2024: Capi di Stato e di Governo in visita ufficiale in Italia

Roma, 18 Gennaio 2024

(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Il Presidente della Repubblica Italiana (Sergio Mattarella) ha ricevuto – nel Palazzo del Quirinale – il Presidente della Repubblica del Kazakistan (Kassym-Jomart Tokayev). La Banda musicale dell’Esercito Italiano, diretta dal Maestro Magg. Filippo Cangiamila, ha eseguito gl’inni nazionali dei due Paesi – Menıñ Qazaqstanym, composto da Şämşi Qaldayaqov nel 1956 e adottato quale inno nazionale della Qazaqstan Respublikasy (da noi un tempo chiamato Cosacchia o Terra dei Cosacchi) nel 2006, e Il canto degli Italiani, composto e scritto, nel 1847, da Michele Novaro (che si basò su un poemetto patriottico scritto da Goffredo Mameli) e divenuto inno nazionale della Repubblica Italiana nel 2017 (de facto lo era già dal 1946) – e la marcia d’ordinanza del 3° reggimento Granatieri di Sardegna (nota con il titolo I pifferi), composta nel 1775 per quest’antica e gloriosa specialità dell’Armata Sarda poi del Regio Esercito e infine dell’Esercito Italiano. Lo schieramento d’onore ha visto impegnati, oltre alla formazione musicale principale dell’Esercito Italiano e ai militari del 1° reggimento Granatieri di Sardegna, una formazione di Corazzieri a cavallo.

video realizzato dai tecnici del laboratorio audiovisivi della Presidenza della Repubblica Italiana

Al termine dell’incontro – cui ha preso parte anche il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e Vice Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana (Antonio Tajani) – i due presidenti si sono intrattenuti a colazione. Poi il Presidente Tokayev, accompagnato dal Ministro Tajani, si è recato a Palazzo Chigi: ad accoglierlo, la Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana (Giorgia Meloni) e il Ministro della Difesa (Guido Crosetto). 

Qui lo schieramento d’onore era composto da militari della Compagnia d’Onore dell’Aeronautica Militare:

video realizzato dai tecnici del laboratorio audiovisivi della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana

La Banda musicale dell’Aeronautica Militare, diretta dal 1° Lgt. Giuseppe Fiumara, ha suonato la marcia d’ordinanza dell’Aeronautica Militare italiana: il primo direttore del Corpo Musicale della Regia Aeronautica (poi Aeronautica Militare), il Maestro Alberto Di Miniello, la compose ispirandosi al celebre balletto Amor di Romualdo Marenco:

video registrato da Luigi Bloise per Alamari Musicali in occasione di un concerto della Fanfara del Comando 1^ regione aerea, diretta dal 1° Lgt. Orch. Antonio Macciomei

Nikolajewka… Ritorno alla baita

Il racconto audiovisivo del concerto NIKOLAJEWKA…RITORNO ALLA BAITA della Musica di ordinanza della Brigata alpina Julia dell’ Esercito Italiano nell’auditorium dell’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente Stefano Sabbatini a Pozzuolo del Friuli – che non sarebbe stato possibile senza Marco Vidoni e il “suo” OverlandChannel – ha inizio con l’esecuzione della marcia di ordinanza dell’Esercito Italiano, diretta dal Graduato Aiutante Calogero Scibetta.

Questa marcia, in origine, era dedicata al Comandante della Banda dell’Esercito (Col. Francesco Pellegrini). Quando il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano (Gen. Giulio Fraticelli) ebbe modo di ascoltarlo, rimase talmente colpito dal tema principale, ispirato al Coro dei Pellegrini dal Tannhäuser di Richard Wagner, che la volle subito come Marcia d’Ordinanza dell’Esercito Italiano. Con il titolo 4 MAGGIO, data in cui nel 1861 fu fondato l’Esercito Italiano, la marcia composta dal Maestro Fulvio Creux fu presentata ufficialmente la prima volta il 29 aprile 2004 alla presenza del Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, che ne siglò l’avallo definitivo.

Poi la Musica di ordinanza della Brigata alpina Julia, diretta dal proprio Capomusica (Sergente Maggiore Flavio Mercorillo) ha eseguito un brano del noto compositore lussemburghese Georges Sadeler: DOLOMITI.

La composizione – vincitrice del VI Concorso internazionale di composizione per marce Città di Allumiere nel 2021 e del Trofeo Maestro Rossano Cardinali (fu clarinetto nella Banda musicale dell’Arma dei Carabinieri) – presenta i tratti tipici della marcia in stile nord- europeo: è costituita da una prima parte solenne, da un Trio dal tipico carattere lirico seguito da una piccola ripresa del tema iniziale che avvia la composizione verso la sua conclusione.

Jo sol stade a confessami, Olin bevi, Vin sudàt, Giovanin color di rose: sono solo alcune delle villotte friulane contenute nel medley FOLK VALZER (RAPSODIE FURLANE) eseguito dalla Musica di ordinanza della Brigata alpina “Julia” ( Esercito Italiano) durante il concerto NIKOLAJEWKA…RITORNO ALLA BAITA.

Le Villotte – composizioni polifoniche, caratterizzate da un breve testo poetico popolare, legate all’antica tradizione del canto popolare friulano – si diffusero in Friuli a partire dal XV secolo. La trascrizione più antica di una canzone friulana riporta la data del 14 aprile 1380: il testo della ballata – intitolata Piruç myò doç inculurit – era stato inserito addirittura un documento rogato, redatto da un notaio a Cividale del Friuli in quell’anno. Circa tre secoli dopo, un tale Ermes di Coloredo (Colloredo di Monte Albano, 1622 – Gorizzo di Camino al Tagliamento, 1692) trasformò la villotta da canto di tradizione orale a produzione compositiva d’autore. Due secoli oltre, le ballate friulane cominciarono a essere raccolte (a partire dal 1865 per i versi e dal 1892 per quanto riguarda la musica) e catalogate per soggetti: l’amore, la natura, l’invito sessuale, il sarcasmo, la canzonatura, la rivendicazione, la guerra, l’emigrazione. La raccolta più nota rimane, ancora oggi, quella di Adelgiso Fior (1954, Milano, ristampa anastatica a cura dell’Associazione Culturale Fûrclap 2003), che censisce circa quattrocento Villotte friulane. Tuttavia si ritiene che le Villotte siano molte di più, circa 600 con oltre 1700 varianti!

Poi il Capomusica – Sergente Maggiore Flavio Mercorillo – ha ceduto la bacchetta al Graduato Capo Giorgio Cannistrà affinché dirigesse una composizione originale per banda scritta, in tempi moderni a noi contemporanei, da un autore italiano. Incredibile, ma vero! Mi riferisco, ovviamente, al fatto che raramente i compositori italiani dedicano attenzione ai corpi bandistici.

Federico Agnello é nato in un “porto di mare” (nel senso più letterale del termine, visto e considerato che é nato ad Augusta, in provincia di Siracusa), ha musicalmente navigato dal Conservatorio Arcangelo Corelli di Messina a molti festival nazionali e internazionali di musica originale per banda ed é infine approdato al Conservatorio Francesco Antonio Bonporti di Trento (dove si sta perfezionando in strumentazione e direzione di banda). Dai luoghi di questa meravigliosa zona si é evidentemente lasciato ispirare nella composizione di un brano per il Corpo Bandistico di Andalo dal titolo FROST RHAPSODY, nel quale ha saputo descrivere talmente bene le atmosfere magiche della montagna da aver conquistato il primo premio al quinto concorso internazionale di composizione per banda giovanile Città di Sinnai (2014). L’introduzione é coinvolgente e invitante: quel tanto da invogliarci a incamminarci alla scoperta dei sentieri della montagna, seppure impervi e scoscesi. La fatica e i rischi del cammino – che si ritrovano nella parte “oscura” che segue la prima parte del brano – sono premiati dalla soddisfazione del panorama di cui si può godere una volta raggiunta la vetta (come si respira nel tema iniziale, ripreso in forma “grandiosa”). A questo punto, si palesa Frost, la leggendaria figura del gelo, rappresentato da un dolce solo di flauto e un particolare effetto di fischi (il vento?) porta la neve: una sezione dolce che, con temi sottili e fluidi, descrive prima la neve che si posa dolcemente sul terreno e poi la maestosità della montagna completamente innevata. E dalla poesia alla magia e al divertimento il passo é breve: i pupazzi di neve prendono vita e trasportano l’ascoltatore, con ritmiche e armonie cangianti, verso un finale rallegrante che descrive le attività ludiche e sportive tipiche delle vacanze invernali in montagna. Gli organizzatori di Milano Cortina 2026 e l’Ente Nazionale per il Turismo dovrebbero prenderlo in considerazione per realizzare uno spot promozionale! Oppure dovrebbero commissionarne uno nuovo al compositore e affidarne l’esecuzione alla Musica di ordinanza della Brigata alpina Julia! Come accadde, per esempio, al medico, chimico e compositore russo Aleksandr Porfir’evič Borodin. Nel 1879 gli venne affidata la realizzazione di uno dei cosiddetti dodici tableaux vivants per celebrare il giubileo d’argento dello zar Alessandro II, celebre anche per fatto espandere l’Impero russo verso est. A dire il vero, a causa del tentato omicidio dello zar (avvenuto nel mese di febbraio di quello stesso anno, nel Palazzo d’Inverno), il progetto iniziale non fu realizzato. Ma il poema sinfonico era stato composto (e fu eseguito in pubblico, proprio nel teatro del Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo – l’8 aprile 1880 – dalla Orchestra dell’Opera Russa diretta da Nikolaj Rimskij-Korsakov) ed è tuttora ben accolto nelle sale da concerto. Come in questa occasione, pressoché perfetta, a Pozzuolo del Friuli da parte dei musicisti della Julia, diretti dal Graduato scelto Antonio Tomaipitinca.

In una steppa desertica nella zona del Caucaso si ode una canzone russa poi, in lontananza, il trotto di cavalli e cammelli e una melopea orientale racconta il passaggio di una carovana di genti indigene (probabilmente di etnia armena o azera), scortata da un plotone di soldati russi. Mentre la carovana si allontana lentamente dall’ipotetico luogo in cui viene immaginificamente a trovarsi l’ascoltatore, fino a scomparire dalla linea dell’orizzonte, la canzone russa e il canto asiatico si fondono in una sola armonia che si perde nella steppa: una struttura semplice, ma oltremodo efficace, che presenta i due temi caratteristici prima indipendenti poi insieme in contrappunto, mentre le lunghe note tenute ed in ritmo di marcia evocano la traversata di un paesaggio più che vasto, senza limiti. L’arrangiamento per banda di Flavio Vicentini non ha fatto perdere tale sapienza narrativa alla composizione originale di NELLE STEPPE DELL’ASIA CENTRALE. Lo stesso si può dire dell’arrangiamento per banda che Fulvio Creux ha scritto della FANTASIA EROICA di Francesco Paolo Neglia.

Il Maestro Creux in persona così la descrive: “La Fantasia Eroica è stata scritta alla vigilia della Grande Guerra: è un grande affresco sonoro ricco di contenuto, che mai cade nella banalità o nella retorica, come avviene per molta musica coeva, specie per banda; in essa possiamo comprendere la tensione e l’ideale creativo di questo compositore, che anticipa di 10 anni la più nota esperienza dei compositori della cosiddetta “generazione dell’80”, ottenendo risultati di pregio in un’epoca nella quale il travaglio per il trapasso tra l’imperante genere lirico ed il nascente (per l’Italia) genere sinfonico era molto sentito: sapienza contrappuntistica, ricchezza armonica, eleganza melodica sono gli ingredienti capaci di fare del compositore siciliano una figura significativa della composizione musicale nel primo ‘900 in Italia. L’indicazione iniziale è “Tempo di Marcia”, ma il richiamo è solo nell’agogica, nulla di più. Ben si coglie, in questo brano, la accennata sapienza contrappuntistica dell’autore: si susseguono/alternano tre idee principali: Tema squillante (ascendente) delle Trombe, sviluppato come un Fugato; Movimento a gradi congiunti di Crome; Tema cantabile, affidato da principio ai Clarinetti, che poi tornano tutte e tre sovrapposte, nel climax
della composizione che precede (dopo aver ripreso il Tema iniziale “Inverso”, discendente questa volta) la solenne Coda conclusiva.”

Il Graduato Scelto Damiano Giacomuzzi, oltre a introdurre i brani musicali in programma, ha letto alcune parti del romanzo autobiografico di Giulio Bedeschi Centomila gavette di ghiaccio per contestualizzare, anche per mezzo della proiezione di immagini d’epoca, il dramma della battaglia di Nikolajewka e della ritirata di Russia. Tutto il programma musicale è stato, infatti, pensato per raccontare in musica quella tragica campagna militare.

Nikolajewka è la località spersa nella vasta pianura russa, dove scorre il fiume Don, divenuta famosa per la battaglia disperata ingaggiata dagli uomini della Divisione Tridentina, unitamente a quelli d’altre unità combattenti alpine, per uscire dall’accerchiamento che l’esercito sovietico aveva creato attorno a queste truppe e ad altri quarantamila sbandati sia dell’armata italiana sia delle forze alleate (tedeschi, ungheresi e rumeni). Il 26 gennaio 1943, con 30° gradi sotto zero, dopo giorni di ritirata sempre incalzati dalle truppe e dai partigiani russi, con equipaggiamento “standard”, cioè che andava bene sia in Africa sia in Russia, e con armi inadeguate (arma individuale era il moschetto mod.1891), gli alpini, quasi con un atto disperato, urlando e brandendo i fucili a mo’ di clava dopo aver terminato le munizioni, incitati dal loro comandante, il generale Riverberi, che dall’alto di un carro armato tedesco, a più riprese, urlava “Avanti Tridentina!”, riuscirono a rompere l’accerchiamento prendendo di sorpresa i russi che rimasero sbigottiti di tanta irruenza. Ma la vittoria non fu incruenta! Gli alpini, che già erano stati decimati nelle settimane precedenti dal meglio equipaggiato ed armato esercito sovietico, ma, soprattutto, dal grande gelo dell’inverno russo, lasciarono migliaia di morti e di feriti sulla neve della piana di Nikolajewka che precedeva il terrapieno della ferrovia oltre la quale si apriva la via del ritorno a casa. A Bepi De Marzi é stata sufficiente una sola parola per descrivere quel dramma, ma la narrazione da parte di Damiano Giacomuzzi l’ha trasformata in un “docufilm” che lascia il segno in chi ne ascolta l’esecuzione diretta dal Sergente Maggiore Flavio Mercorillo.

