta, che con le lacrime agli occhi ci fece una commovente accoglienza.>> scrive tal Eleuteri, un superstite, e Rustia, un altro la cui lettera sta in cornice nello studio del Sindaco: <<A noi naufraghi fu riservata un’accoglienza affettuosa e piena di attenzioni, che mai potremo dimenticare.>> Augusta praticamente li adottò: sia i 1432 vivi, sia i 1297 morti. Duecentotrentanove salme, tra cui quella del Capitano di Vascello Enrico De Bellegarde comandante militare del “Conte Rosso” furono recuperate e deposte sulla banchina sommergibili, che stentava a contenerle e ai funerali partecipò tutta la cittadinanza, frammista ai militari superstiti, che seguivano i feretri infagottati nelle tenute di fatica dei “marò” in attesa che dai depositi giungessero le nuove divise. Quelle salme, metà delle quali proseguirono per Siracusa per motivi di spazio, ricevettero un omaggio assiduo da parte degli abitanti di Augusta anche negli anni successivi, fin quando, verso il 1960, non ne venne disposta la definitiva traslazione ai paesi d’origine o al Sacrario messinese dedicato al Cristo Re.
L’affondamento della nave passeggeri “Conte Rosso”, adibita al trasporto truppe verso l’Africa Settentrionale, provocò il più alto numero di vittime umane in un singolo bastimento di tutta la Seconda Guerra Mondiale all’interno della Marina Italiana e David Wanklyn, comandante dell’ “HSM Upholder” fu decorato, per questo siluramento, con la Victoria Cross: sarebbe poi morto, disperso in mare, il 14 aprile 1942 al comando del suo sommergibile, affondato dalla torpediniera “Pegaso” mentre cercava di attaccare un altro convoglio italiano nella zona di Tripoli. Gli uomini del “Conte Rosso” sopravvissuti, quindici giorni dopo il naufragio, furono inviati – dopo una breve licenza – a combattere su tutti fronti, dall’Africa alla Russia dove patirono altre drammatiche prove. La guerra non poteva, infatti, avere riguardi per chi, seppur ancora scosso nell’intimo, era tutta via rimasto integro nel fisico.
Questo drammatico evento continua, anche a distanza di decenni, a essere oggetto di toccanti commemorazioni.
Nel 2007 l’Amministrazione Comunale di Augusta (SR) decise di commemorare la tragedia con un concerto della Fanfara del 12° Battaglione Carabinieri “Sicilia”. La compagine musicale militare si esibì, diretta dal Maresciallo Capo Paolo Mario Sena, il 19 maggio 2007. L’emozionante esibizione, presentata da Mirca Viola, si aprì con l’Ouverture “1812” di Pëtr Il’ič Čajkovskij particolarmente adatta coi suoi toni cupi, tristi e solenni che fanno pensare alla preghiera mesta per le vittime, quei lampi di cannone che richiamano la guerra e la morte, quei triangoli di sottofondo che fanno pensare all’allarme sulla nave che sta affondando nella concitazione nei soccorsi e quel suono cupo e potente alla fine che evoca l’ultimo richiamo del bastimento a vapore immediatamente prima di colare a picco http://youtu.be/doeb1fh3aec
Nel filmato, alcuni di voi probabilmente riconosceranno, al corno, il Brigadiere Alessandro Conte, Vice Capo Fanfara della Fanfara della Legione Allievi Carabinieri di Roma, nella tradizione molto bella dello scambio fra musicisti delle Fanfare dell’Arma – che speriamo possa continuare – alla quale la Fanfara dei Carabinieri di Palermo si è sempre prestata con entusiasmo.
* Con la medesima onomastica e per la stessa compagnia di navigazione, dai cantieri di Glasgow uscirono in breve periodo anche le navi Conte Biancamano, Conte Grande e Conte Verde: quest’ultima era un’unità similare al Conte Rosso, sebbene leggermente più piccola, mentre le altre due, di costruzione successiva, erano più grandi e presentavano varie differenze. http://transatlanticera.blogspot.it/2012/12/blog-post.html
Voglio pubblicamente ringraziare un tale Vivazza – musicista della Banda cittadina di Lugo di Romagna (sua terra natìa) nonché fervente sostenitore della Rivoluzione Francese, che tanta importanza ha avuto sull’origine stessa delle bande militari che mi propongo di continuare a seguire per amore e solo per amore – per aver chiesto un bel dì in isposa la cantante urbinate Anna Guidarini.
