Nella primavera del 1921, il colonnello Giulio Douhet – dalle colonne del settimanale Dovere, di cui era direttore – lanciò l’idea di onorare gli atti di eroismo e l’estremo sacrificio delle centinaia di migliaia di soldati italiani caduti durante la Prima Guerra Mondiale (e, soprattutto, dei tanti rimasti senza nome o senza degna sepoltura a causa della mancata indelebilità dell’inchiostro con cui erano scritti i nomi dei militari sul foglio matricolare che portavano al fronte, in una tasca interna della divisa) nella salma di un soldato sconosciuto che rappresentasse idealmente il marito, il figlio, il padre di quanti non avevano la possibilità di onorare le spoglie mai ritrovate del familiare disperso.
L’11 agosto di quello stesso anno, fu promulgato il provvedimento di Legge (n. 1075), che affidava al Ministro della Guerra la definizione delle modalità esecutive per la designazione e per le onoranze da rendere alla salma del caduto senza nome.
Il Ministro della Guerra in carica era, a quel tempo, il Deputato Luigi Gasparotto (eletto alla Camera – nel 1913 – nel collegio elettorale di Milano, ma nato e cresciuto a Sacile): sebbene esentato dal prestare servizio militare in quanto membro del Parlamento e nonostante l’età non più giovanissima (42 anni), egli aveva rinunciato al beneficio e combattuto in prima linea meritando, tra le altre, una Medaglia d’Argento al Valor Militare per il comportamento tenuto durante la battaglia per la conquista di Oslavia.
Il Ministro della Guerra, On. Gasparotto, così aveva disposto: <<Il 4 novembre p.v. si renderanno in Roma solenni onoranze alla salma senza nome, di un soldato caduto in combattimento alla fronte italiana nella guerra italo-austriaca 1915-1918… La salma – che avrà sepoltura in Roma, all’Altare della Patria – deve essere esumata nelle zone più avanzate delle nostre linee, dopo accurati e scrupolosi accertamenti perché sia garantita l’autenticità che essa appartenga ad un soldato italiano caduto in combattimento.
Affido pertanto il delicato compito all’Ispettore per le Onoranze Salme Caduti (Sua Ecc. Ten. Gen. Paolini) e prescrivo che a tale scopo esso costituisca una speciale Commissione da lui presieduta e composta: del Colonnello Paladini, capo dell’Ufficio Onoranze Salme Caduti e di un Ufficiale Superiore Medico destinato da] Direttore tecnico delle Onoranze Salme Caduti di questo Ministero (il Maggiore medico Nicola Fabrizi, N.d.R.). Ne faranno parte quattro ex combattenti e cioè: un Ufficiale, un sotto ufficiale, un caporale ed un soldato, che l’Ispettore anzidetto farà designare dal Sindaco di Udine (Luigi Spezzotti, N.d.R.).>>
Avrebbe accompagnato la commissione – ma senza farne parte integrante – il cappellano militare don Pietro Nani, già collaboratore del poeta Giannino Antona Traversi nella realizzazione del Cimitero degli Invitti sul Colle di Sant’Elia (l’attuale Sacrario militare di Redipuglia).
Circa l’esumazione delle salme, le disposizioni prescrivevano che le ricerche dovessero essere condotte <<nei tratti più avanzati dei principali campi di battaglia: San Michele, Gorizia, Monfalcone, Cadore, Alto Isonzo, Asiago, Tonale, Monte Grappa, Montello, Pasubio e Capo Sile.>>
Su ciascun campo di battaglia, alla presenza di tutti i membri della commissione, doveva essere ricercata ed esumata <<la salma di un caduto certamente non identificabile>> e, per ciascuna esumazione, doveva essere redatto un verbale che precisasse tutte le cautele adottate durante l’esumazione.
Le undici salme, infine, dovevano essere sistemate in altrettante identiche casse di legno, fatte allestire a Gorizia e traslate nella Basilica di Aquileia entro il 27 ottobre.
Il successivo giorno 28, dopo la benedizione dei feretri, la mamma di un disperso in guerra avrebbe designato la salma che doveva essere onorata in eterno come “Ignoto Militi”.
La bara prescelta doveva essere collocata all’interno di una cassa di legno lavorato ad ascia e rivestita di zinco, fatta allestire a cura del Ministero della Guerra e quindi doveva essere trasferita a Roma mediante uno speciale convoglio ferroviario.