Mi ha colpito molto anche la descrizione che ne ha fatto Sergio Piovesan: “LE VOCI DI NIKOLAJEWKA non contiene un testo, ma solo una parola, Nikolajewka, che scandisce la musica di questo canto con una melodia minimamente ispirata alla musica popolare russa, una melodia che, sembrando provenire da lontano, ricorda dapprima il miraggio della salvezza che per molti, invece, termina con le urla di chi è senza speranza; sono quindi le voci della disperazione che ci vogliono ricordare quanto la guerra sia crudele, brutale e disumana, qualsiasi guerra, anche quella che oggi è considerata “giusta”. Non esistono guerre di questo tipo! Fu, quella che terminò 60 anni fa, una guerra che sconvolse il mondo e che procurò immani sofferenze ai soldati, alle popolazioni civili ed alle comunità ebraiche. E noi cantiamo LE VOCI DI NIKOLAJEWKA, e lo canteremo sempre, invitando il pubblico ad ascoltare il brano nello spirito del ricordo e come ammonimento per adoperarsi tutti affinché non vi siano altre “Nikolajewke”.”

Fu un’altra guerra (la cosiddetta Grande Guerra, la Prima Guerra Mondiale) a ispirare Arturo Zardini, un maestro di Pontebba (paese che, all’epoca, si trovava sul confine italo-austriaco: l’abitato dall’altra parte del fiume che segnava la linea di demarcazione si chiamava Pontafel) profugo a Firenze. Forse proprio in Piazza della Signoria, leggendo sul giornale le notizie delle stragi che avvenivano al fronte, lo Zardini, commosso e rattristato da quelle vicende, trasse l’ispirazione del testo e della musica. STELUTIS ALPINIS é, infatti, un canto d’autore. Da molti è ritenuto di origine popolare (caratteristica comune a tutti quei canti che, nel testo e nella musica, raggiungono livelli di poesia tanto alta da diventare patrimonio di tutto il popolo), ma popolare lo divenne subito dopo: fu fatto proprio dagli Alpini, sia friulani sia di altre regioni, e ancora oggi é considerato il canto simbolo non solo delle truppe alpine, ma anche del popolo friulano. La Musica di ordinanza della Brigata alpina Julia ne ha eseguito l’arrangiamento per banda di Paolo Frizzarin,

È un compendio di sofferenze, di dedizioni, di intimità, di affetti, di certezze. Non più canto, non villotta, ma preghiera profonda e, nello stesso tempo, semplice ed umana. Ma per i Friulani non é soltanto il canto dell’Alpino morto, ma un inno per la loro terra che, dopo quella immane tragedia, ha vissuto (affrontandole sempre con dignità e superandole, spesso proprio con l’aiuto degli Alpini della Brigata Julia) altre sofferenze: un’altra guerra, invasioni straniere, lotte fratricide, dolorose emigrazioni, terremoti…

Inevitabilmente, mentre scrivo, il mio pensiero va alle vittime, ai feriti, ai dispersi e ai soccorritori impegnati nelle aree del Kurdistan settentrionale e occidentale, della Siria e della Turchia colpite – proprio poche ore dopo la fine del concerto NIKOLAJEWKA…RITORNO ALLA BAITA. Zone già straziate da guerre fratricide. Zone in cui, probabilmente, i nostri Alpini potrebbero portare fratellanza e pace mentre soccorrono e ricostruiscono. Come hanno sempre fatto. Come tutti, nel mondo, gli riconoscono. Con il VALORE ALPINO

VALORE ALPINO, nota anche come Trentatré, fu scritta per il battaglione Susa da Eugenio Palazzi (le parole sono, invece, di Camillo Fabiano), ispirato a una canzonetta francese intitolata Fìers Alpins, e prese subito una tal voga da essere. cantato da tutte le truppe alpine al fronte durante la Grande Guerra fino a diventarne canto ufficiale e marcia di ordinanza.

Ben altra storia ha IL CANTO DEGLI ITALIANI (scritto e composto nel 1847 da Michele Novaro e basato su poemetto patriottico di Goffredo Mameli), inno nazionale della Repubblica Italiana, con cui si é concluso il concerto.

Ma é, per l’appunto, tutta ‘nata storia che non starò qui a raccontarvi.

DAMNATIO MEMORIAE

GENESI, VITA, VICISSITUDINI, GIOIE E DOLORI DI UN INNO

Damnatio memoriae : perché dare questo titolo a queste brevi note riguardanti l’inno della Brigata “ Sassari” dell’Esercito Italiano, divenuto – sin dai primi momenti successivi alla sua composizione da parte dell’autore – popolarissimo sia in Sardegna e in Italia sia in numerose altre parti del mondo? Per il motivo, tanto semplice quanto increscioso, che mentre moltissime persone conoscono DIMONIOS, pochissime sanno chi l’abbia scritto e composto. Nell’Antica Roma, una persona invisa al Senato o al Popolo veniva condannata all’oblio e il suo nome veniva persino cancellato – se necessario, a colpi di scalpello – da ogni monumento a lei dedicato e da ogni sua opera materiale o puramente intellettuale. Non ne avevo, sino ad ora, compreso il motivo, ma ho sempre avuto la sensazione che qualcosa di simile fosse accaduto all’autore di questo bellissimo inno tanto caro a tutti coloro che amano la musica e, in particolar modo, quella con gli alamari e le stellette… Non avrei osato sperare che l’autore in questione seguisse l’attività divulgativa di Alamari Musicali sui social (in particolare su Facebook / Meta) e che mi contattasse (seppure tramite interposta persona). Questo, invece, é accaduto pochi minuti prima che mi accingessi a scrivere questa introduzione: a ventotto anni – quasi esatti! – da quell’autunno dell’anno millenovecentonovantaquattro in cui il Tenente Colonnello Luciano Sechi di Magomadas (Oristano), all’epoca Capitano in forza alla Brigata “Sassari” ne compose l’inno.

Ho deciso di riportare, parola per parola, il suo racconto: Penso sia una sorta di dovere morale anche nei confronti dei soldati che, avendo compreso immediatamente e apprezzato lo sforzo del proprio Capitano di non usare parole grondanti retorica o esaltazione nel racconto della epopea della eroica Brigata cui essi stessi appartenevano, ne hanno spontaneamente determinato la diffusione – come avveniva nelle trincee durante la Grande Guerra (1915 – 1918) che vide protagonisti i loro predecessori – cantandolo nelle riunioni conviviali e nelle feste paesane dalle piane del Campidano fino al Logudoro e persino negli ovili durante le feste per la tosatura. Il suono delle launeddas, il canto a cuncordu e il “virile” boh…boh.. del canto a tenores palesemente martellante hanno fatto il resto.

LA VERA STORIA DI DIMONIOS.

Ricordo come se fosse ieri quella mattina di fine settembre del 1994 nel cortile della Caserma Alberto Bechi Luserna a Macomer, sede del 45° reggimento Reggio. ero arrivato da quattro anni dalla nebbiosa Torino e iniziavo a godermi le bellezze della mia isola e del suo splendido clima. quel giorno tutta la caserma era in fermento…arrivava in visita al reparto, il Gen. Nicolò Manca da Ortueri, primo Comandante sardo della Sassari (per noi valeva più di una decorazione), per me fu una grande emozione: il mio Comandante diretto alla Cremona (appartenevo allora alla Compagnia Controcarri di stanza a Pinerolo) era lì, mio Comandante di Brigata. Mi vennero in mente le giornate “torinesi”, il buio cortile del condominio di Corso Sebastopoli dove abitavamo, rallegrato dalle voci dei bambini tra i quali anche mio figlio che in qualche modo cercava di giocare con i più grandi tra i quali il figlio dell’allora Colonnello Manca. Ricordavo la figura di quel bersagliere sardo che, per caricarci e spiegarci le fasi di qualche cerimonia o esercitazione, disdegnando i palchi e le tribune saliva sulle camionette. Sempre con il sorriso, ma inflessibile nell’indicare ad un gruppo di Ufficiali ritardatari la porta di uno splendido bar al centro di Cremona dove manco a dirlo eravamo tutti invitati ed eravamo veramente tanti a vedere il pallore dei quattro malcapitati.
Torniamo al fatidico settembre del 1994…come tutti gli altri …lo saluto formalmente e lui come se non lo sapesse “ …E tu. cosa ci fai qui?” sorrisi e gli rammentai di un pomeriggio di tre anni prima quando, impegnato in un corso a Caserta andai a trovarlo nella caserma Federico Ferrari Orsi dove lo vidi pedalare per il cortile. Dopo un buon caffè mi aveva lasciato dicendo “É probabile che ci si veda in Sardegna” (forse già sapeva del suo prossimo incarico). Torniamo a Macomer: finite le formalità, sempre nel cortile, mi disse “ Lo sai che la Brigata non ha un inno?” risposi “ Si sig. Generale” e dentro di me pensai “ Ma che c’entro io?”. Lui continuò: “ Mi aspetto da te un’idea. una composizione…qualcosa. e in fretta”. Questo approccio alla bersagliera mi lasciò di stucco. Non sapevo minimamente che il Generale si stesse già muovendo, chiedendo ai vari reparti se vi fosse qualcuno in grado di esprimere musicalmente qualcosa . Promise anche vari giorni di licenza e un premio in denaro ai soldati che avessero proposto qualcosa di valido. Tra il 1990 e il 1991 dirigevo un coro femminile di 22 ragazze con le quali animavo la liturgia in chiesa avvalendomi della mia chitarra, con l’aggiunta di qualche flauto e qualche tamburello suonato dalle ragazze. Il compianto Colonnello Antonio Angius del Comando di Brigata, che aveva una casa in campagna proprio a Magomadas, conosceva la mia attività ”musical-canora” e aveva fatto il mio nome al Generale.

Dico la verità: tutto mi sembrava una cosa assurda. Un conto era scrivere due canzoni per la Messa e suonarle con la chitarra, altro era inventare un inno per la Brigata “ Sassari”: una impresa che avrebbe fatto tremare i polsi anche a un musicista vero. Immaginate a me, semplice dilettante. Per un paio di giorni non pensai più a quella richiesta, tanto che credetti che ormai per il Generale fosse una cosa già passata di mente. Erano trascorsi non più di sette giorni e squillò il telefono. Risposi con un “ Pronto…”. Dall’altro capo solo una parola….per me “terrificante”: ” …Manca. ” (così si presentava). Riconobbi subito la voce e risposi quanto più formalmente potei.. ”E allora? Stai lavorando? “. In un attimo ricordai tutto. Non si era dimenticato! Farfugliai qualcosa, ma il “bello” doveva ancora venire: “Ti aspetto a Sassari tra una settimana, così mi fai sentire cosa hai fatto.”. Non sapevo come uscirne! Ero appassionato di poesia e di musica, ma dovevo condensare tutta un’ epopea in pochi versi e con adeguate note. Quel pomeriggio impiegai più di tre quarti d’ora per rientrare a casa… Guidavo piano e, nella mente, cercavo di immaginare delle parole e un ritmo che differisse dalle colte composizioni musicali – non sarei stato comunque in grado di farle, dato che non ho studiato musica, composizione e armonia – ma fosse, semplicemente, marciabile. Per tanti giorni iniziai a tamburellare un ritmo sul volante e canticchiare le parole che avevo nella mente. Scrissi le parole e iniziai a suonare le note su una vecchissima pianola di mia figlia. Con due strofe e il ritmo nella mente mi presentai al Gen. Manca. Era di pomeriggio… Lesse le parole… Ascoltò, anzi sentì, il ritmo e mi disse ”Lo sai che mi piace?”. Tirai un sospiro di sollievo. Mi fece rientrare a Macomer con la promessa che dopo una settimana sarei tornato per insegnare il ritmo e le parole ad un primo gruppo di militari. Trascorsa una settimana ritornai e , lo ricordo come che fosse ieri, nel cortile dove si svolgeva l’alza bandiera, oltre al Generale Manca trovai il Capitano Andrea Alciator e la sua Compagnia: tutti pronti ad intonare per la prima volta Dimonios. Tutto era pronto per la partenza ufficiale. Ebbi l’ordine di recarmi il più presto possibile a Cagliari – sede della Banda – con il primo spartito in modo che i musicisti potessero impararlo e successivamente suonarlo. Riunii alcuni ragazzi che come me gia’ cantavano in vari cori polifonici sardi : Antonio Poddighe di Romana, Massimo Achenza e Mariano Calzoni di Usini, Chicco Alzu di Suni ( autista) e forse qualche altro di cui non ricordo il nome. Per avere un supporto musicale valido a supportare le voci chiesi a Fabrizio Caggiari, organettista in un gruppo folk di Oliena di suonare Dimonios con l’organetto diatonico. Finito il servizio ci trovavamo in un angolo del cortile per mezz’ora di prova. La maestria di Fabrizio fece un miracolo: in pochi giorni eravamo pronti ad andare a far sentire alla Banda musica e canto. Con un minibus scendemmo a Cagliari, senza smettere un attimo di cantare e suonare : l’avventura era iniziata!
Il Generale Manca, entusiasta dell’accoglienza del brano da parte dei soldati, fa stampare dalla tipografia Chiarella di Sassari un pieghevole che riporta sia il testo – due strofe – sia lo spartito, scritto dalla mia ingenua dilettantesca mano. L’inno ormai viene suonato dalla Banda, e, come già detto è la colonna sonora di incontri conviviali o semplici riunioni di militari che lo insegnano agli amici.