Voglio ringraziare una fantastica nonna (quale nonna non è di per sé fantastica per il semplice fatto di essere null’altro che due volte mamma!?) romagnola e una mamma paziente sempre pronta a seguire il marito nelle sue peregrinazioni tra Ravenna, Ferrara e Bologna nel tentativo di sfuggire alla cattura da parte delle truppe pontificie, tornate al potere dopo la Restaurazione.
Voglio ringraziare i fratelli Malerbi di Lugo, insegnanti di musica e – in particolare – di canto e un certo Maestro Prinetti per aver saputo dare al nostro “enfant prodige” i primi rudimenti nel campo della musica, del canto e della spinetta.
Voglio ringraziare gli insegnanti del Liceo musicale bolognese, presso il quale il “tedeschino” si appassionò tanto allo studio di Joseph Haydn e, soprattutto, di Wolfgang Amadeus Mozart (con il quale si può quasi immaginare un “passaggio del testimone” tra anime poiché la nascita del festeggiato seguì di soli tre mesi la sua morte).
Voglio ringraziare il direttore del il Teatro San Moisè di Venezia che scelse di dare fiducia a un giovanissimo compositore che presentò nel 1810 La cambiale di matrimonio, un’opera dal titolo più che mai attuale, e il Teatro del Fondo – oggi Teatro Mercadante – di Napoli che gli concesse il palco per rappresentare con successo la prima versione in musica della tragedia shakesperiana di Otello ossia l’Africano di Venezia (Giuseppe Verdi ne avrebbe scritta un’altra più drammatica tempo dopo).
Voglio ricordare con affettuosa e rinnovata meraviglia la gradevolissima e frizzante – sotto ogni aspetto – aria di Como e la bellezza serena della Villa Pliniana presso cui il Cigno compose la bellissima opera Tancredi.
Voglio regalare un ombrello agli imbecilli e agli invidiosi che, proprio nella mia città, decretarono con fischi, frizzi e lazzi il clamoroso e incredibile insuccesso de Il barbiere di Siviglia in occasione della prima che si tenne presso il Teatro Argentina e voglio invece regalare un fiore ai miei concittadini che l’applaudirono al Teatro Valle quando ebbero il privilegio di assistere alla prima di Cenerentola
Voglio ringraziare il San Carlo di Napoli per aver avuto il coraggio di affidargli addirittura la direzione del Teatro, permettendo così la messa in scena di opere qualiLa pietra del paragone, La gazza ladra, L’italiana in Algeri e Semiramide.
Voglio ringraziare la soprano spagnola Isabella Colbran, che del celebre compositore italiano fu per alcuni anni musa ispiratrice e consorte.
Voglio ringraziare Parigi che l’accolse senza la sua notoria “puzzetta sotto il naso” e ne comprese il genio e la grandezza: e come avrebbe potuto altrimenti dinanzi a Le Comte Ory e al mirabile capolavoro Guillaume Tell.
Voglio persino ringraziare nuovamente la summenzionata cantante spagnola perché durante la fase depressiva in cui egli entrò probabilmente in seguito a problemi coniugali risoltisi in parte con una separazione egli compose un bellissimo Stabat Mater, che riuscì a concludere in realtà soltanto alla morte del padre Giuseppe (il Vivazza di cui sopra).
Mi sento, seppure con qualche egoistica difficoltà, di ringraziare la sua seconda compagna di vita Olympe Pélissier, che lo supportò nella sua scelta di non comporre più musica, se non i Péchés de vieillesse per se stesso e pochi intimi, e di ritirarsi nella campagna francese di Passy: in fondo quegli anni avrebbero portato alla composizione di una memorabile Petite messe solennelle: d’altro canto non dev’essere stato facile non solo supportare, ma anche sopportare un uomo che definire “dalle mille sfaccettature” potrei considerarlo un eufemismo visto che egli fu al tempo stesso collerico e gioviale, ipocondriaco e amante della buona tavola, umorale e appassionato corteggiatore di belle donne, depresso e bon vivant, apatico eppure appassionato genio culinario sempre pronto a sperimentare nuove ricette, profondamente pigro eppure musicalmente iperattivo e molto altro…tanto che egli scrisse e riscrisse non so quante volte i finali delle sue stesse opere alternandone versioni a lieto fine e a versioni con finale che più drammatico non avrebbe potuto nemmeno Giuseppe Verdi (e, con tutto il rispetto per il venerabile Maestro raffigurato sulla nostra amata banconota da “millelire”, ho detto tutto…vero!?).