I rimanenti dieci soldati ignoti sarebbero stati tumulati nel cimitero retrostante la Basilica di Aquileia .
Risultarono designati – in data 26 settembre, con delibera del Sindaco di Udine – il Tenente Augusto Tognasso di Milano (mutilato, con 36 ferite), il Sergente Giuseppe De Carli di Azzano Decimo (Medaglia d’Oro al Valor Militare), il Caporal Maggiore Giuseppe Sartori di Zugliano (Medaglia d’Argento al Valor Militare), il Soldato Massimo Moro di Santa Maria di Sclaunicco (Medaglia d’Argento al Valor Militare) e quattro sostituti. Essi furono convocati per una riunione – che si svolse il 2 ottobre 1921 presso la sede udinese dell’Ufficio per le Onoranze ai Caduti, all’interno di Palazzo Caiselli – durante la quale vennero definiti il piano per le ricerche, le modalità per la designazione e altri problemi organizzativi e logistici. Al termine della riunione, il Generale Paolini pretese da tutti i partecipanti (compresi gli autisti, i falegnami, gli scavatori e tutti coloro che – a vario titolo – avrebbero operato insieme alla Commissione) il giuramento che mai avrebbero rivelato i luoghi ove si sarebbero svolte le ricerche. Poi – attraverso la Strada Statale 13, Ponte della Priula, Bassano del Grappa e la statale della Valsugana – i membri della Commissione giunsero a Trento. Il giorno dopo, essi mossero da Trento alla ricerca della prima salma.
<<…attraverso Rovereto, avvolta ancora nel silenzio del riposo e quando il sole stava per baciare le cime di quei monti che furono teatro di grandi gesta…>> scrisse il Tenente Tognasso nel suo diario (da cui sono stati tratti il docu-film La scelta di Maria di Francesco Micciché, trasmesso da Rai 1 il 4 Novembre 2021, e Il figlio ritrovato. Milite Ignoto: La scelta https://youtu.be/9S9KxUt_vdw portato in tournée dal gruppo teatrale Il Canovaccio e dall’Orchestra di fiati delle Forze Operative Nord dell’Esercito Italiano, diretta dal Sergente Cosimo Taurisano). L’ufficiale – va detto, a suo onore – mai ha nominato località o precisato i luoghi nei quali si svolsero le ricerche. Quel che sappiamo, lo dobbiamo al Colonnello della Riserva dell’Esercito Italiano Lorenzo Cadeddu ed è frutto di anni di infaticabili e sofferte ricerche: <<…l’unica località del Trentino di cui si parla nelle disposizioni emanate dal ministro è il Tonale (e non Rovereto). In termini geografici il Passo del Tonale dista in linea d’aria circa quaranta chilometri da Trento in direzione Nord Ovest, mentre Rovereto dista da Trento venticinque chilometri in direzione Sud Est. Non è verosimile che la Commissione abbia commesso un così grossolano errore né che, arbitrariamente, abbia modificato le disposizioni del ministro. È probabile invece che il settore a sudest di Trento sia stato ritenuto più idoneo per la ricerca, in quanto teatro di più aspri combattimenti, rispetto al settore del Tonale. Proprio a Sud Est di Rovereto, erano situati i punti più avanzati della massima penetrazione italiana: Zugna Torta, Coni Zugna, Costa Violina, Monte Forno ed altre località (conquistate d’impeto nel 1915 e perse nel 1916, a seguito della Strafexpedition). >>
Nonostante le più accurate ricerche, tuttavia, non venne rinvenuta alcuna salma insepolta. Venne allora deciso di esumarne una tra quelle di ignoti sepolti in un vicino cimitero di guerra che raccoglieva <<..il maggior numero di eroi..>>.
Rifacendoci agli esiti delle ricerche del Col. Cadeddu, il maggior cimitero di guerra del trentino, nel 1921, sorgeva in località Lizzana, proprio vicino a Rovereto. Il luogo anticamente era denominato Castello di Lizzana e vi sorgeva la residenza dei conti di Castelbarco: successivamente la denominazione venne cambiata in Castel Dante perché, secondo la tradizione, il Sommo Poeta – della cui morte, proprio quest’anno, si commemora il settecentesimo anniversario – vi avrebbe soggiornato nel 1303.