Una bella mattina entrai in caserma e vidi dei militari, che mi sorridevano e in lingua sarda dissero: “ Capita’… Como la podimos intender cando cherimos !”. Chiesi subito di cosa parlassero, al che uno di loro tolse dalla tasca una musicassetta dalla copertina bianca e intitolata Dimonios. Era della Banda della Brigata e, tra gli altri brani militari, conteneva appunto Dimonios. La guardai: dapprima con curiosità, poi con rabbia: era appena iniziata la damnatio memoriae! Era la prima volta che in una musicassetta veniva inciso il brano e, vicino al titolo, non appariva minimamente il mio nome quale autore del testo e della musica!? Un atto di estrema scortesia e palese volontà di mettermi in qualche modo da parte. Parlo della faccenda con il Tenente Angelo Oggianu, cugino di mia moglie, valente chitarrista e più esperto di me dei diritti d’autore nonche’ Tenente del 45° reggimento. Angelo mi consigliò di andare il più presto possibile ad una sede SIAE per cercare di depositare il brano. La sera stessa andai a Sassari e chiesi di essere ricevuto dal Direttore dell’ Ufficio SIAE locale. Vi erano delle difficoltà a ricevermi (forse per il sopraggiungere dell’orario di chiusura). Tentai il tutto per tutto e dissi alla segretaria che avevo urgenza di parlare al Direttore, presentandomi come Capitano Luciano Sechi, autore dell’inno Dimonios. Ecco la bacchetta magica! Dopo neanche un minuto, ero davanti al Direttore che – gentilissimo – mi fece accomodare e – appena iniziai a parlare – senza dir nulla, tirò fuori dal cassetto una copia della musicassetta e mi disse: “Capitano. parla di questa?”. Rimasi un po’ stupito e lui, senza darmi tempo di dire alcunché’.: “ Ho capito….ora le fornisco i moduli di iscrizione e deposito…lo faccia immediatamente entro domani …mi raccomando. subito!”. Da esperto del settore aveva capito che qualcosa non andava. Non me lo feci ripetere due volte: presi i moduli e l’indomani stesso spedii la documentazione. Sarò sempre riconoscente a quel solerte e lungimirante dirigente. Visti i risultati, chissà oggi di chi
sarebbe stato Dimonios! Intanto, venni richiamato dal Generale Manca che mi fece notare quanto fosse breve il testo e mi chiese di aggiungere qualche strofa, cosa che feci prontamente dedicando le ulteriori due strofe alla purezza d’intenti e alle missioni di pace del nostro tempo. Risale proprio a quel periodo l’aneddoto – che il Generale Manca, puntualmente, riporta – in cui lui mi disse, tra il serio e il faceto “ Se non fai le cose in fretta e per bene rimani Capitano a vita! “. E di seguito “ Ma si può aggiungere qualche cosa anche in ortuerese ?”. Ebbi una sferzata di orgoglio e gli risposi che forse era meglio se continuassi io e finissi l’opera così come l’avevo iniziata.

Arrivò il momento del cambio del comandante: il Generale Manca cedette il comando al Generale Raffaele Grieco, un Generale non sardo che, pur essendo Bersagliere ed aver avuto sotto il suo comando la prestigiosa Fanfara del 3° Bersaglieri, poco si interessava di musiche militari. Notò comunque che i militari cantavano e fischiettavano Dimonios e chiese che cosa fosse, dato che si era ritrovato nel cassetto della scrivania un testo completo di spartito. Veloci come un fulmine ecco i cari colleghi…” No. sig. Generale…è un brano scritto da un Capitano del 45°…doveva essere l’inno della Brigata. ” E così, di seguito, a minimizzare e far cadere nel dimenticatoio quello che era già ufficialmente l’inno della Brigata (in quanto voluto e sancito dal Generale Manca). Le rare esecuzioni a livello ufficiale – a Macomer, per il Giuramento delle reclute venne normalmente eseguito (e posso senza ombra di dubbio asserirlo dato che ero speaker ufficiale della cerimonia da quegli anni fino alla fine della leva) – consentirono che non cessasse il diffondersi del brano. Iniziarono, anzi, ad eseguirlo vari gruppi di canto in lingua sarda tra i quali – per primo, anche se con un’armonizzazione particolare – il Coro di Ozieri, che lo presentò addirittura per la prima volta durante la premiazione del “ Premio Ozieri” (sicuramente il premio più prestigioso della poesia sarda). Tra i gruppi a tenores, il primo che lo armonizzò e presentò fu “ Su Cuntzertu Abbasantesu” di Abbasanta (con l’amico Felice Cau, per tutti Lice). Giunse a termine anche il periodo di comando del Generale Grieco: gli subentrò il Generale Giangabriele Carta, un Ufficiale che “conoscevo” dai tempi di Pinerolo quando – dirimpettaio della caserma del Nizza Cavalleria – guardavo con ammirazione la gigantografia di un fiero ufficiale sardo a cavallo: il Capitano Carta. Lo conobbi, poi, personalmente durante una festa del Corpo, celebrata appunto nella Caserma Alberto Litta Modignani (sede del Nizza Cavalleria). Il Generale Carta non diede ascolto alle voci di corridoio ed entusiasta volle che l’inno venisse suonato durante la rassegna ai reparti. In un articolo del giornale “Cagliari Casteddu”, venne travisata completamente l’azione del Generale Carta, scrivendo il titolone in grassetto “ Il Gen. Carta fece musicare l’inno Dimonios”: all’interno dell’articolo, il Generale spiegava bene che lui fece soltanto suonare di nuovo l’inno………..

Intanto, finita l’era delle musicassette, era iniziata quella dei compact disc. Come al solito, vennero incisi senza che ne sapessi alcunché e senza essere invitato alla presentazione. Il cd mi venne regalato dal Maresciallo gestore del Circolo dei Diavoli Rossi! Questa volta il mio cognome era stato scritto, anche se non si curarono di scriverlo correttamente. Sarà anche un peccato veniale e per alcuni cosa di poca importanza, ma tutto concorre al poco interesse nel fare le cose accuratamente. I correttori di bozze sono sempre più rari… Ad onor del vero, debbo all’allora Vice Comandante, Colonnello Pino, il dono di alcuni cd (dato che, nel frattempo, ne erano stati pubblicati altri, ma – come al solito – nessuno si era premurato di invitarmi alla presentazione…anzi!). Accadde anche lo scorso Natale: a Sassari, in occasione delle festività natalizie, venne fatto un concerto e Dimonios venne eseguito nella versione solista cantata da Maria Giovanna Cherchi (nota cantante folk sarda). Mi hanno invitato, almeno per amicizia se non per dovere? Ma quando mai! Ho saputo dell’evento tramite i giornali e tv locali… Vogliamo poi parlare del Premio Zenias, assegnato – a Ittiri – alla Banda della Brigata Sassari? Meritatissimo, indubbiamente! Ma, dato che – nella motivazione – si “sprecano” gli elogi per il “famoso, travolgente inno simbolo della Sardegna” pensavo che – non certo per ricevere alcun premio, ma almeno come ospite – sarei stato invitato. Nulla!

Anche il Generale Carta terminò il periodo di comando e gli subentrò il Generale Sabatelli. É durante il suo periodo che subisco lo smacco peggiore e la peggiore azione nei miei confronti. Ancora mi brucia e non riesco a capacitarmi della ragione per cui sia accaduto quanto mi accingo a raccontare.
Fu deciso di presentare ufficialmente l’inno. Quale migliore “veicolo” della televisione? L’emittente regionale Videolina decise di approntare un programma intitolato Antologia di Sardegna (condotto dal giornalista Dott. Frigo), la cui sigla era appunto dedicata all’inno della Brigata Sassari (dato che, sullo sfondo della bellissima Cagliari, appariva la Banda che eseguiva proprio l’inno). Tutti si guardarono bene dall’invitarmi: presenziarono vari colleghi, ma io ….nulla! La cosa peggiore fu che il giornalista, durante tutta l’intervista, non chiese mai la cosa più ovvia e naturale: ”Ma l’inno. chi l’ha scritto?”. Una caduta di stile inimmaginabile, che ancora oggi mi fa soffrire anche perché – manco a dirlo – il mio nome non appariva neanche nei titoli di coda. Fu aggiunto, soltanto dopo mie reiterate proteste con la direzione dell’emittente, nelle ultime puntate delle circa quaranta trasmesse!

Ero a Nulvi, cantavo – con il mio coro – in una rassegna regionale, quando mi giunse una concitata telefonata di mio figlio: ” Babbo…sono ad Olbia…sai nulla di un vino di pregio denominato Dimonios che riporta in etichetta una strofa dell’inno? “
caddi dalle nuvole e già il mattino dopo mi misi in contatto con il dott. Antonio Posadinu della direzione vendite della Sella & Mosca. Un putiferio! Loro asserivano che tutto era stato commissionato dalla Brigata e che erano in possesso delle autorizzazioni, una delle quali asseriva che l’autore aveva rinunciato a tutti i diritti. Nulla di più falso! Iniziò il calvario. Io mi rivolsi a
Giuseppe Bardini, un mio ex Sottotenente che esercita la professione di Avvocato ad Olbia, che si trovò a combattere contro il team legale della Davide Campari Spa di Milano. Lascio immaginare: in ogni modo, “minacciai” di bloccare la produzione, se non venisse almeno cambiata l’etichetta. L’ottenni, ma – preso dall’ira e dalla voglia di finire tutta la storia – non seguii i consigli e le direttive datemi dall’Avvocato Bardini e chiusi direttamente io con la Sella & Mosca: mi venne pagato un forfait e mi furono donate delle bottiglie di vino per alcuni anni. Ad oggi, tutto è finito. La Ditta continua ad omaggiare la Brigata con un congruo numero di bottiglie ed io, qualora volessi donare una bottiglia, dovrei comprarla pagandola di tasca mia! Ribadisco – a piena voce – sia con la Direzione della Sella & Mosca che con il Comando Brigata che, senza il mio intervento e conseguente azione legale, non mi avrebbero invitato neanche alla presentazione ufficiale del nuovo vino. Un distogliere lo sguardo e improvviso mutismo mi fecero capire che effettivamente sarebbe stato un altro colpo di scalpello!

E, ancora, in occasione dell’ottantesimo anniversario della Battaglia dei Tre Monti, vennero fatti e presentati annulli postali speciali a tiratura limitata, destinati ai collezionisti di tutto il mondo. Nel retro, fu riportato il testo dell’inno. Sorpresa ! Dicitura finale…testo del Ten. Col. Luciano Sechi e musica del Maresciallo Atzeni. Alle mie proteste, il Presidente dell’Associazione filatelica mi rispose: ” Questo ci hanno dato al Comando Brigata!”

Il 19 Novembre 2022, a Biella, durante un Concerto di beneficenza svoltosi nel Duomo dove riposano le spoglie dei fratelli Lamarmora, la Banda della Brigata Sassari – oltre ad altri brani – esegue, naturalmente, Dimonios. Guarda caso, il mio nome non viene citato come autore! Vengono citati gli autori di altri brani eseguiti, ma io…..evidentemente non son degno… Viene però detto che il brano ”è stato arrangiato in seno alla Banda”.

Che dire poi delle ultime interviste alla tv Rai News 24 e su qualche tv locale da parte di “addetti ai lavori”, in cui non si ha la compiacenza di nominare almeno di sfuggita l’autore dell’inno, nonostante l’intervista si basi – appunto – su Dimonios?

Ci sarebbero altre decine di episodi da raccontare, ma – per mia dignità personale e perché non ho voglia, tempo e denaro da impiegare in azioni legali – tralascio e non riporto, ma non dimentico.

A prescindere da tutto questo, di una cosa sono orgoglioso: é un canto che é entrato nel cuore della gente, anche di chi non conosce la lingua sarda. Fanno testo le decine di migliaia di visualizzazioni (cosa curiosa, anche su YouTube nessuno chiede chi l’abbia scritto). Fanno testo gli Istituti di Formazione di ogni Arma o Corpo che hanno Dimonios tra le musiche militari: lo esegue anche la sezione Tamburi e Trombe della Scuola militare Teuliè di Milano e tutti gli allievi la cantano a tempo di marcia… Fa testo l’emozione di sentirla suonare dalla Banda della Brigata Sassari ai Fori Imperiali per la Festa della Repubblica: in special modo, dopo il terremoto dell’Emilia nel 2012, quando la Banda della Sassari fu – per volere del Capo dello Stato – la sola a sfilare cantando il proprio inno. Lo considerai un tributo e una minima ricompensa per tutte le migliaia di Sassarini morti in ogni tempo e in ogni luogo. Fanno testo le decine di gruppi di canto che la eseguono in ogni lingua. Fanno testo le attestazioni da me ricevute dai Presidenti della Repubblica Italiana Cossiga, Ciampi, Napolitano e Mattarella. Fanno testo le decine di ottime bande musicali che hanno Dimonios in repertorio. Fa testo il fatto che l’Orchestra Giovanile di Sassari – diretta dal M° G. Battista Ledda – l’esegua all’interno di Peraulas e sonos de Sardigna, un’opera che narra la storia della Sardegna attraverso la musica. Fa testo la presenza di Dimonios nella raccolta dei quaranta brani più significativi della Sardegna, a cura del M° Marco Pibiri (padre di Alessandro che perse la vita in terra straniera con i colori della Sassari). Fa testo lo sguardo di Papa Francesco quando ricevette il testo, quello scritto a mano da me. Fa testo l’attestazione della Regione Autonoma della Sardegna che lo ha considerato patrimonio della Sardegna (così come i Lions International durante pubblica cerimonia). Fa testo la candidatura di Dimonios quale Inno Ufficiale della Regione Sarda. Fanno testo gli alunni e studenti di scuole di ogni ordine e grado che in varie occasioni lo eseguono. Fa testo il canto accorato di Dimonios in onore di tutti i Caduti ai piedi di Nuraghe Chervu, splendido pezzo di Sardegna voluto dalla comunità Sardo-Biellese di Biella, guidata dall’instancabile e incomparabile cultore della Sardegna Battista Saiu. Fanno testo le scuole civiche di musica in cui viene regolarmente insegnato. Fa testo l’esecuzione di Paolo Fresu al Festival delle Dolomiti. Fa testo il premio ricevuto dalla Banda della Brigata Sassari a Ginevra durante l’incontro di Bande Militari (anche in quel caso riuscirono ad offendermi, cancellando – il giorno prima della partenza – il mio foglio di viaggio quale accompagnatore ufficiale della Banda, che partecipava al concorso con “ Dimonios” e mandando un altro Ufficiale che nulla c’entrava con la questione o meglio. c’erano delle questioni che non dirò per mia dignità personale). Fanno testo gli articoli su varie testate regionali e nazionali. Fa testo l’intitolazione del Circolo Regionale Sardo dell’Abruzzo e del Molise all’inno Dimonios (primo al mondo). Fa testo il nome Dimonios dato ad una nave passeggeri della flotta sarda. Fa testo il libro a fumetti che Bepi Vigna – fumettista di fama internazionale – ha intitolato Dimonios. Fa testo la scelta di Dimonios come sottofondo musicale, nel 2022, durante la serata finale del Premio Strega. Fa testo il fante, Pierluigi Farci di Sinnai, che mi omaggiò – primo in Sardegna – dell’esecuzione di Dimonios con le launeddas. Fa testo l’esecuzione fatta dalla tromba solista del Caporale Collu in una tetra stanza a Sarajevo, con molti gradi sotto zero nel 1999. Fa testo l’emozione di vedere un monumento dedicato solo all’inno: nel Comune di Magomadas, luogo dove l’inno vide la nascita fu eretto un artistico e bellissimo monumento in basalto e marmo di Orosei, opera di Piero Obinu, marmista di Suni. Fa testo l’omaggio tributato ai nostri tremila caduti dell’Armata d’Oriente che riposano nel cimitero di Zeitenlik a Salonicco: durante la commemorazione il Generale Scopigno (già Comandante della Sassari) ha voluto che risuonassero le note di Dimonios, eseguite dalla Banda del Corpo d’Armata “C” dell’ Esercito Greco. Fa testo lo speciale annullo postale con il testo di Dimonios che a cura delle Poste Italiane viene riportato sulle cartoline con le copertine d’epoca de La Domenica del Corriere raffiguranti le gesta della Brigata Sassari nella Grande Guerra. Fa testo la lectio magistralis – voluta dal Comandante Colonnello Marco Granari e tenuta al 151° Reggimento a Cagliari per spiegare il vero senso dell’inno: tale lectio, ripresa con strumentazione professionale, verrà divulgata capillarmente. Fa testo il fatto che il compositore M° Fulvio Creux, già Direttore della Banda dell’Esercito e autore della marcia di ordinanza dell’Esercito Italiano, nella sua opera Elegia a Gorizia abbia voluto inserire delle parti di Dimonios poiché lo considera “forse la più celebre musica militare italiana”. Fa testo l’emozione indescrivibile che mi toccò nel più profondo dell’animo quando qualche anno fa, in una trasmissione di Rai 1 dal titolo Storie Vere si raccontò la storia di un signore di Pavia che, colpito da un devastante aneurisma cerebrale, era stato ricoverato in gravissime condizioni e poi era rimasto in coma: dopo lunga terapia e permanente coma, i medici avevano consigliano ai familiari un costante impegno nello stimolare in ogni modo il loro caro; dopo mesi, il loro caro si risvegliò improvvisamente quando il figlio aveva fatto suonare all’orecchio del padre l’inno Dimonios, che amava tanto da averlo messo come suoneria del telefono mobile. Il signore stava bene e raccontò egli stesso in studio la propria storia. In tutto questo tempo non son riuscito a contattarlo e abbracciarlo, almeno virtualmente ma …non dispero Se la mia musica e le parole dell’inno hanno contribuito a salvare una vita. considero questo come la cosa più bella che potesse capitare nella storia mia personale e in quella di questo brano che ormai é nel cuore di innumerevoli persone.