Voglio ringraziare la Serenissima Repubblica di San Marino, cui sono molto legata per “affinità elettive” e per affetto nei confronti della Banda Militare al gran completo, per aver concesso al genio italico (temo non sarebbe del tutto corretto definire italiano qualcuno nato e vissuto per la maggior parte del proprio tempo prima che l’Italia stessa nascesse) il titolo di nobile poiché di certo egli ha contribuito grandemente a nobilitare la musica.
Voglio ringraziare il Regno di Prussia che gli attribuì la sua più alta onorificenza, nominandolo Cavaliere “Pour le Mérite für Wissenschaften und Künste”, e il Regno di Francia che fece altrettanto, riconoscendogli il titolo di Grand’Ufficiale dell’Ordine della “Légion d’honneur”.
Voglio ringraziare il governo italiano per averne preteso la restituzione delle spoglie dalla terra di Francia (ciò avvenne in tempi biblici poiché egli morì di cancro – anche in questo caso: che modernità! – nel 1868, ma si dovette attendere sino al 1887) e alla magnifica Firenze per averle accolte nel “tempio dell’Itale glorie” (il monumento funebre realizzato da Giuseppe Cassioli e inaugurato nel 1900) presso la Basilica di Santa Croce: in tal modo ho potuto in qualche modo rendergli omaggio in occasione della mia visita a Firenze, ove mi ero recata per ascoltare e riprendere i concerti natalizi della Fanfara della Scuola Allievi Marescialli e Brigadieri dei Carabinieri.
Voglio ringraziare Pesaro, che il “nostro” nominò erede universale delle sue ingenti fortune poiché ivi era nato nel 1792, per aver utilizzato tali fondi per l’istituzione di un Liceo Musicale cittadino, poi divenuto nel 1940 Conservatorio Statale di Musica a lui intitolato.
Voglio ringraziare la Fondazione, erede dell’Ente Morale a cui erano state conferite proprietà e gestione del suo asse ereditario, per il il contributo che continua a dare allo studio e alla diffusione nel mondo della figura, della memoria e delle opere del celeberrimo compositore pesarese – anche attraverso l’annuale Opera Festival a lui intitolato e, soprattutto, per il sostegno che offre all’attività del Conservatorio che ha preparato alcuni dei migliori musicisti che io conosca (tra cui l’attuale direttore della Fanfara del IV Reggimento Carabinieri a Cavallo che è anche fine oboista nella Banda Musicale del Corpo della Gendarmeria Vaticana e debuttò giovanissimo nella prestigiosa European Union Youth Orchestra).
Voglio ringraziare Giuseppe Mazzini, uno dei padri spirituali della mia Nazione e della stessa Europa, che nel suo Filosofia della musica ebbe a definirlo «Titano di potenza e di audacia: il Napoleone d’un’epoca musicale.» e, data l’altissima considerazione che egli aveva di Napoleone non avrebbe potuto fargli complimento più grande.
Voglio ringraziare Marie-Henri Beyle, meglio noto come Stendhal (e scusate se è poco) per aver saputo mirabilmente sintetizzare il suo pensiero sul genio pesarese nella sua biografia – probabilmente romanzata e non del tutto attendibile, ma intrigante – nella prefazione: «Lo invidio più di chiunque abbia vinto il primo premio in denaro alla lotteria della natura poiché, a differenza di quello, egli ha vinto un nome imperituro, il genio e, soprattutto, la felicità.» (ha un sapore di menagramo visto che il Maestro era ancora vivo quando il francese ne scrisse la Vita).