Nel dicembre del 1915, le operazioni offensive della 1^ Armata avevano consentito alle truppe italiane di avanzare lungo la Val d’Adige verso Trento, sino a raggiungere il margine meridionale del dosso (detto anche Colle) di Castel Dante e, più a oriente, le zone di Corna Calda e Costa Violina: sulle posizioni raggiunte, le fanterie italiane si rafforzarono allestendo trincee blindate, camminamenti e postazioni per artiglierie in caverna; il pianoro prativo di Castel Dante venne occupato d’impeto – la notte di Natale del 1915 – dai fanti del 114° Reggimento di Fanteria della Brigata Mantova, che vi si insediarono e lo difesero dai vigorosi ripetuti contrattacchi austriaci fino a quando, nel maggio 1916 (nonostante la strenua difesa da parte del 1/207° Reggimento di Fanteria della Brigata Taro) il sistema difensivo del saliente trentino fu perduto e il Colle di Castel Dante passò nuovamente e irrimediabilmente di mano.

Poco tempo dopo il termine del conflitto, il Colle di Castel Dante venne destinato a cimitero per raccogliere le salme provenienti da oltre centocinquanta cimiteri di guerra della regione trentina. Appena varcato il cancello d’ingresso del vecchio camposanto (- l’attuale sacrario risale agli Anni Trenta – si scorgeva, sulla destra, una lapide (sormontata da due baionette) sulla quale era scolpito il verso dantesco: Tutta la perfezion quivi s’ac quista; sulla sinistra, si trovava un riquadro di sepolture lì trasferite da una qualche località di montagna, di cui erano stati conservati tutti i monumentini, i cippi e la grande croce. Proseguendo lungo il viale d’ingresso si vedeva, ben conservata, la trincea in cemento armato costruita dai fanti del 114° Reggimento di Fanteria della Brigata Mantova. Oltrepassata la ridotta, la strada si biforcava: il ramo di sinistra saliva direttamente in cima al colle, quello di destra invece conduceva a un ampio locale detto “Sala della Riconoscenza” dove, in tre grandi vetrine, erano custoditi ed esposti al pubblico i piccoli oggetti appartenuti ai Caduti e rinvenuti addosso a loro (medaglie, amuleti, distintivi, monete, orologi e persino, dentro un elmetto, un teschio recuperato in un imprecisato tratto di fronte) mentre, sulle pareti, erano esposte fotografie dei cimiteri di guerra originari. Proseguendo per il ramo di sinistra si giungeva all’ossario vero e proprio, che era stato ricavato dall’antica cisterna del castello dei Castelbarco: una ripida scaletta in pietra portava al fondo del pozzo che, durante la guerra, era stato usato come ricovero per le truppe – sia italiane sia austriache – che presidiarono alternativamente quella posizione. All’interno vi erano custodite, in altrettante casse di legno, quattrocento salme di soldati ignoti “adottate” da altrettanti “benefattori” che, in memoria di un familiare disperso, avevano fatto una consistente offerta per la manutenzione del cimitero. Una targhetta, inchiodata alla cassetta, recava il nome del “benefattore” mentre su una parete erano stati riprodotti due versi della Canzone di Castel Dante musicata dal M° Riccardo Zandonai: “In faccia ai nostri monti ove soffrimmo,/ in faccia alle trincee ove morimmo!