Uniquique suum ….dicevano i latini o come dice Fabrizio Caggiari con il suo bel dialetto olianese ” A cadaunu su suo”.

Chissà quante cose ho dimenticato ma….una cosa è certa: non dimentico gli amici veri che in tutti questi anni mi hanno incoraggiato e spronato: in primis, il Generale Nicolò Manca, che mi ha sempre con i fatti, con le parole e con gli articoli difeso e protetto; il M° Alberto Cugia, che con competenza musicale e determinazione ha recentemente scritto la strumentazione per Banda sinfonica di Dimonios; il mio Maestro Gio Maria Tedde, al quale – per primo – feci vedere la mia prima ingenua trascrizione della melodia su un quaderno scolastico di musica e feci sentire il canto.

La strumentazione per banda sinfonica di DIMONIOS (inno della Brigata meccanizzata Sassari dell’Esercito Italiano, composto e scritta da Luciano Sechi) ad opera di Alberto Cugia é stato eseguito – durante una serata dedicata alla musica sarda, svoltasi il 2 dicembre 2022 nel Circolo Ufficiali del 3° Reggimento Lombardia dell’Arma dei Carabinieri – dalla Fanfara del 3° reggimento Carabinieri Lombardia diretta dal Maresciallo Capo M° Andrea Bagnolo, che ha voluto seguire fedelmente in ogni sfumatura l’intenzione iniziale del compositore di Dimonios. Insieme ai musicisti della Fanfara del 3° Reggimento Lombardia dell’Arma dei Carabinieri, il Coro Stella Maris di Magomadas e le launeddas del Generale Dante Tangianu.

Dimonios: testo e musica di Luciano Sechi – strumentazione per banda sinfonica: Alberto Cugia

Lo stesso spartito completo, così come ideato da Luciano Sechi e strumentato da Alberto Cugia, è attualmente allo studio della Banda musicale dell’Esercito Italiano e della Banda musicale del Corpo della Polizia Penitenziaria. Le due Bande lo eseguiranno quanto prima…

Alberto Cugia, capo fanfara della Fanfara Pasquale Russo della sezione di Dolianova dell’Associazione Nazionale Bersaglieri da lui stesso create nel lontano 1975, ha dato – nel 2017, su richiesta del Col. Gabriele Cosimo Garau (*) – un contributo determinante alla ricostituzione della Fanfara in armi del 3° reggimento Bersaglieri della Brigata meccanizzata Sassari (diretta dal Caporal Maggiore Capo Scelto Massimo Pia) della cui Banda musicale é, peraltro, un cofondatore (nel 1988, su richiesta del Generale Malorgio, Comandante della Regione Militare Sardegna: in quella occasione compose la marcia BRIGATA SASSARI

Nei primi Anni Ottanta, su richiesta dell’allora comandante Colonnello Giorgio Fontana, Alberto Cugia aveva collaborato alla creazione della fanfara del 1° Reggimento Fanteria Corazzato di Teulada (1981-1987) e, nel 1973, aveva svolto il servizio militare di leva nella fanfara del 1° Battaglione Bersaglieri di stanza a Civitavecchia. Come si dice? Bersagliere a vent’anni, bersagliere tutta la vita!

Eppure, a quanto pare, proprio a questo Bersagliere si deve la corretta interpretazione delle intenzioni e dei sentimenti che guidarono la matita o la piuma d’oca (trattandosi di bersagliere, potrei mai parlare di penna!??) del Capitano Sechi quando compose l’Inno della Brigata Sassari. Queste le parole dell’autore al riguardo: “Ripeto infatti che tutt’ora viene eseguito come la prima volta ma peggiorando tutto con il tempo che da pacata marcia per la fanteria sembra ora Flik Flok dei Bersaglieri, alcune note dell’introduzione vengono allegramente saltate, alcune parole vengono dette ognuno come vuole, e per finire la parte finale che, invece di esser cantata con le note a salire (come scritto nello spartito), vanno a scendere.”

(*) Al Colonnello Garau, lo stesso “formidabile duo” dedicò una bella marcia

marcia GARAU – Alberto Cugia (musica), Luciano Sechi e Alberto Cugia (testo)

PREGHIERA AL MILITE IGNOTO

Nella primavera del 1921, il colonnello Giulio Douhet – dalle colonne del settimanale Dovere, di cui era direttore – lanciò l’idea di onorare gli atti di eroismo e l’estremo sacrificio delle centinaia di migliaia di soldati italiani caduti durante la Prima Guerra Mondiale (e, soprattutto, dei tanti rimasti senza nome o senza degna sepoltura a causa della mancata indelebilità dell’inchiostro con cui erano scritti i nomi dei militari sul foglio matricolare che portavano al fronte, in una tasca interna della divisa) nella salma di un soldato sconosciuto che rappresentasse idealmente il marito, il figlio, il padre di quanti non avevano la possibilità di onorare le spoglie mai ritrovate del familiare disperso.
L’11 agosto di quello stesso anno, fu promulgato il provvedimento di Legge (n. 1075), che affidava al Ministro della Guerra la definizione delle modalità esecutive per la designazione e per le onoranze da rendere alla salma del caduto senza nome.

Il Ministro della Guerra in carica era, a quel tempo, il Deputato Luigi Gasparotto (eletto alla Camera – nel 1913 – nel collegio elettorale di Milano, ma nato e cresciuto a Sacile): sebbene esentato dal prestare servizio militare in quanto membro del Parlamento e nonostante l’età non più giovanissima (42 anni), egli aveva rinunciato al beneficio e combattuto in prima linea meritando, tra le altre, una Medaglia d’Argento al Valor Militare per il comportamento tenuto durante la battaglia per la conquista di Oslavia.
Il Ministro della Guerra, On. Gasparotto, così aveva disposto: <<Il 4 novembre p.v. si renderanno in Roma solenni onoranze alla salma senza nome, di un soldato caduto in combattimento alla fronte italiana nella guerra italo-austriaca 1915-1918… La salma – che avrà sepoltura in Roma, all’Altare della Patria – deve essere esumata nelle zone più avanzate delle nostre linee, dopo accurati e scrupolosi accertamenti perché sia garantita l’autenticità che essa appartenga ad un soldato italiano caduto in combattimento.
Affido pertanto il delicato compito all’Ispettore per le Onoranze Salme Caduti (Sua Ecc. Ten. Gen. Paolini) e prescrivo che a tale scopo esso costituisca una speciale Commissione da lui presieduta e composta: del Colonnello Paladini, capo dell’Ufficio Onoranze Salme Caduti e di un Ufficiale Superiore Medico destinato da] Direttore tecnico delle Onoranze Salme Caduti di questo Ministero (il Maggiore medico Nicola Fabrizi, N.d.R.). Ne faranno parte quattro ex combattenti e cioè: un Ufficiale, un sotto ufficiale, un caporale ed un soldato, che l’Ispettore anzidetto farà designare dal Sindaco di Udine (Luigi Spezzotti, N.d.R.).>>
Avrebbe accompagnato la commissione – ma senza farne parte integrante – il cappellano militare don Pietro Nani, già collaboratore del poeta Giannino Antona Traversi nella realizzazione del Cimitero degli Invitti sul Colle di Sant’Elia (l’attuale Sacrario militare di Redipuglia).
Circa l’esumazione delle salme, le disposizioni prescrivevano che le ricerche dovessero essere condotte <<nei tratti più avanzati dei principali campi di battaglia: San Michele, Gorizia, Monfalcone, Cadore, Alto Isonzo, Asiago, Tonale, Monte Grappa, Montello, Pasubio e Capo Sile.>>
Su ciascun campo di battaglia, alla presenza di tutti i membri della commissione, doveva essere ricercata ed esumata <<la salma di un caduto certamente non identificabile>> e, per ciascuna esumazione, doveva essere redatto un verbale che precisasse tutte le cautele adottate durante l’esumazione.
Le undici salme, infine, dovevano essere sistemate in altrettante identiche casse di legno, fatte allestire a Gorizia e traslate nella Basilica di Aquileia entro il 27 ottobre.
Il successivo giorno 28, dopo la benedizione dei feretri, la mamma di un disperso in guerra avrebbe designato la salma che doveva essere onorata in eterno come “Ignoto Militi”.
La bara prescelta doveva essere collocata all’interno di una cassa di legno lavorato ad ascia e rivestita di zinco, fatta allestire a cura del Ministero della Guerra e quindi doveva essere trasferita a Roma mediante uno speciale convoglio ferroviario.
I rimanenti dieci soldati ignoti sarebbero stati tumulati nel cimitero retrostante la Basilica di Aquileia .

Risultarono designati – in data 26 settembre, con delibera del Sindaco di Udine – il Tenente Augusto Tognasso di Milano (mutilato, con 36 ferite), il Sergente Giuseppe De Carli di Azzano Decimo (Medaglia d’Oro al Valor Militare), il Caporal Maggiore Giuseppe Sartori di Zugliano (Medaglia d’Argento al Valor Militare), il Soldato Massimo Moro di Santa Maria di Sclaunicco (Medaglia d’Argento al Valor Militare) e quattro sostituti. Essi furono convocati per una riunione – che si svolse il 2 ottobre 1921 presso la sede udinese dell’Ufficio per le Onoranze ai Caduti, all’interno di Palazzo Caiselli – durante la quale vennero definiti il piano per le ricerche, le modalità per la designazione e altri problemi organizzativi e logistici. Al termine della riunione, il Generale Paolini pretese da tutti i partecipanti (compresi gli autisti, i falegnami, gli scavatori e tutti coloro che – a vario titolo – avrebbero operato insieme alla Commissione) il giuramento che mai avrebbero rivelato i luoghi ove si sarebbero svolte le ricerche. Poi – attraverso la Strada Statale 13, Ponte della Priula, Bassano del Grappa e la statale della Valsugana – i membri della Commissione giunsero a Trento. Il giorno dopo, essi mossero da Trento alla ricerca della prima salma.

<<…attraverso Rovereto, avvolta ancora nel silenzio del riposo e quando il sole stava per baciare le cime di quei monti che furono teatro di grandi gesta…>> scrisse il Tenente Tognasso nel suo diario (da cui sono stati tratti il docu-film La scelta di Maria di Francesco Micciché, trasmesso da Rai 1 il 4 Novembre 2021, e Il figlio ritrovato. Milite Ignoto: La scelta https://youtu.be/9S9KxUt_vdw portato in tournée dal gruppo teatrale Il Canovaccio e dall’Orchestra di fiati delle Forze Operative Nord dell’Esercito Italiano, diretta dal Sergente Cosimo Taurisano). L’ufficiale – va detto, a suo onore – mai ha nominato località o precisato i luoghi nei quali si svolsero le ricerche. Quel che sappiamo, lo dobbiamo al Colonnello della Riserva dell’Esercito Italiano Lorenzo Cadeddu ed è frutto di anni di infaticabili e sofferte ricerche: <<…l’unica località del Trentino di cui si parla nelle disposizioni emanate dal ministro è il Tonale (e non Rovereto). In termini geografici il Passo del Tonale dista in linea d’aria circa quaranta chilometri da Trento in direzione Nord Ovest, mentre Rovereto dista da Trento venticinque chilometri in direzione Sud Est. Non è verosimile che la Commissione abbia commesso un così grossolano errore né che, arbitrariamente, abbia modificato le disposizioni del ministro. È probabile invece che il settore a sudest di Trento sia stato ritenuto più idoneo per la ricerca, in quanto teatro di più aspri combattimenti, rispetto al settore del Tonale. Proprio a Sud Est di Rovereto, erano situati i punti più avanzati della massima penetrazione italiana: Zugna Torta, Coni Zugna, Costa Violina, Monte Forno ed altre località (conquistate d’impeto nel 1915 e perse nel 1916, a seguito della Strafexpedition). >>

Nonostante le più accurate ricerche, tuttavia, non venne rinvenuta alcuna salma insepolta. Venne allora deciso di esumarne una tra quelle di ignoti sepolti in un vicino cimitero di guerra che raccoglieva <<..il maggior numero di eroi..>>.

