Una cartolina del 1899 dedicata a tutti, ma in particolare a chi ha dimenticato la storia della nostra Nazione e a coloro per i quali il 1899 rappresenta soltanto l’anno di fondazione della fabbrica di automobili FIAT o della squadra di calcio MILAN.
Inni e marcette hanno accompagnato per decenni le truppe in armi durante le marce di spostamento e i momenti trascorsi in trincea nella pausa tra una battaglia e l’altra: erano – in fondo – utili a lenire le angustie di una guerra lunga e massacrante. Le cosiddette “truppe di pianura” preferivano le strofette spregiudicate e burlesche atte a denunciare il rancio sempre scarso e a prendersi gioco di qualche ufficiale imboscato o di qualche maggiore promosso al grado di colonnello “grazie al sangue dei poveri fantaccini che colorava il parapetto della trincea nemica”. Nelle trincee scavate nelle montagne del Veneto, del Trentino e della Carnia chi portava le stellette era invece solito condividere i rischi delle cannonate e dei congelamenti in alta quota e si accompagnava col soldato semplice nel precario isolamento forzato tra rocce e ghiacciai. Nei testi intonati dagli Alpini si leggono dunque note di tristezza per la precarietà dell’esistenza umana imposta dal conflitto e – per contro – di romanticismo e di amore per le valli e le vette. Per dirla come lo scrittore e reduce Paolo Monelli: <<In queste canzoni si sente un odor di paese, di castagne arrosto bevute col vino nuovo, di ragazze branciate dietro le siepi autunnali con oneste intenzioni matrimoniali; perché l’alpino incantona sì spesso la ragazza; ma poi la sposa; e vuole una sposa che sappia fare il pane e i biciolan; e attacchi per bene i bottoni al marito ca li taca in na maniera, ca li taca par dabon.>>
Canzoni stupende ancor più apprezzabili “allo stato grezzo” senza l’ausilio di elaborati arrangiamenti poichè in certi casi le parole da sole rendevano meglio di qualunque strumento musicale l’atmosfera, i pensieri, i rumori, i sentimenti e i suoni vissuti dalle Penne Nere. Un loro canto, magari nato durante la trepidante vigilia di un assalto o subito dopo una sanguinosa e spossante battaglia riesce a descrivere, meglio di una statistica ufficiale o di un saggio e persino di un diario, ciò che accadde quasi un secolo fa (il 2014 rappresenta il centesimo anniversario dall’inizio della Prima Guerra Mondiale , ma per l’Italia la Grande Guerra ebbe inizio l’anno successivo) e rimane come unica testimonianza capace di superare le barriere del tempo per serbarne il vivo ricordo della tragedia acché essa mai più si ripeta. Anche durante il conflitto quei canti di guerra servirono a richiamare alla mente dei combattenti non soltanto le doti e le virtù militari, ma anche la ragione ultima per la quale si soffriva, si combatteva e si sognava un rientro nella società civile della pace: l’ideale della Pace aiutò i combattenti a sopportare fatiche, privazioni e dolori, mentre il senso del dovere coadiuvò gli sforzi per realizzarlo. Le “Canzoni” della Grande Guerra furono ordinate per la prima volta nel 1919 a cura di Piero Jahier e poi nel 1930, a cura di Cesare Carvaglios: esse possono suddividersi in canti di esaltazione patriottica, di marcia, di dolore e di protesta. Al terzo di questi “gruppi” di canti di guerra è indubbiamente ascrivibile La tradotta che parte da Torino. L’analisi del testo le “affido” a Piercarla, un’alunna della classe V della Scuola Elementare di Verolengo (TO), mentre mi sono riservata la scrittura di qualche piccola precisazione ad uso di chi non ha dimestichezza coi termini militari né con la guerra:
La tradotta* che parte da Torino, a Milano non si ferma più ma la va diretta al Piave**, ma la va diretta al Piave. La tradotta* che parte da Torino, a Milano non si ferma più ma la va diretta al Piave**, ma la va diretta al Piave.cimitero della gioventù. Siam partiti, siam partiti in ventinove ed in sette siam tornati qua. E gli altri ventidue? E gli altri ventidue? Siam partiti, siam partiti in ventinove ed in sette siam tornati qua e gli altri ventidue son rimasti tutti a San Donà***. Cara suora****, cara suora son ferito: a domani non c’arrivo più se non c’è qui la mia mamma*****, se non c’è qui la mia mamma. Cara suora, cara suora son ferito: a domani non c’arrivo più. Se non c’è qui la mia mamma, un bel fiore me lo porti tu. A Nervesa******, a Nervesa c’è una croce: mio fratello sta sepolto là. Io c’ho scritto su Ninetto*******, io c’ho scritto su Ninetto. A Nervesa, a Nervesa c’è una croce mio fratello******** è sepolto là: io c’ho scritto su Ninetto che la mamma lo ritroverà.