Ora, probabilmente, avete sin qui pensato ch’io volessi commemorare tristemente l’assenza, giustificata per precoce “scomparsa” dovuta a un “brutto male” che ha “spento” il Maestro (*)…..ahiahiahi! ma allora non avete capito alcunché del carattere dello straordinario Giovacchino Antonio…ops! Mi perdoni, Maestro: chiedo venia….avevo dimenticato ch’ella preferisca essere chiamato semplicemente Gioachino (con un “c” sola, vero? Glielo dica ai miei lettori più pignoli!). Io qui voglio festeggiare il duecentoventiduesimo (avete letto bene: sono 222 candeline da spegnere) di Gioachino Rossini!!! Siccome siamo entrambi molto generosi, vi invitiamo tutti quanti a un mega party: il Maestro ha realizzato uno spettacolare menù (in confronto, miei cari, i giurati di Masterchef sono iscritti al primo anno della scuola alberghiera) per la cena e io mi metto alla consolle…voi dovete soltanto gustarvi la festa…e magari ballare.
L’ultimo brano era non solo l’ultimo in ordine cronologico che ho trovato in rete, ma rappresenta anche un momento per finire in calma e serenità la serata….altrimenti rischiate di essere colti dalla frenesia de La Danza e di continuare a ballare per tutta la notte: la maggior parte di noi non ha più l’età per queste “follie”.
Questo, invece, è il mio personalissimo augurio al Maestro: più azzeccato di così…al suo carattere e al suo modo di affrontare la musica e la vita, secondo me non ne trovereste manco doveste campare anche voi dueceventidue anni e più…
Eh, già! Non vorrete mica davvero considerarlo morto: quelli come lui sono immortali!!!! Se fosse morto, non gli avrei mica dedicato un pomeriggio…
P.s.: Voglio ringraziare l’attuale direttore della Banda Musicale dell’Esercito per avermi letto nel pensiero (in questo caso si possono definire “affinità e-lettive”) e avermi inviato i codici di accesso ad alcuni dei video di cui sopra, che spero abbiano fatto apprezzare a tutti voi l’estrema brillantezza ritmica che rasenta la frenesia – segnando un netto stacco rispetto allo stile degli operisti del Settecento, dai quali comunque ricavò stilemi e convenzioni formali – e l’assoluta genialità del famoso «crescendo rossiniano» che dona alla musica un tratto surreale che mi ha richiamato alla mente la favola e il film da cui ho ricavato il mio messaggio di auguri finale e che riesce a combinarsi perfettamente tanto con argomenti tratti dal teatro comico quanto con i soggetti tragici che Rossini scelse per le sue opere. A proposito di opere….tanto per darvi un’idea della sua proverbiale “pigrizia” eccovene l’elenco – spero completo, ma non ci giurerei:
Opere liriche (tra parentesi luogo e data della prima rappresentazione):
La cambiale di matrimonio (Teatro San Moisè, Venezia, 3 novembre 1810), L’equivoco stravagante (Teatro del Corso, Bologna 26 ottobre 1811), L’inganno felice (Teatro San Moisè, Venezia 8 gennaio 1812), Demetrio e Polibio (Teatro Valle, Roma, il 18 maggio 1812), Ciro in Babilonia ossia La caduta di Baldassare (Teatro comunale, Ferrara, 14 marzo 1812), La scala di seta (Teatro San Moisè, Venezia, 9 maggio 1812), La pietra del paragone (Teatro alla Scala, Milano, 26 settembre 1812), L’occasione fa il ladro ossia Il cambio della valigia (Teatro San Moisè, Venezia, 24 novembre 1812), Il signor Bruschino ossia Il figlio per azzardo (Teatro San Moisè, Venezia, 27 gennaio 1813), Tancredi (Gran Teatro La Fenice, Venezia, 6 febbraio 1813), L’Italiana in Algeri (Teatro San Benedetto, Venezia, 22 maggio 1813), Aureliano in Palmira (Teatro alla Scala, Milano, 26 dicembre 1813), Il Turco in Italia (Teatro alla Scala, Milano, 14 agosto 1814), Sigismondo (Teatro La Fenice, Venezia, 26 dicembre 1814), Elisabetta, Regina d’Inghilterra (Teatro di San Carlo, Napoli, 4 ottobre 1815), Torvaldo e Dorliska (Teatro Valle, Roma 26 dicembre 1815), Il