Rifacendoci agli esiti delle ricerche del Col. Cadeddu, il maggior cimitero di guerra del trentino, nel 1921, sorgeva in località Lizzana, proprio vicino a Rovereto. Il luogo anticamente era denominato Castello di Lizzana e vi sorgeva la residenza dei conti di Castelbarco: successivamente la denominazione venne cambiata in Castel Dante perché, secondo la tradizione, il Sommo Poeta – della cui morte, proprio quest’anno, si commemora il settecentesimo anniversario – vi avrebbe soggiornato nel 1303.

Nel dicembre del 1915, le operazioni offensive della 1^ Armata avevano consentito alle truppe italiane di avanzare lungo la Val d’Adige verso Trento, sino a raggiungere il margine meridionale del dosso (detto anche Colle) di Castel Dante e, più a oriente, le zone di Corna Calda e Costa Violina: sulle posizioni raggiunte, le fanterie italiane si rafforzarono allestendo trincee blindate, camminamenti e postazioni per artiglierie in caverna; il pianoro prativo di Castel Dante venne occupato d’impeto – la notte di Natale del 1915 – dai fanti del 114° Reggimento di Fanteria della Brigata Mantova, che vi si insediarono e lo difesero dai vigorosi ripetuti contrattacchi austriaci fino a quando, nel maggio 1916 (nonostante la strenua difesa da parte del 1/207° Reggimento di Fanteria della Brigata Taro) il sistema difensivo del saliente trentino fu perduto e il Colle di Castel Dante passò nuovamente e irrimediabilmente di mano.

Poco tempo dopo il termine del conflitto, il Colle di Castel Dante venne destinato a cimitero per raccogliere le salme provenienti da oltre centocinquanta cimiteri di guerra della regione trentina. Appena varcato il cancello d’ingresso del vecchio camposanto (- l’attuale sacrario risale agli Anni Trenta – si scorgeva, sulla destra, una lapide (sormontata da due baionette) sulla quale era scolpito il verso dantesco: Tutta la perfezion quivi s’ac quista; sulla sinistra, si trovava un riquadro di sepolture lì trasferite da una qualche località di montagna, di cui erano stati conservati tutti i monumentini, i cippi e la grande croce. Proseguendo lungo il viale d’ingresso si vedeva, ben conservata, la trincea in cemento armato costruita dai fanti del 114° Reggimento di Fanteria della Brigata Mantova. Oltrepassata la ridotta, la strada si biforcava: il ramo di sinistra saliva direttamente in cima al colle, quello di destra invece conduceva a un ampio locale detto “Sala della Riconoscenza” dove, in tre grandi vetrine, erano custoditi ed esposti al pubblico i piccoli oggetti appartenuti ai Caduti e rinvenuti addosso a loro (medaglie, amuleti, distintivi, monete, orologi e persino, dentro un elmetto, un teschio recuperato in un imprecisato tratto di fronte) mentre, sulle pareti, erano esposte fotografie dei cimiteri di guerra originari. Proseguendo per il ramo di sinistra si giungeva all’ossario vero e proprio, che era stato ricavato dall’antica cisterna del castello dei Castelbarco: una ripida scaletta in pietra portava al fondo del pozzo che, durante la guerra, era stato usato come ricovero per le truppe – sia italiane sia austriache – che presidiarono alternativamente quella posizione. All’interno vi erano custodite, in altrettante casse di legno, quattrocento salme di soldati ignoti “adottate” da altrettanti “benefattori” che, in memoria di un familiare disperso, avevano fatto una consistente offerta per la manutenzione del cimitero. Una targhetta, inchiodata alla cassetta, recava il nome del “benefattore” mentre su una parete erano stati riprodotti due versi della Canzone di Castel Dante musicata dal M° Riccardo Zandonai: “In faccia ai nostri monti ove soffrimmo,/ in faccia alle trincee ove morimmo!“. Dall’ossario si poteva salire direttamente a una terrazza che si apriva, maestosa, su un ampio tratto della fronte trentina. Vicino a questo impareggiabile osservatorio erano stati piantati alcuni cipressi che proteggevano dal vento le tombe dei Legionari trentini. Su un muro, una lapide ricordava al visitatore il sacrificio di Castel Dante e dei suoi eroici difensori: “Qui ove Dante cantò,/ Federico Guella/ sottotenente volontario/ con olocausto della vita/ consacrò il sito/ giovinezza ardente/ ai geni nostri sacra alla libertà latina./ Bezzecca sua culla orgogliosa lo piange/ Rovereto sua scuola lo venera/ Italia lo canta/ Con Lui/ il nobilissimo sangue profusero/ soldato Canter Angelo (Brescia)/ soldato Faciale Giuseppe (Padova)/ soldato Soto Ignazio (Chieti)“. A destra, sul versante della collina esposto a mezzogiorno, erano state sistemate le sepolture che originariamente erano tumulate nei cimiteri militari di Serravalle, Nago, Santa Margherita e Marco. A sinistra, erano state sistemate le salme dei cimiteri di Vo, Avio, Borghetto e Pilcante, nella parte più alta di quest’ultimo riquadro era stata innalzata una grande croce di ferro illuminata nelle ore notturne. Una lapide in marmo, murata tra blocchi di tufo, recava incisa una epigrafe, dettata dal Capitano dei Bersaglieri Giannino Antona Traversi: “Dalle nude zolle di Pilcante ove ebbero prima sepoltura tra il rombo e le fiamme, Qui fraterna pietà volle composte queste salme gloriose in più degna cuna di pace meta per tutto l’avvenire ai devoti della Patria“. Piccoli viali separavano i singoli campisanti, ricostruiti esattamente come erano nelle località di origine rispettandone proporzioni e simmetrie. Nel cimitero di Santa Maria era stata eretta una cappella votiva dedicata alla Madonna che custodiva un’artistica statua in bronzo della Vergine, illuminata da una lampada votiva. Completavano il versante meridionale della collina i cimiteri di Mori, Lizzana e Besagno. A destra del viale centrale erano situati i cimiteri di Coni Zugna, Santi Maurizio e Lazzaro, Santa Barbara e San Matteo, mentre a sinistra erano il Cimitero del Redentore e il Cimitero di Santa Giovanna d’Arco. Elmetti, croci, bossoli e filo spinato ornavano, con altri oggetti cari alla memoria dei combattenti, le semplici sepolture dei soldati. Nel versante a Est della collina, oltre ad alcuni riquadri nei quali erano tumulati i caduti della Legione Cecoslovacca, vi erano i cimiteri di San Giorgio, dell’Addolorata, di Crosano, di San Valentino e di Brentonico. Nel mezzo della spianata, si ergeva una cappella recante la frase – semplice, ma oltremodo significativa – PAX VOBIS e, all’interno del sacro tempio, erano stati sistemati un semplice altare e un’acquasantiera (realizzata con materiale bellico). Tra queste sepolture si aggirò la Commissione per procedere all’esumazione di un Soldato sconosciuto


All’epoca – in quello che era il maggior cimitero di guerra del Trentino, in località Lizzana, vicino a Rovereto – erano tumulate settemilaottocentoquarantanove salme provenienti da circa duecento cimiteri più piccoli, disseminati nella regione: tra queste, ben tremilaottocento appartenevano a Caduti non identificabili. Un numero che indigna, scandalizza, spaventa. Vale la pena, d’altro canto, ricordare che – durante la guerra – i caduti venivano tumulati (se e quando possibile!) in piccoli cimiteri, allestiti a ridosso delle trincee, e senza che venissero adottate particolari cautele: i cadaveri, infatti, venivano sepolti nella nuda terra (talvolta in fosse singole, ma molto spesso in fosse comuni). Non di rado, dopo intensi combattimenti, il campo di battaglia rimaneva in mano allo schieramento nemico pertanto la eventuale sepoltura dei morti era affidata al buon cuore degli uccisori.
Tra quei seimila caduti ignoti fu presumibilmente esumata la prima delle undici salme tra cui sarebbe stata scelta quella del Milite Ignoto. Lo scavo venne eseguito a mano: pian piano vennero portate alla luce le diverse parti del corpo e, alla fine, <<…apparve un fante in atto di tranquillo e sereno riposo, vestito della sua uniforme e con indosso le giberne…>>

Ricomposti i resti su un lenzuolo, gli indumenti e gli oggetti personali del caduto furono accuratamente esaminati alla ricerca di un qualsiasi possibile elemento che ne consentisse l’identificazione, ma non venne rinvenuto nulla che potesse permettere di presumere una sua possibile identificazione: si trattava, senz’alcun dubbio, di un soldato ignoto. Più volte, nel suo scritto, il Tenente Tognasso, ha evidenziato la speranza (propria e di tutti i membri della Commissione e di tutti gli addetti allo scavo e al trasporto delle salme) che i resti esumati presentassero un qualsiasi segno che, consentendone l’identificazione, desse alle famiglie dei Caduti una pur minima consolazione. In quel caso, non fu possibile. Don Pietro, il cappellano, benedì la salma. Nel ricomporre la salma dentro una delle undici casse (fatte appositamente allestire a Gorizia), la mano pietosa di un soldato provvide a mettere rami di abete sotto la testa del caduto, come si trattasse di un cuscino. Inchiodato il coperchio, la cassa venne avvolta nel Tricolore e caricata su uno dei mezzi a disposizione della Commissione. Le auto ripercorsero la strada in direzione di Trento. Giunti nei pressi di Rovereto, una moltitudine di gente, che aveva pacificamente e silenziosamente invaso la sede stradale, costrinse i veicoli a fermarsi: erano cittadini di Rovereto, per lo più ex combattenti, che pregarono il generale Paolini affinché consentisse al mezzo che portava le spoglie del Soldato sconosciuto di attraversare la cittadina trentina a velocità ridotta, in modo che la popolazione potesse tributargli i doverosi onori. Nonostante la cittadinanza di Rovereto fosse, in qualche modo, venuta a conoscenza della presenza della Commissione solo poche ore prima, l’intera città fu completamente imbandierata e la quasi totalità degli abitanti si assiepò lungo le strade per far ala al passaggio del feretro. Giunta a Trento, la cassa venne sistemata su un affusto di cannone trainato da una pariglia di cavalli e trasferita sino al locale cimitero cittadino. Prima di essere sistemata per la notte sull’altare di una piccola cappella, la cassa contenente i resti mortali di quel Soldato Ignoto ricevette gli onori militari da parte di un reparto e l’omaggio di autorità e di semplici cittadini. L’indomani, alle prime luci dell’alba, la Commissione con il primo feretro mosse per la seconda tappa del suo pellegrinaggio alla ricerca della seconda delle undici salme. I mezzi si diressero ancora una volta verso Rovereto e – attraversando la Vallarsa, Pian delle Fugazze e le Porte del Pasubio – la Commissione giunse nel cuore del Massiccio che fu pilastro del sistema difensivo italiano durante la Grande Guerra.

Non sapremo mai chi descrisse tanto bene quei momenti all’assisiate Giovanni Papi (*) – che di Rovereto avrebbe diretto la Banda nel 1928 e di cui pochissimo si sa (solo grazie al prezioso archivio della Casa Editrice Tito Belati e alle ricerche di Giorgio Cannistrà) – ma questi luoghi e l’atmosfera che vi si respira e le immagini di quel corteo funebre si ritrovano nella sua PREGHIERA AL MILITE IGNOTO https://youtu.be/xZXpV0HsRWs : una meditazione, una preghiera intrisa di dolcezza che oserei dire materna…della dolcezza di tutte quelle madri, addolorate e fiere, al di qua e al di là delle Alpi che avevano perso i propri figli in guerra e che in qualche modo lo ritrovarono in quel soldato ignoto…della dolcezza della terra, altrettanto addolorata e fiera, in difesa della quale tanti giovani caddero combattendo. Di quella dolcezza – nulla si perde grazie alla giusta intonazione e alla espressione adeguata – in questa esecuzione da parte dei musicisti della Fanfara della Brigata Alpina “Julia” (di cui lo stesso Giorgio Cannistrà é insostituibile elemento) impeccabilmente diretti dal Sergente Maggiore Flavio Mercorillo.

Il Maestro Fulvio Creux – direttore emerito della Banda Musicale della Guardia di Finanza e della Banda Musicale dell’Esercito Italiano – ne ha detto un gran bene: <<Ascoltando questo brano si ha l’impressione che, più che alla tradizione bandistica italiana, appartenga a un gusto d’oltralope, sulla scia di importanti compositori di quei tempi. Si deduce questo dall’interesse delle armonie, dai frequenti cromatismi e dall’andamento generale, che porta il brano a essere più una meditazione che non, come sovente succede in questo genere, una marcia funebre. Il recupero ad opera di Giorgio Cannistrà si rivela utile per tutti quei complessi che vogliono presentare qualcosa di originale e diverso nei loro concerti legati a questo tema. Anche l’esecuzione del brano, abilmente diretto da Flavio Mercorillo, si evidenzia per la dolcezza, intonazione e l’adeguata espressione.>>

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"Celeritate ac virtute", il motto del 7° reggimento Bersaglieri dell'Esercito italiano ora è pure scritto su muri della caserma "Trizio". Per iniziativa del colonnello Giovanni Ventura, comandante del reggimento, due writers di Altamura, Donato Lorusso e Mattia Pellegrino, hanno realizzato dei murales in cui, oltre al motto dello spirito bersaglieresco, hanno impresso una sfilata di bersaglieri. Un modo per fare crescere ulteriormente il già elevato spirito bersaglieresco esistente tra i leggendari bersaglieri e a valorizzare l'area esterna e periferica della città.
Il motto del 7° rgt. Bersaglieri e sfilata di bersaglieri: murales di Donato Lorusso e Mattia Pellegrino nella caserma “Felice Trizio” ad Altamura

La storia del Corpo dei Bersaglieri é iniziata nel 1836. Il “Settimo” (che sta per 7° reggimento) nacque, invece, nel 1871 a Verona: Per il valore dimostrato sul campo durante la seconda guerra mondiale viene definito “leggendario”. Come molte altre unità delle forze armate italiane esso si sciolse, in seguito all’Armistizio di Cassibile, l’8 settembre 1943. Il 7° reggimento fu ricostituito nel 1992 e, nel 2012, venne trasferito da Bari ad Altamura nella caserma “Felice Trizio”. Il 7° reggimento Bersaglieri – il cui motto è “Celeritate ac virtute” – é una unità “combat” dell’Esercito italiano (assegnata al Comando delle Forze Operative Sud) che contribuisce, con il proprio operato, alle quattro missioni assegnate alle forze armate italiane: difesa degli interessi vitali del Paese;, salvaguardia degli spazi euro-atlantici, contributo alla gestione delle crisi internazionali, concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni e intervento in caso di pubblica calamità.