“. Dall’ossario si poteva salire direttamente a una terrazza che si apriva, maestosa, su un ampio tratto della fronte trentina. Vicino a questo impareggiabile osservatorio erano stati piantati alcuni cipressi che proteggevano dal vento le tombe dei Legionari trentini. Su un muro, una lapide ricordava al visitatore il sacrificio di Castel Dante e dei suoi eroici difensori: “Qui ove Dante cantò,/ Federico Guella/ sottotenente volontario/ con olocausto della vita/ consacrò il sito/ giovinezza ardente/ ai geni nostri sacra alla libertà latina./ Bezzecca sua culla orgogliosa lo piange/ Rovereto sua scuola lo venera/ Italia lo canta/ Con Lui/ il nobilissimo sangue profusero/ soldato Canter Angelo (Brescia)/ soldato Faciale Giuseppe (Padova)/ soldato Soto Ignazio (Chieti)“. A destra, sul versante della collina esposto a mezzogiorno, erano state sistemate le sepolture che originariamente erano tumulate nei cimiteri militari di Serravalle, Nago, Santa Margherita e Marco. A sinistra, erano state sistemate le salme dei cimiteri di Vo, Avio, Borghetto e Pilcante, nella parte più alta di quest’ultimo riquadro era stata innalzata una grande croce di ferro illuminata nelle ore notturne. Una lapide in marmo, murata tra blocchi di tufo, recava incisa una epigrafe, dettata dal Capitano dei Bersaglieri Giannino Antona Traversi: “Dalle nude zolle di Pilcante ove ebbero prima sepoltura tra il rombo e le fiamme, Qui fraterna pietà volle composte queste salme gloriose in più degna cuna di pace meta per tutto l’avvenire ai devoti della Patria“. Piccoli viali separavano i singoli campisanti, ricostruiti esattamente come erano nelle località di origine rispettandone proporzioni e simmetrie. Nel cimitero di Santa Maria era stata eretta una cappella votiva dedicata alla Madonna che custodiva un’artistica statua in bronzo della Vergine, illuminata da una lampada votiva. Completavano il versante meridionale della collina i cimiteri di Mori, Lizzana e Besagno. A destra del viale centrale erano situati i cimiteri di Coni Zugna, Santi Maurizio e Lazzaro, Santa Barbara e San Matteo, mentre a sinistra erano il Cimitero del Redentore e il Cimitero di Santa Giovanna d’Arco. Elmetti, croci, bossoli e filo spinato ornavano, con altri oggetti cari alla memoria dei combattenti, le semplici sepolture dei soldati. Nel versante a Est della collina, oltre ad alcuni riquadri nei quali erano tumulati i caduti della Legione Cecoslovacca, vi erano i cimiteri di San Giorgio, dell’Addolorata, di Crosano, di San Valentino e di Brentonico. Nel mezzo della spianata, si ergeva una cappella recante la frase – semplice, ma oltremodo significativa – PAX VOBIS e, all’interno del sacro tempio, erano stati sistemati un semplice altare e un’acquasantiera (realizzata con materiale bellico). Tra queste sepolture si aggirò la Commissione per procedere all’esumazione di un Soldato sconosciuto

All’epoca – in quello che era il maggior cimitero di guerra del Trentino, in località Lizzana, vicino a Rovereto – erano tumulate settemilaottocentoquarantanove salme provenienti da circa duecento cimiteri più piccoli, disseminati nella regione: tra queste, ben tremilaottocento appartenevano a Caduti non identificabili. Un numero che indigna, scandalizza, spaventa. Vale la pena, d’altro canto, ricordare che – durante la guerra – i caduti venivano tumulati (se e quando possibile!) in piccoli cimiteri, allestiti a ridosso delle trincee, e senza che venissero adottate particolari cautele: i cadaveri, infatti, venivano sepolti nella nuda terra (talvolta in fosse singole, ma molto spesso in fosse comuni). Non di rado, dopo intensi combattimenti, il campo di battaglia rimaneva in mano allo schieramento nemico pertanto la eventuale sepoltura dei morti era affidata al buon cuore degli uccisori.