barbiere di Siviglia (Teatro Argentina, Roma, 20 febbraio 1816, col titolo Almaviva ossia l’inutile precauzione), La gazzetta (Teatro dei Fiorentini, Napoli, 26 settembre 1816), Otello ossia L’Africano di Venezia (Teatro del Fondo, Napoli, 4 dicembre 1816), La Cenerentola ossia La bontà in trionfo (Teatro Valle, Roma, 25 gennaio 1817), La gazza ladra (Teatro alla Scala, Milano, 31 maggio 1817), Armida (Teatro San Carlo, Napoli, 11 novembre 1817), Adelaide di Borgogna (Teatro Argentina, Roma, 27 dicembre 1817), Mosè in Egitto (Teatro San Carlo, Napoli, 5 marzo 1818), Ricciardo e Zoraide (Teatro San Carlo, Napoli, 3 dicembre 1818), Ermione (Teatro San Carlo, Napoli, 27 marzo 1819), Eduardo e Cristina (Teatro San Benedetto, Venezia, 24 aprile 1819), La donna del lago (Teatro San Carlo, Napoli, 24 ottobre 1819), Bianca e Falliero ossia Il consiglio dei Tre (Teatro alla Scala, Milano, 26 dicembre 1819), Maometto II (Teatro San Carlo, Napoli, 3 dicembre 1820), Matilde di Shabran ossia Bellezza e cuor di ferro (Teatro Apollo, Roma, 24 febbraio 1821), Zelmira (Teatro San Carlo, Napoli, 16 dicembre 1822), Semiramide (Teatro La Fenice, Venezia, 3 febbraio 1823), Ugo Re d’Italia (progettata a Londra nel 1824, forse ne compose un atto – perduta), Il viaggio a Reims, ossia L’albergo del giglio d’oro (Théâtre des Italiens, Parigi, 19 giugno 1825), Adina (Teatro Reale São Carlos, Lisbona, 22 giugno 1826), Ivanhoé (Teatro dell’Odéon, Parigi 15 settembre 1826, pastiche), Le siège de Corinthe rifacimento di Maometto II (Académie Royale de Musique=Opéra, Parigi, 9 ottobre 1826), Moïse et Pharaon ou Le passage de la Mer Rouge, rifacimento di Mosè in Egitto (Académie Royale de Musique, Parigi, 26 marzo 1827), Le Comte Ory (Académie Royale de Musique, Parigi, 20 agosto 1828), Guillaume Tell (Académie Royale de Musique (Opéra), Parigi, 3 agosto 1829), Robert Bruce, pastiche con musiche di Rossini sulla figura di Roberto I di Scozia (Académie Royale de Musique, Parigi 3 dicembre 1846)
Musiche di scena
Edipo a Colono, prima del 1817: musiche per l’Edipo a Colono di Sofocle della traduzione fattane da Giambattista Giusti
Cantate
Il pianto d’Armonia sulla morte di Orfeo (1808), Dalle quiete e pallid’ ombre (1812), Egle ed Irene conosciuta anche come Non posso, oh Dio, resistere (1814), L’Aurora (1815), Le nozze di Teti, e di Peleo (prima esecuzione 1816), La morte di Didone (1818),Omaggio umiliato a Sua Maestà dagli… (1819), Cantata da eseguirsi la sera del dì 9 maggio 1819… (esecuzione 09/05/1819), La riconoscenza (1821), La Santa Alleanza (1822), Il vero omaggio (1822), Omaggio pastorale (1823), Il pianto delle Muse in morte di Lord Byron (1824), Cantata per il battesimo del figlio del banchiere Aguado (1827), Giovanna D’Arco (1832), Cantata in onore del Sommo Pontefice Pio IX (01/01/1847),
Inni e cori
Inno dell’Indipendenza: “Sorgi, Italia, venuta è già l’ora” (1815), De l’Italie et de la France (1825), Coro in onore del Marchese Sampieri (1830), Coro per il terzo centenario della nascita del Tasso “Santo Genio de l’itala terra” (1844), Grido di esultazione riconoscente al Sommo Pontefice Pio IX “Su fratelli, letizia si canti” (1846), Coro delle Guardia Civica di Bologna “Segna Iddio né suoi confini” (1848), Inno alla Pace “È foriera la Pace ai mortali” (1850), Hymne à Napoléon III et à son Vaillant Peuple “Dieu tout puissant” (1867),
Musica sacra
Messa (Bologna 1808), Messa (Ravenna 1808), Messa (Rimini 1809), Messa (Lugo primi anni dell’Ottocento), Laudamus
Quoniam (1813), Miserere Messa di Gloria (Napoli 1820), Preghiera “Deh tu pietoso cielo” (1820), Tantum ergo (1824), Stabat Mater (1832/42), Trois chœures religieux: La Foi, L’Espérance, La Charité (1844), Tantum ergo (1847), O salutaris hostia (1857), Laus Deo (1861), Petite messe solennelle (1863), Dixit Domino.