In questi giorni si sono svolte – all’interno della caserma “Trizio”, per le vie di Altamura e nel Teatro “Mercadante” – le celebrazioni per i 150 anni del Settimo reggimento Bersaglieri. II programma, molto ricco, dedicato allo storico anniversario ha ottenuto il patrocinio dell’Associazione Nazionale Bersaglieri, dei Comuni di Altamura, Acquaviva delle Fonti, Poggiorsini e Matera, della Città metropolitana di Bari e della Regione Puglia. Il fotografo Daniele Bai ha seguito tutti i momenti di questa emozionante “due giorni”, a cominciare dalla corsa – simbolica – dei bersaglieri per le vie di Altamura lungo un percorso che li ha portati (con il sostegno musicale da parte della loro fanfara) dal Palazzo comunale alla caserma https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fdaniele.bai%2Fposts%2F10218742151974131&show_text=true&width=500 .

In una sala della caserma, sempre nella giornata del 30 giugno 2021, si é svolta un’affettuosa cerimonia con alcuni dei “bersaglieri per sempre” congedati che hanno fatto dono del cappello piumato di un eroe ai bersaglieri in armi https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fdaniele.bai%2Fposts%2F10218742178734800&show_text=true&width=500 .

Nella giornata del 1 luglio, in cui – oltre ai centocinquant’anni e sei mesi esatti del “leggendario Settimo” – si ricordava il settantanovesimo anniversario dell’episodio ricordato dal cippo “Mancò la fortuna, non il valore”: il reggimento riuscì ad avanzare sino a soli 111 km da Alessandria e in quel luogo, nei pressi di El-Alamein, vi è ancora oggi il cippo commemorativo che ricorda la eroica resilienza dei Bersaglieri in terra d’Africa. Ai Caduti, di quella e di tante altre Campagne, sono stati resi gli onori in una toccante cerimonia presenziata dalla fanfara https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fdaniele.bai%2Fposts%2F10218742209895579&show_text=true&width=500 .

Tra gli eroici uomini “cresciuti” nel Settimo, non si può dimenticare il Maggiore Giuseppe La Rosa, Medaglia d’Oro al valor militare alla memoria, caduto a Farah (Afghanistan) nel 2013, dov’era in servizio con il 3° reggimento. A sua imperitura memoria é stato dedicato, nel parco della caserma “Felice Trizio”, un busto in bronzo https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fdaniele.bai%2Fposts%2F10218742249816577&show_text=true&width=500 : la fanfara del 7° reggimento ha reso la cerimonia ancor più commovente e “sentita”. La cerimonia assume ancora più importanza alla luce del fatto che si é, proprio negli stessi giorni, conclusa la missione di pace della International Security Assistance Force in Afghanistan. La missione italiana – cominciata il 30 ottobre del 2001 – dopo un periodo trascorso a lavorare alla stabilizzazione della capitale Kabul (ch’era stata, da poco, liberata), si trasferì stabilmente a Herat, da dove per venti anni ha gestito un’ampia zona e si è occupata soprattutto dell’addestramento delle truppe dell’esercito afghano. Nel corso di questi “Vent’anni” (che é anche il titolo di un noto canto bersaglieresco), la missione italiana – cui hanno partecipato, a rotazione, circa cinquantamila soldati (le truppe presenti sul territorio afghano non sono mai state più di 5.000) – é costata la vita di cinquantatre militari italiani, caduti perlopiù in seguito ad attacchi e attentati.

La giornata é proseguita con altri momenti d’incontro tra i bersaglieri in armi e i bersaglieri in congedo https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fdaniele.bai%2Fposts%2F10218742296737750&show_text=true&width=500 .

Nel pomeriggio, nel bellissimo Teatro “Saverio Mercadante” di Altamura (che al grande compositore diede i natali), si é svolto un interessante convegno – trasmesso in diretta dall’Associazione Nazionale Bersaglieri https://www.facebook.com/plugins/video.php?height=314&href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fassobersaglieri%2Fvideos%2F325713609054158%2F&show_text=false&width=560&t=0 – intitolato “Il Settimo reggimento bersaglieri nel suo 150° anniversario dalla costituzione”.

All’evento, moderato dal giornalista Onofrio Bruno, sono intervenuti il Comandante delle Forze Operative Sud, Generale di Corpo d’Armata Giuseppenicola Tota, il Comandante della Brigata meccanizzata “Pinerolo”, Generale di Brigata Luciano Antoci, autorità politiche e religiose locali, tra le quali, il Prefetto di Bari, dott.ssa Antonia Bellomo, il vescovo di Altamura S.E. Monsignor Ricchiuti, i sindaci dei comuni di Altamura, Gravina, Acquaviva delle Fonti e Poggiorsini e i rappresentanti delle locali Associazioni Bersaglieri. Il Colonnello Ventura, Comandante del 7° Reggimento Bersaglieri, ha aperto i lavori salutando e ringraziando tutti i convenuti e i relatori che hanno aderito al convegno. Nel corso del suo intervento ha rievocato la storia del 7° Bersaglieri, che ha partecipato alla Seconda Guerra Mondiale in Africa Settentrionale, dove proprio il 1° luglio del 1942 (79° anniversario) il Settimo avanzò sino a 111 km da Alessandria e in quel luogo, nei pressi di El-Alamein, vi è ancora oggi il cippo commemorativo che riporta la storica frase “Mancò la fortuna non il Valore”. Il Comandante di reggimento ha voluto ricordare i caduti di tutte le guerre e le operazioni all’estero, tra i quali il Maggiore Medaglia d’Oro al Valor Militare Giuseppe La Rosa, vittima di un attentato in Afghanistan nel 2013, che è stato per un lungo periodo in servizio al 7° Reggimento. In suo onore è stato inaugurato alla caserma “Trizio” un busto in bronzo a lui dedicato, inaugurato con una significativa cerimonia alla presenza dei familiari del militare caduto. Il Generale Tota, nel corso del suo intervento, ha dato merito ai militari del 7° per il lavoro che svolgono ogni giorno al servizio del Paese, di cui hanno dato spiccata prova di professionalità e capacità durante i 6 mesi di impegnativo lavoro nell’ambito dell’Operazione “Strade Sicure” in Campania. L’Alto Ufficiale ha infine rivolto un ringraziamento alle autorità locali per la loro presenza e vicinanza al Reggimento, evidenziando quanto sia importante la sinergia tra istituzioni locali che operano per il bene dei cittadini. A conclusione del convegno è stato consegnato al Sindaco di Altamura, Avv. Rosa Melodia, un attestato di “Caporale dei bersaglieri ad honorem”, per la sinergia creatasi nel corso degli anni tra il Reggimento e la città, e un riconoscimento a due militari che si sono particolarmente distinti nel corso della recente Operazione “Strade Sicure/Terra dei Fuochi”. Il 18 giugno è, infatti, terminato il semestre dei bersaglieri di Altamura, guidati dal colonnello Giovanni Ventura, in due operazioni in Campania: “Strade sicure” e “Terra dei fuochi”: oltre 1200 donne e uomini dell’Esercito sono stati impiegati nel contrastare la criminalità, garantire la sicurezza di obiettivi sensibili, controllare il territorio, prevenire e contrastare la condotta di reati ambientali, operando in sinergia con le Prefetture e le Questure di Napoli, Caserta e Salerno (in sintesi sono stati 46.050 i pattugliamenti svolti, 224 le attività produttive ispezionate e 8 le persone denunciate). https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fdaniele.bai%2Fposts%2F10218742427181011&show_text=true&width=500

Nel corso del convegno, si é esibita in più momenti la fanfara in armi del 7° reggimento Bersaglieri, diretta dal 1° Mar. Giovanni Carrozzo. Particolarmente significativa la esecuzione – in anteprima assoluta mondiale – di un brano “evocativo” composto dal Bersagliere Giovanni Zarola in onore e in ricordo agli eroi del “Leggendario Settimo” che combatterono a “El Alamein” (é proprio questo il titolo del brano) https://www.facebook.com/plugins/video.php?height=314&href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fassobersaglieri%2Fvideos%2F164749882377535%2F&show_text=false&width=560&t=0 .

Il giorno dopo, 2 luglio, una corsa mattutina in caserma https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fdaniele.bai%2Fposts%2F10218742632466143&show_text=true&width=500 : i musicisti della fanfara del Settimo hanno suonato correndo e, al termine della corsa, avevano ancora il fiato necessario per eseguire un intero e interessante concerto insieme ai ragazzi del “Symbola Percussion Ensemble” https://www.facebook.com/plugins/video.php?height=314&href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fassobersaglieri%2Fvideos%2F937579200355266%2F&show_text=false&width=560&t=0

Stando a quanto riferisce Onofrio Bruno su Altamura Life, al 7° reggimento Bersaglieri verrà conferita la cittadinanza onoraria del Comune di Poggiorsini che, in data 11 agosto 2021, andrà ad aggiungersi a quella già concessa tempo addietro dal Comune di Altamura. A Dio piacendo, poi, dal 24 al 26 agosto é previsto il tradizionale “Pellegrinaggio Cremisi” al santuario di Maria Santissima del Buoncammino (nella frazione Madonna del Buoncammino del Comune di Altamura). La “Madonna del Buoncammino” (o Buon cammino) detta anche “Odegitria” è, infatti, patrona del Corpo nazionale dei Bersaglieri e ad essa è dedicata anche una preghiera del bersagliere. http://www.bersaglieridiroma.it/?page_id=371#:~:text=Preghiera%20del%20bersagliere%20e%20la%20Santa%20Protettrice

Era il 4 Novembre, dopotutto!

4 novembre locandina

Lo scorso 4 Novembre si è ripetuto il consueto calendario di appuntamenti e celebrazioni. Lontani dai fasti della reggenza La Russa del ministero della Difesa e dalle caratteristiche esposizioni di mezzi e installazioni espositive, sono tornate quanto meno in auge – sebbene in forma più contenuta, per adeguarsi alla “spending review” – l’apertura delle caserme e i concerti di bande e fanfare militari in molte piazze d’Italia.

Nella Capitale d’Italia, alla tradizionale deposizione della corona d’alloro al sacello del Milite ignoto sull’Altare della Patria (resa ancora più solenne dalle note musicali della Banda Musicale dell’Esercito, diretta dal Cap. M° Antonella Bona) è seguita, poche ore dopo, una nuova cerimonia in piazza del Quirinale. Lo spirito che ci si era prefissati per questa seconda manifestazione era quello dell’incontro tra militari e cittadini in un comune abbraccio, all’ombra del Quirinale, in concomitanza dell’inaugurazione di un’opera scultorea dedicata ai Caduti: una lunga lapide che reca i nomi dei centosettantacinque militari italiani caduti nelle missioni di pace del secondo dopo guerra, dalla guerra di Corea – in cui l’Italia inviò rappresentanze ed assetti del Corpo militare CRI – fino ai monti dell’Afghanistan. L’opera, articolata su diversi pannelli, fa certamente riflettere…specie in termini di proporzione: la prima lunga schiera di caduti – tutti nella stessa data – sono gli aviatori di Kindu; seguono, alla spicciolata, casi sporadici di incidenti considerabili, seppur nella loro tragicità, “di routine”; il marò Filippo Montesi, caduto in Libano nel 1982, apre il triste capitolo delle missioni fuori area degli ultimi trent’anni; seguono i nomi dei caduti nei Balcani, l’equipaggio di Lyra 34 e via via fino ai Caduti a Nassirya, in Iraq e in Afghanistan (tra i quali c’è anche il nome di DAVID – e non DAVIDE! – Tobini).

david tobini

L’opera “Angeli degli Eroi” di Flavio Favelli, con l’auspicio di non doverne aggiornare la tragica contabilità, è stata poi traslata nel sacrario delle bandiere del vittoriano dove sono esposte le bandiere di tutti i reparti militari sciolti dopo le guerre o dopo i recenti “salassi” di bilancio. Sebbene significativa, la lapide e il suo significato appaiono fin troppo ispirati all’analogo muro in granito nero che – a Washington DC – reca i nomi dei quasi centomila caduti americani nella guerra del Vietnam, ma – a differenza dell’installazione che l’ha ispirata – essa non sarà all’aperto bensì rimarrà custodita in un simulacro certamente significativo, ma sconosciuto ai più e destinato a rimanere tale. Se non altro sarà al riparo dagli atti vandalici che l’opera omologa della capitale americana non rischia, essendo affidata ad un popolo che persino nelle sconfitte evita di trascinare la propria bandiera nell’incandescenza delle polemiche. Data la natura di quest’opera, erano presenti alla cerimonia moltissimi parenti dei caduti e a loro è stato riservato un posto di prima importanza nello schieramento in piazza del Quirinale. Dopo la deposizione del cuscino di fiori il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella si è intrattenuto, rientrando nel palazzo, con alcuni reduci e con i parenti di alcuni caduti e ha ricevuto una sonora contestazione da uno di essi, rimasto anonimo e allontanatosi subito dopo. Momenti di tensione per il cerimoniale, dunque, che non ha trovato modo alcuno di lenire lo sfogo di questo giovane parente, con gli occhiali scuri sotto ai quali asciugava costantemente lacrime con la mano, che lamentava qualcosa come una medaglia mancata e la disparità di trattamento tra il “suo” caduto e quelli degli altri. Nulla si è saputo di più e, nel frattempo – com’è d’uso in questi casi – il Capo dello Stato e il Ministro della Difesa Roberta Pinotti hanno proseguito a salutare i bambini delle scolaresche, simulando indifferenza. Sono questi i rischi che si corrono a comprimere la società civile nel cerimoniale militare e cristallizzare il dolore privato di tante famiglie nel dominio pubblico delle date solenni. Serva di lezione! Rientrate le autorità nel Palazzo del Quirinale, sono state tolte le transenne e – come previsto dallo spirito della manifestazione – i parenti e gli altri civili hanno raggiunto i militari che avevano animato la cerimonia. I parenti dei caduti hanno potuto avvicinarsi alla grande lapide: l’hanno contemplata in silenzio, accarezzando il nome dei figli, e alcuni tra loro non riuscivano a trattenere le lacrime. E, a pochi metri, la Banda Musicale Interforze eseguiva marcette briose… L’atmosfera era quantomeno surreale.