Tra quei seimila caduti ignoti fu presumibilmente esumata la prima delle undici salme tra cui sarebbe stata scelta quella del Milite Ignoto. Lo scavo venne eseguito a mano: pian piano vennero portate alla luce le diverse parti del corpo e, alla fine, <<…apparve un fante in atto di tranquillo e sereno riposo, vestito della sua uniforme e con indosso le giberne…>>

Ricomposti i resti su un lenzuolo, gli indumenti e gli oggetti personali del caduto furono accuratamente esaminati alla ricerca di un qualsiasi possibile elemento che ne consentisse l’identificazione, ma non venne rinvenuto nulla che potesse permettere di presumere una sua possibile identificazione: si trattava, senz’alcun dubbio, di un soldato ignoto. Più volte, nel suo scritto, il Tenente Tognasso, ha evidenziato la speranza (propria e di tutti i membri della Commissione e di tutti gli addetti allo scavo e al trasporto delle salme) che i resti esumati presentassero un qualsiasi segno che, consentendone l’identificazione, desse alle famiglie dei Caduti una pur minima consolazione. In quel caso, non fu possibile. Don Pietro, il cappellano, benedì la salma. Nel ricomporre la salma dentro una delle undici casse (fatte appositamente allestire a Gorizia), la mano pietosa di un soldato provvide a mettere rami di abete sotto la testa del caduto, come si trattasse di un cuscino. Inchiodato il coperchio, la cassa venne avvolta nel Tricolore e caricata su uno dei mezzi a disposizione della Commissione. Le auto ripercorsero la strada in direzione di Trento. Giunti nei pressi di Rovereto, una moltitudine di gente, che aveva pacificamente e silenziosamente invaso la sede stradale, costrinse i veicoli a fermarsi: erano cittadini di Rovereto, per lo più ex combattenti, che pregarono il generale Paolini affinché consentisse al mezzo che portava le spoglie del Soldato sconosciuto di attraversare la cittadina trentina a velocità ridotta, in modo che la popolazione potesse tributargli i doverosi onori. Nonostante la cittadinanza di Rovereto fosse, in qualche modo, venuta a conoscenza della presenza della Commissione solo poche ore prima, l’intera città fu completamente imbandierata e la quasi totalità degli abitanti si assiepò lungo le strade per far ala al passaggio del feretro. Giunta a Trento, la cassa venne sistemata su un affusto di cannone trainato da una pariglia di cavalli e trasferita sino al locale cimitero cittadino. Prima di essere sistemata per la notte sull’altare di una piccola cappella, la cassa contenente i resti mortali di quel Soldato Ignoto ricevette gli onori militari da parte di un reparto e l’omaggio di autorità e di semplici cittadini. L’indomani, alle prime luci dell’alba, la Commissione con il primo feretro mosse per la seconda tappa del suo pellegrinaggio alla ricerca della seconda delle undici salme. I mezzi si diressero ancora una volta verso Rovereto e – attraversando la Vallarsa, Pian delle Fugazze e le Porte del Pasubio – la Commissione giunse nel cuore del Massiccio che fu pilastro del sistema difensivo italiano durante la Grande Guerra.
Non sapremo mai chi descrisse tanto bene quei momenti all’assisiate Giovanni Papi (*) – che di Rovereto avrebbe diretto la Banda nel 1928 e di cui pochissimo si sa (solo grazie al prezioso archivio della Casa Editrice Tito Belati e alle ricerche di Giorgio Cannistrà) – ma questi luoghi e l’atmosfera che vi si respira e le immagini di quel corteo funebre si ritrovano nella sua PREGHIERA AL MILITE IGNOTO https://youtu.be/xZXpV0HsRWs : una meditazione, una preghiera intrisa di dolcezza che oserei dire materna…della dolcezza di tutte quelle madri, addolorate e fiere, al di qua e al di là delle Alpi che avevano perso i propri figli in guerra e che in qualche modo lo ritrovarono in quel soldato ignoto…della dolcezza della terra, altrettanto addolorata e fiera, in difesa della quale tanti giovani caddero combattendo. Di quella dolcezza – nulla si perde grazie alla giusta intonazione e alla espressione adeguata – in questa esecuzione da parte dei musicisti della Fanfara della Brigata Alpina “Julia” (di cui lo stesso Giorgio Cannistrà é insostituibile elemento) impeccabilmente diretti dal Sergente Maggiore Flavio Mercorillo.

Il Maestro Fulvio Creux – direttore emerito della Banda Musicale della Guardia di Finanza e della Banda Musicale dell’Esercito Italiano – ne ha detto un gran bene: <<Ascoltando questo brano si ha l’impressione che, più che alla tradizione bandistica italiana, appartenga a un gusto d’oltralope, sulla scia di importanti compositori di quei tempi. Si deduce questo dall’interesse delle armonie, dai frequenti cromatismi e dall’andamento generale, che porta il brano a essere più una meditazione che non, come sovente succede in questo genere, una marcia funebre. Il recupero ad opera di Giorgio Cannistrà si rivela utile per tutti quei complessi che vogliono presentare qualcosa di originale e diverso nei loro concerti legati a questo tema. Anche l’esecuzione del brano, abilmente diretto da Flavio Mercorillo, si evidenzia per la dolcezza, intonazione e l’adeguata espressione.>>