Musica vocale
Se il vuol la molinara (1801), Dolce aurette che spirate (1810), La mia pace io già perdei (1812), Qual voce, quai note (1813), Alla voce della gloria (1813), “Amore mi assisti” Pezzi per il Quinto Fabio (1817), Il Trovatore “Chi m’ascolta il canto usato” (1818), Il Carnevale di Venezia “Siamo ciechi, siamo nati” (1821), Beltà crudele “Amori scendete propizi al mio cuore” (1821), Canzonetta spagnuola “En medio a mis colores” o “Piangea un dì pensando” (1821), Infelice ch’io son (1821), Addio ai viennesi “Da voi parto, amate sponde” (1822), Dall’oriente l’astro del giorno (1824), Ridiamo, cantiamo che tutto sen va (1824), In giorno sì bello, Tre quartetti da camera, Les adieux à Rome “Rome pour la dernière fois”, Orage et beau temps “Sur le flots incostants” (1829-30), La passeggiata Anacreontica “Or che di fior adorno” (1831), La dichiarazione “Ch’io mai vi possa lasciar d’amare” (1834), Soirées musicales Collezione di 8 ariette e 4 duetti. (1830-1835), Deux nocturnes (1835), Nizza “Nizza, je puis sans peine” (1836), L’ame délaissée “Mon bien aimé” (1844), Inno popolare a Pio IX (1846), Francesca da Rimini “Farò come colui che piange e dice” (1848), La separazione “Muto rimase il labbro” (1857), Deux nouvelles compositions (1861).
Musica strumentale
Sei sonate a quattro (1804), Duetti per corno, Sinfonia in Re maggiore (1808), Sinfonia in Mi bemolle maggiore (1809), Variazioni in Fa maggiore a più strumenti obbligati (1809), Variazioni in Do maggiore per clarinetto obbligato e orchestra (1809), Andante e tema con variazioni per clarinetto (1812), Andante e tema con variazioni per arpa e violino (1815-22), Passo doppio per banda militare (1822), Valzer in Mi bemolle maggiore (1823), Serenata (1823), Duetto per violoncello e contrabbasso (1824), Rendez-vous de chasse (1828), Fantasia per clarinetto e pianoforte (1829), Mariage de S.A.R. le Duc d’Orléans: Trois marches militaires (1837), Scherzo per pianoforte, in la minore (1843 e 1850), Tema originale di Rossini variato per violino da Giovacchino Giovacchini (1845), Marcia (pas-redoublé) (1852), Thème de Rossini suivi de deux variations et coda par Moscheles Pere (1860), La Corona d’Italia (1868)
Péchés de vieillesse (raccolta di vari pezzi distribuiti in 14 volumi)
Volume I – Album italiano, Volume II – Album français, Volume III – Morceaux réservés, Volume IV – Quatre hors-d’œuvres et quatre mendiants, Volume V – Album pour les enfants adolescents, Volume VI – Album pour les enfants dégourdis, Volume VII – Album de chaumière, Volume VIII – Album de château, Volume IX – Album pour piano, violon, violoncello, harmonium et cor, Volume X – Miscellanée pour piano, Volume XI – Miscellanée de musique vocale, Volume XII – Quelques rien pour album, Volume XIII – Musique anodine, Volume XIV – Altri péchés de vieillesse.
(*) Avete caso che sui mezzi di comunicazione di massa non dicono “E’ morto” oppure “E’ defunto”, ma cercano sempre nuovi contorsionismi linguistici? Mah!