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La banda interforze è una compagine musicale che nasce dall’esigenza di non fare torti a nessuna delle principali bande militari, che – per motivi di bilancio – non ci sarebbe modo di far suonare tutte insieme poiché ciascuna di esse è composta da un centinaio di orchestrali. Vengono quindi chiamati in servizio una manciata di musicisti da ognuna delle bande militari cosiddette “ministeriali” o “centrali” (Aeronautica Militare, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Esercito e Marina Militare) per comporne una di una quarantina di strumentisti, diretti – a rotazione – dal Maestro Direttore di una delle suddette bande musicali.

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Il Ten.Col. M° Patrizio Esposito, direttore della Banda Musicale dell’Aeronautica Militare, ha pertanto diretto quella composta per il 4 Novembre. Tale formazione musicale, data la solennità dell’occasione in questione e delle altre a cui viene solitamente impegnata, ha indossato l’alta uniforme, esponendo pertanto una variopinta gamma di pennacchi, chepì e lucerne, giacche verdi della Finanza, code di rondine dei Carabinieri, code blu e oro della Marina e l’uniforme – indubbiamente troppo “da serata di gala” – dell’Aeronautica (frac e papillon). L’assortimento casuale della Banda Interforze e la rotazione, secondo le esigenze dei complessi musicali di appartenenza e secondo i turni di servizio, dei suoi musicisti comporta l’impossibilità di effettuare prove e di collaudare arrangiamenti ed esecuzioni: questo rende inevitabile e persino opportuno il dover ripiegare la scelta su pochi brani standard, che non sempre risultano consoni con l’occasione.

Il concerto – durato una ventina di minuti – che ha concluso la cerimonia dello scorso 4 novembre ha infatti sacrificato infatti il repertorio musicale tradizionale italiano in favore della ballabile Carmen di George Bizet, dell’onnipresente Guillaume Tell di Gioachino Rossini e delle tipiche marce americane di John Philip Sousa (dal sapore, forse, un po’ commerciale data la loro internazionalità), lasciando nella “lista dei desideri” brani certamente più adatti magari tratti dal canzoniere risorgimentale o dai canti della Grande Guerra e, in particolare, “Le Campane di San Giusto” (era il 4 novembre, dopotutto!).

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Soltanto la grande professionalità e l’ottima preparazione accademica e artistica degli orchestrali e del maestro direttore hanno fatto si che, complessivamente, la qualità dell’esecuzione fosse buona. I musicisti militari (peraltro applauditissimi dalle ormai immancabili scolaresche, composte soprattutto da alunni della Scuola Primaria) hanno tamponato le sbavature di una cerimonia altrimenti improvvisata e concettualmente un po’ confusa tra festa e ricordo, brio e commozione, lacrime e rabbia…

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Sorvoliamo…come la straordinaria Pattuglia Acrobatica Nazionale delle Frecce Tricolori! Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Viva le Forze Armate! Viva gli Italiani!

Articolo di Marco Potenziani e Claudia Giannini per Alamari Musicali

Filmati di Marco Potenziani per Alamari Musicali

Fotografie di Paolo Giandotti, Marco Potenziani e Davide Fracassi per Alamari Musicali

La Banda all’Expo 2015 Milano

L'ora del riposo durante i lavori dell'Esposizione Nazionale di Milano (1881) - Filippo Carcano

L’ora del riposo durante i lavori dell’Esposizione Nazionale di Milano (1881) – Filippo Carcano


La Banda Musicale dell’ Esercito Italiano, diretta dal M°Antonella Bona, si esibirà in un meraviglioso concerto nella suggestiva cornice delle Terrazze del Duomo di Milano in occasione della giornata inaugurale di Expo 2015 Milano.
Il programma musicale scelto è, come sempre, originale e interessante. Si partirà con l’adattamento, scritto da Nicholas D. Falcone, della Symphonic concert march di Giosué Bonelli, autore quasi sconosciuto della seconda metà del diciannovesimo secolo che ha composto un brano coi toni solenni e maestosi tipici della marcia inserendovi virtuosismi strumentali che la rendono un vero e proprio “pezzo da concerto”.
Il secondo brano in programma è l’adattamento scritto da Luca Valenti della Sinfonia per Banda op. 153 di uno dei primi e più prolifici compositori di musica originale per banda militare: Amilcare Ponchielli, infatti, prima di diventare docente al Conservatorio di musica di Milano era stato direttore della Banda della Guardia Nazionale di Piacenza e della Banda della Guardia Nazionale di Cremona e per queste produsse una gran quantità di composizioni per banda in forma di marce, sinfonie e concerti per solisti. Molto interessanti riguardo a questo compositore italiano, probabilmente sottostimato e sottovalutato negli anni recenti dalle bande italiane, sono gli studi compiuti dal professor Henry Howey, docente della Sam Houston State University del Texas.
Il terzo è un brano contemporaneo di non facile ascolto e di impegnativa esecuzione, ma assolutamente adatto all’ambiente religioso in cui verrà ospitato il concerto: Mosaici bizantini di Franco Cesarini (studente del Conservatorio G. Verdi Milano e all’Accademia Musicale di Basilea e poi docente al Conservatorio di Musica di Zurigo e del Conservatorio della Svizzera Italiana oltreché direttore della “Civica filarmonica di Lugano” e della “Civica filarmonica di Balerna”) è un imponente lavoro scritto nel 1993/94, ispirato a mosaici che rappresentano passi del Vangelo di Matteo: la natività di Gesù Cristo <>, il tempio di Gerusalemme <> e l’angelo della Resurrezione <>.
Infine il “pezzo forte”: la trascrizione di Giovanni Dall’Ara di una selezione tratta da un balletto che Romualdo Marenco compose insieme al coreografo Luigi Manzotti sul finire del diciannovesimo secolo e che fu rappresentato per la prima volta al Teatro alla Scala nel 1881, in occasione della Esposizione Nazionale di Milano…il celebre Gran Ballo Excelsior che ottenne un successo travolgente in tutto il mondo, anche grazie a La Scala Theatre Ballet School.

Qualora dovesse piovere, il concerto verrà eseguito nel Duomo di Milano – Duomo of Milan, simbolo di Milano: la più grande cattedrale gotica d’Italia e una delle più grandi d’Europa. Si ringrazia sin d’ora l’ospitalità della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, lo storico ente preposto sin dal 1837 alla conservazione e valorizzazione della Cattedrale milanese, istituito da Gian Galeazzo Visconti – allora Duca della città – per la progettazione e costruzione del monumento e poi impegnato “nella conservazione e nel restauro architettonico e artistico del Duomo, nell’attività di custodia e servizio all’attività liturgica e nella valorizzazione e promozione dello straordinario patrimonio di arte, cultura e storia che il simbolo di Milano possiede”.

IL MOSAICO DEL GRANATIERE

Il 18 febbraio 2015 un Granatiere di Sardegna in congedo (in congedo (il caporalmaggiore, poi sergente, Nello Sebastiano Genovese 9 sc 82 CCS 2 btg gra mecc ” CENGIO”) lanciò un appello, in forma di evento sul social network Facebook, dal titolo SALVIAMO IL MOSAICO DEL GRANATIERE che proponeva (al costo di un euro) l’adozione di una tessera del mosaico onde riuscire a salvarlo dalla possibile demolizione e finanziare il suo spostamento presso il Museo storico dei Granatieri di Sardegna *). L’entusiastica generosità con cui immediatamente risposero gli iscritti dell’Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna, di cui fanno parte sia coloro che hanno militato con i bianchi alamari sia i simpatizzanti di questa specialità, mi ha particolarmente colpito e mi ha spinto a cercare qualche notizia sul Mosaico del Granatiere. Fu così che m’imbattei nel prezioso materiale fotografico raccolto dal Granatiere Ernesto Bonelli e, altrettanto generosamente, donata al Museo. Da questo si può evincere che la generosità aveva caratterizzato sin dal 23 agosto 1937 – data ufficiale d’inizio lavori – la realizzazione di questo grande mosaico policromo (circa trenta metri quadrati): vi si dedicarono infatti – nelle ore e nei giorni liberi dal servizio – granatieri, sottufficiali e ufficiali del 2° Reggimento Granatieri di Sardegna (tra cui il S.Ten, Lucchetti e il S.Ten. Tongiani) e, in particolar modo, il sottotenente dei Granatieri Lino Lipinsky De Orlov, autore ufficiale dell’opera realizzata con la cosiddetta tecnica vaticana.

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L’immagine scelta per il grande mosaico che decorava la facciata di quella che era la Casa del Granatiere, ovvero lo spaccio per la truppa (che all’epoca veniva chiamato “sala convegno della truppa”), fu quella del militare nell’atto di lanciare una granata: tale gesto, rifletteva il caratteristico impiego della Specialità nel primo periodo della sua esistenza. L’appellativo “granatieri” ebbe infatti origine dal fatto che, nel 1685, il re Vittorio Amedeo II di Savoia assegnò ad ogni compagnia del reggimento Guardie sei soldati incaricati di lanciare allo scoperto le granate. Avete letto proprio bene: 1685! I Granatieri sono, infatti, il più antico corpo militare italiano, poiché derivano direttamente dall’antico Reggimento delle Guardie Reali creato nel 1659 dal duca Carlo Emanuele II di Savoia e, sin dal 1664 a tale unità, spettava – nell’ordinamento militare – la precedenza su tutti gli altri reggimenti proprio per l’anzianità quale primo della fanteria d’ordinanza. La divisa grigioverde, indossata dal granatiere raffigurato nel mosaico, invece era stata adottata qualche anno dopo il trasferimento a Roma del 1° e del 2°Reggimento Granatieri di Sardegna, precedentemente di stanza a Parma e a Piacenza. Da allora gli alamari – che vengono, comunque, riprodotti sulle mostrine e che continuano a spettare ai soli Granatieri e Carabinieri – rimasero solo sull’alta uniforme da parata.

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Il Comandante del Reggimento, il Colonnello Alberto Mannerini, seguì personalmente la costruzione del mosaico e la realizzazione di tutti i numerosi affreschi (andati perduti) che decoravano le pareti all’interno della sala convegno truppa. La Casa del Granatiere, sita all’interno della Caserma Umberto I di piazza Santa Croce in Gerusalemme, che ospitava il Reggimento Granatieri di Sardegna fu ufficialmente inaugurata il 27 gennaio 1938 dal Capo del Governo Benito Mussolini.

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Durante il periodo bellico della Seconda Guerra Mondiale e della Guerra di Liberazione, il mosaico subì seri danni a causa di colpi d’artiglieria o di arma da fuoco di grosso calibro.

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Subito dopo le vicende belliche la Caserma fu abbandonata dall’Esercito e, nel 1958, fu ceduta dal Ministero della Difesa all’Intendenza di Finanza che, in massima parte, non la utilizzò: com’è facilmente intuibile, la scarsa manutenzione o – per meglio dire – lo stato di abbandono dell’infrastruttura comportarono l’inevitabile degrado del mosaico. Ai Granatieri questo fatto provocava una profonda sofferenza spirituale e rappresentava un motivo di vergogna per la stessa città di Roma, alla cui difesa i Granatieri di Sardegna sono preposti. Pertanto, non appena venne costituito, il 1 ottobre 1979, il 2° Battaglione Granatieri Meccanizzato Cengio – che ereditò medagliere, motto, simboli e stendardo del 2° Reggimento – i granatieri chiesero con insistenza e, per voce del Granatiere Generale Raffaele Simone, ottennero dallo Stato Maggiore dell’Esercito che il mosaico venisse distaccato, restaurato e trasferito nel cortile della loro caserma Alfonso Albanese Ruffo di via Tiburtina. Dal 1982 esso fu dunque fedele compagno di tanti militari, giustamente orgogliosi della loro appartenenza a un corpo tanto glorioso, e fu testimone di avvenimenti festosi come la ricostituzione del 2° Reggimento Granatieri di Sardegna nel 1992, ma anche di tragici eventi – quale il misterioso suicidio del granatiere pisano Claudio Fausto Leonardini, precipitato da una finestra il 4 luglio 1995 e morto dopo quasi due settimane di coma – e degli scandali che ne seguirono. ***)

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Nel 1996 i granatieri furono trasferiti a Spoleto (dove ora, dopo un nuovo scioglimento, restano soltanto la 5ª e la 6ª Compagnia Fucilieri, che fanno parte del 1º Reggimento Granatieri di Sardegna) e il granatiere del mosaico restò nuovamente solo, almeno fino a quando nel 2010 – in seguito all’annunciata dismissione della caserma da parte del Ministero della Difesa e alle ricorrenti notizie di assegnazione dell’intero complesso militare al Comune di Roma – non giunsero gli attivisti del movimento Action per il diritto alla casa a occupare simbolicamente il sito per qualche ora. ****) Naturalmente le condizioni del mosaico, nuovamente rimasto per anni privo di qualunque intervento di manutenzione, stavano volgendo nuovamente al degrado e c’erano seri rischi che venisse proprio definitivamente demolito.

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Ma vi pare che coloro che (insieme ad alcuni rinforzi di volontari tra bersaglieri, carabinieri, carristi, cavalieri, paracadutisti e polizia dell’Africa italiana e a una parte della popolazione romana) dettero origine alla Resistenza italiana contro l’occupazione nazista seguita all’armistizio dell’8 settembre 1943, scontrandosi duramente contro le preponderanti truppe tedesche e resistendo eroicamente per due giorni presso Porta San Paolo poi sul Campidoglio – ultimo baluardo della difesa di Roma, difeso dalla IV Compagnia Reclute del 1º Reggimento, comandata del Capitano Alberto Alessandrini –  avrebbero potuto rinunciare a uno dei loro simboli? NO DAVVERO!

Il motto dei Granatieri deriva dal grido «A me le guardie per l'onore di casa Savoia!» lanciato dal Duca Carlo Emanuele II di Savoia, comandante del Reggimento Guardie Reali (Granatieri), ai suoi uomini, che si lanciarono in un corpo a corpo contro gli austriaci nella Battaglia di Goito del 30 maggio 1848 (Prima Guerra d'Indipendenza) e risultarono decisivi per le sorti del combattimento. Il motto venne ridotto, dopo la proclamazione della Repubblica Italiana, all'attuale motto:

Il motto dei Granatieri deriva dal grido «A me le guardie per l’onore di casa Savoia!» lanciato dal Duca Carlo Emanuele II di Savoia, comandante del Reggimento Guardie Reali (Granatieri), ai suoi uomini, che si lanciarono in un corpo a corpo contro gli austriaci nella Battaglia di Goito del 30 maggio 1848 (Prima Guerra d’Indipendenza) e risultarono decisivi per le sorti del combattimento. Il motto venne ridotto, dopo la proclamazione della Repubblica Italiana, all’attuale motto: “A me le guardie ! “

E così, a soli due mesi di distanza dall’inizio della colletta, ecco che Il Granatiere di Lipinsky De Orlov torna a Piazza Santa Croce in Gerusalemme…e proprio nel giorno del 356° anniversario della costituzione del Corpo delle Guardie Reali, da cui deriva la specialità dell’Esercito Italiano denominata Granatieri di Sardegna: il 18 aprile.

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La Musica d’ordinanza del I Reggimento Granatieri di Sardegna – diretta dal Maestro Primo Maresciallo Luogotenente Domenico Morlungo – ha dunque accompagnato musicalmente la cerimonia inaugurale di riposizionamento del Mosaico del Granatiere.

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Il Sottosegretario di Stato alla Difesa, On. Domenico Rossi, taglia il nastro nel corso della cerimonia di riposizionamento del mosaico

Il Sottosegretario di Stato alla Difesa, On. Domenico Rossi, taglia il nastro nel corso della cerimonia di riposizionamento del mosaico “Il Granatiere” insieme al Presidente dell’Associazione Nazionale “Granatieri di Sardegna”, Generale di Corpo d’Armata nella riserva Mario Buscemi, e al Comandante della Brigata Meccanizzata “Granatieri di Sardegna”, Generale Maurizio Riccò.

“Oggi non potevo non essere qui, almeno per due motivi: primo perché da Sottosegretario alla Difesa, e quindi come esponente del Governo, ritengo che in tutte le cerimonie sia necessario far sentire la presenza delle Istituzioni; secondo perché, in passato, sono stato Comandante della Brigata Meccanizzata Granatieri di Sardegna e quindi, oltre al piacere di stare tra amici, sento l’orgoglio di avere contribuito all’operatività di una Brigata che ancora oggi è parte attiva di missioni nazionali (come Strade sicure)  e internazionali… Forse non tutti sanno apprezzare i valori che ci sono dietro una cerimonia come questa: cerimonie come quella odierna rappresentano un momento di grande riflessione e memoria ed è per questo che il mio plauso va al Presidente dell’Associazione Granatieri Gen. Buscemi per averla organizzata. Serve più cultura della difesa. E non dobbiamo dimenticare quel 25 aprile, quel giorno di Liberazione – che tra pochi giorni ci apprestiamo a “festeggiare” – e l’importanza del primo atto di resistenza della Divisione Granatieri contro i tedeschi l’8 settembre del 1943 a Porta San Paolo… La Resistenza, prima che fatto politico, fu soprattutto rivolta morale. Questo sentimento, tramandato di padre in figlio, costituisce un patrimonio che deve permanere nella memoria collettiva del Paese… Quindi, in un momento di crisi di valori etici e morali, una rinascita è certamente possibile per tutti (anche nei momenti di difficoltà) chiamando: A ME LE GUARDIE!”: ha dichiarato il Sottosegretario di Stato alla Difesa on. Domenico Rossi.

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L’attuale Comandante della Brigata Meccanizzata Granatieri di Sardegna, Generale di Brigata Maurizio Riccò, ha esaltato – al termine della cerimonia e del concerto – la figura del Granatiere che, nel solco delle tradizioni, “ha partecipato a tutte le più importanti battaglie per la costituzione dell’Unità d’Italia e fornisce, costantemente, il proprio contributo in molteplici scenari nazionali e internazionali, anche per la sicurezza dei cittadini”.

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Nel solco delle tradizioni anche il breve, ma suggestivo concerto che la Musica d’ordinanza dei Granatieri ha tenuto dinanzi ai numerosi presenti, emozionati nel riascoltare le marce della loro plurisecolare tradizione..

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tra cui la celeberrima Marcia d’ordinanza intitolata “I Pifferi”, scritta nel 1775 (pare da tale P. Napolitano) come marcia e sveglia per il 3° Reggimento Granatieri Guardie

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E l’indomani, per festeggiare degnamente il ritorno de Il Granatiere nella sua sede originaria, si sono riuniti tutti (o quasi) gli ex commilitoni che avevano fatto parte del 2° Battaglione Cengio.*****) e che ricordano con nostalgia i tempi in cui erano alloggiati nella caserma di Via Tiburtina, che non è più stata dismessa ed è attualmente sede del Reparto Comando e Supporti tattici della Brigata meccanizzata “Granatieri di Sardegna”.

Al termine della Grande Guerra i Granatieri di Sardegna furono destinati al presidio di Fiume, ma - in seguito a problemi con la minoranza croata - furono allontanati dalla città il 25 agosto 1919. Acquartieratisi a Ronchi di Monfalcone (ora Ronchi dei Legionari), sette ufficiali inviarono a Gabriele D'Annunzio la lettera da cui sarebbe poi scaturita l'Impresa di Fiume: « Sono i Granatieri di Sardegna che Vi parlano. È Fiume che per le loro bocche vi parla. Quando, nella notte del 25 agosto, i granatieri lasciarono Fiume, Voi, che pur ne sarete stato ragguagliato, non potete immaginare quale fremito di entusiasmo patriottico abbia invaso il cuore del popolo tutto di Fiume… Noi abbiamo giurato sulla memoria di tutti i morti per l'unità d'Italia: Fiume o morte! e manterremo, perché i granatieri hanno una fede sola e una parola sola. L'Italia non è compiuta. In un ultimo sforzo la compiremo. » Il

Al termine della Grande Guerra i Granatieri di Sardegna furono destinati al presidio di Fiume, ma – in seguito a problemi con la minoranza croata – furono allontanati dalla città il 25 agosto 1919. Acquartieratisi a Ronchi di Monfalcone (ora Ronchi dei Legionari), sette ufficiali inviarono a Gabriele D’Annunzio la lettera da cui sarebbe poi scaturita l’Impresa di Fiume: « Sono i Granatieri di Sardegna che Vi parlano. È Fiume che per le loro bocche vi parla. Quando, nella notte del 25 agosto, i granatieri lasciarono Fiume, Voi, che pur ne sarete stato ragguagliato, non potete immaginare quale fremito di entusiasmo patriottico abbia invaso il cuore del popolo tutto di Fiume… Noi abbiamo giurato sulla memoria di tutti i morti per l’unità d’Italia: Fiume o morte! e manterremo, perché i granatieri hanno una fede sola e una parola sola. L’Italia non è compiuta. In un ultimo sforzo la compiremo. » Il “poeta vate”, seppure fosse un Tenente in congedo dei Lancieri di Novara, volle farsi carico delle temerarie operazioni per la riconquista di Fiume (per la quale sarebbe stato insignito del grado onorifico di Generale di Brigata Aerea). Durante la fase finale dell’Impresa di Fiume volle indossare l’uniforme da Tenente colonnello dei “Granatieri di Sardegna” e onorare il Corpo coniando il motto “Di noi tremò la nostra vecchia gloria: tre secoli di fede e una vittoria.” che fu adottato con particolare entusiasmo dai Granatieri del II Reggimento (di cui il 2° Btg. Cengio raccolse l’eredità).

*) http://www.museimilitari.it/Articolo.asp?Articolo=MuseoGranatieri

**) http://www.granatieridisardegna.it/galleria_lipinsky_2.htm

***) http://archiviostorico.corriere.it/1997/luglio/09/Storie_sesso_caserma_co_10_9707097315.shtml      http://archiviostorico.corriere.it/1997/luglio/17/supertestimone_granatiere_buttato_dalla_finestra_co_10_9707178650.shtml  http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/12/20/tutti-assolti-per-la-morte-del-granatiere.html

****) http://www.abitarearoma.net/action-occupa-la-caserma-ruffo/

*****) http://militarynewsfromitaly.com/2015/04/20/ritorno-alla-naja-per-un-giorno-raduno-del-2-battaglione-cengio/

Cassino

Grazie all’intenso lavoro dell’Assessore alla Cultura Danilo Grossi, del Sindaco Giuseppe Golini Petrarcone e del consigliere comunale Danilo Salvucci e soprattutto grazie alla fattiva collaborazione del 80° Reggimento Addestramento Volontari dell’ Esercito Italiano i cittadini del comune di Cassino hanno avuto la possibilità di assistere al concerto della Banda Musicale dell’ Esercito Italiano. Esso si è tenuto presso il Teatro Manzoni di Cassino alle ore 11.00 di domenica 3 novembre 2013, come anticipazione del “Giorno dell’Unità nazionale e Festa delle Forze armate” che si celebra in tutta Italia il 4 novembre e alla vigilia delle numerose cerimonie ed eventi previsti per il prossimo anno 2014 per commemorare il settantesimo anniversario della distruzione di Cassino e dell’Abbazia di Monte Cassino, avvenuta in conseguenza dell’occupazione da parte delle truppe germaniche e dei bombardamenti da parte delle truppe alleate.
Queste le parole del Sindaco di Cassino, pronunciate al termine del concerto: <<Per noi è stato un onore oltre che un privilegio ospitare, nel nostro Teatro cittadino, la Banda Musicale dell’Esercito Italiano. Le note che abbiamo avuto modo di ascoltare da parte dei virtuosi musicisti della Banda dell’Esercito hanno un valore particolare e rappresentano l’anteprima della giornata di domani, 4 novembre, quando, come accade ogni anno, celebreremo presso il Monumento ai Caduti la giornata dedicate alle Forze Armate. La grande di partecipazione di pubblico oltre a testimoniare l’ottima qualità del concerto offerto, dimostra anche l’affetto che tutti i cittadini nutrono nei confronti delle Forze dell’Ordine. Il concerto è stata anche l’occasione per ringraziare tutte le Forze Armate per il loro lavoro che quotidianamente svolgono: un lavoro che ha l’obiettivo di garantire a tutti noi la possibilità di vivere in modo più sicuro. Il mio ringraziamento e quello dell’intera cittadinanza va quindi all’ Esercito Italiano, che ci ha regalato questa bellissima giornata che arricchisce ulteriormente il già folto calendario di eventi in programma per celebrare nel modo migliore i settant’anni dalla distruzione della nostra città. Una giornata che testimonia anche gli ottimi rapporti che ci sono tra le istituzioni ed in particolare, in questo caso, mi riferisco ai contatti costanti tra il Comune e l’80° R.A.V. di Cassino.>>
Tra il pubblico c’eravamo anche noi di Alamari Musicali, che consideriamo un onore, un piacere e un privilegio poter assistere a un concerto che abbiamo atteso con particolare impazienza, curiosità ed emozione poiché avevamo avuto modo di assistere alla prima prova di un programma che avevamo trovato, sin dal primo “assaggio” decisamente “difficile” e interessante. Dopo aver osservato in prima persona con quanto impegno e professionalità lavorano i musici e quanta maestria e “fatica” richieda il ruolo del vicedirettore, letteralmente non vedevamo l’ora di ascoltare il frutto di tutto questo: sentirli suonare oggi e vedere il capitano Antonella Bona dirigerli con leggiadra autorevolezza ha dato a tutti, persino a noi, l’impressione che la musica militare e sinfonica rappresentino il “lavoro” più facile del mondo… Eravamo anche curiosi di vedere come il pubblico avrebbe accolto la proposta di brani che si discostano un poco da quelli che solitamente gli spettatori richiedono, quali le “solite” arie della musica lirica italiana o qualche canzone popolare o, al massimo, gli inni o marce militari più noti: abbiamo notato con estremo piacere che il folto pubblico presente in sala ha gradito e applaudito con entusiasmo non solo le trascrizioni originali per banda della Sinfonia dall’opera Nabucco di Giuseppe Verdi (scritta da Franco Cesarini) e della Sinfonia dall’opera Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi (scritta da Wolfgang Wössner), ma anche le composizioni originali per banda “Fanfare for the common man” di Aaron Copland, Canterbury Chorale di Jan Van Der Roost, i cinque movimenti (Normandie, Bretagne, Ile-de-France, Alsace-Lorraine e Provence) della “Suite française” di Darius Mildaud, il prologo sinfonico per fiati “Rushmore” di Alfred Reed e la “Commando March” di Samuel Barber.
Alcuni tra voi – lo sappiamo – storceranno il naso e lamenteranno il fatto che si siano scelti grandi autori stranieri. Sappiate che i grandi compositori italiani – compreso Pietro Mascagni che tenne a battesimo e frequentava assiduamente la Banda dell’Aeronautica Militare – utilizzavano spesso gli organici delle bande, affidandogli anche parti importanti, nell’esecuzione delle proprie opere (p. es. Giuseppe Verdi e Gioacchino Rossini che indubbiamente amavano la banda), ma nessuno di loro si è mai degnato di comporre brani e sinfonie appositamente per banda e la situazione non è di molto migliorata negli anni successivi o al giorno d’oggi…. Pensate che l’unico italiano compositore famoso di musica cosiddetta “alta” che abbia scritto un pezzo appositamente per l’organico della banda fu Ottorino Respighi, anch’egli “frequentatore” assiduo delle bande militari italiane: nel 1932 egli compose la bellissima “Huntingtower Ballad” per la New York Military Band, su richiesta del suo “patron” Edwin Goldman, rinomato direttore, pianista e compositore americano.
Noi di Alamari Musicali, nel nostro piccolo, ci facciamo portavoce delle “lamentele” e, soprattutto, degli auspici confidatici da tutti i direttori delle Bande Musicali “Ministeriali” (Aeronautica, Carabinieri, Esercito, Guardia di Finanza, Marina e Polizia di Stato) in occasione di un recente convegno oltreché dei direttori delle Bande minori (inteso nel senso del numero dei componenti l’organico) e delle cosiddette Bande Dipartimentali delle stesse Forze Armate e dei Corpi di Polizia (tali possono essere considerate anche le Fanfare dell’Arma dei Carabinieri che in realtà hanno organico ridotto, ma strutturato in modo similare e speculare a quello dalla Banda) e delle Fanfare a Cavallo (Polizia di Stato, Lancieri di Montebello e Fanfara del 4 reggimento Carabinieri a Cavallo) e ci appelliamo ai moderni compositori italiani di “musica alta” – sempre che ce siano 😉 – perché si decidano a scrivere per i nostri Corpi bandistici militari e la smettano di snobbarli. Siamo, sinceramente, stanchi e demoralizzati nel sentire la solita complimentosa solfa della “Banda che suona come un’orchestra” al punto tale che ai nostri volontari è capitato di dire ai musici di alcune bande che frequentiamo anche nei dopo-concerto (le amiamo tutte parimenti, ma non tutte parimenti ci amano) la frase “Questa è una banda che mangia come un’orchestra (chiaramente in riferimento alla differenza di organico), ma che – grazie a Dio – suona ancora come una Banda!”.