<<Questa canzone parla dei soldati che andavano in guerra: salivano su questo treno, la tradotta, che partiva da Torino e si dirigeva ai campi di battaglia vicino al fiume Piave che era come un cimitero di giovani ragazzi. Dei 27 che sono partiti, solo 5 fanno ritorno a casa e gli altri sono sepolti a S. Donà un paese sul fronte. Io penso a questi ragazzi che muoiono così giovani e alle loro mamme e provo pena per loro.>> Piercarla
* tradotta: convoglio ferroviario adibito al trasporto dei soldati;
** il fronte si era spostato sul fiume Piave dopo la disfatta di Caporetto;
*** San Donà di Piave (VE): <<Nella zona di San Dona’ di Piave, contrastata dalla nostra 3° armata, opero’ la 12° Divisione, inquadrata nell’Isonzo Armee. La fortuna dapprima arrise agli austro-ungarici, i quali riuscirono a passare il Piave in più’ punti, nonostante la resistenza opposta. Le forze italiane resistettero strenuamente ed una piena del Piave impedì di gettare dei ponti per garantire un regolare afflusso di rinforzi agli attaccanti. I successivi contrattacchi portarono alla riconquista del territorio già’ in mano austriaca. Alla fine della battaglia, poi detta del Solstizio, il fronte correva lungo il Piave Nuovo e tutto l’estuario era sotto controllo della terza Armata. Nell’autunno di quell’anno venne lanciata l’offensiva italiana contro l’ormai fatiscente esercito austro-ungarico ed il 31 ottobre San Dona’ era in mani italiane. Sin qui i principali fatti d’arme, ma cosa fu del territorio in quell’anno di battaglie? La risposta si può avere dalla decisione che ad un certo momento venne presa dalle autorità centrali di abbandonare del tutto la zona, considerando impossibile porre rimedio alle devastazioni compiute.>> Museo della Bonifica della città di San Donà di Piave
**** suora infermiera in servizio presso l’ospedale da campo
.***** non dimentichiamo che gran parte dei soldati che la tradotta portò da Torino direttamente alla linea del fronte sul fiume Piave anziché a Milano, dov’era una sorta di centro di addestramento, erano a malapena diciottenni – quando la maggiore età si raggiungeva al compimento dei ventuno anni – e nulla avevano a che vedere con gli “scafati” diciottenni del terzo millennio. Eppure quei “mammoni” sono i ragazzi nati nel 1899: proprio loro! Sono diventati famosi nel mondo per il motto “Classe 1899: classe di ferro” per la capacità di sopportare con coraggio e spirito di abnegazione battaglie (contro il nemico e contro le proprie comprensibili paure) e sacrifici inenarrabili per noi oggi assolutamente inconcepibili.
******Nervesa della Battaglia (TV): «Centro strategicamente importante tra il Piave ed il Montello, durante la prima guerra mondiale, fu teatro di violenti scontri tra gli opposti schieramenti che causarono la morte di numerosi concittadini e la totale distruzione dell’abitato. La popolazione costretta allo sfollamento e all’evacuazione, nonché all’abbandono di tutti i beni personali, dovette trovare rifugio in zone più sicure, tra stenti e dure sofferenze. I sopravvissuti seppero reagire, con dignità e coraggio, agli orrori della guerra e affrontare, col ritorno alla pace, la difficile opera di ricostruzione. Ammirevole esempio di spirito di sacrificio ed amor patrio» Medaglia d’oro al Merito Civile a Nervesa della Battaglia, 1915-1918
******* Ninetto è il ferito che chiedeva alla suora che l’assisteva di portare un fiore sulla sua tomba, qualora – come egli stesso presumeva – fosse morto lontano dalla propria mamma.
******** qui la suggestione è moderna e duplice: potete pensare a Band of Brothers se volete ritenere che la parola “fratello” si riferisca al sentimento di fratellanza che si sviluppò inevitabilmente tra i combattenti, ma dovete tenere conto che per molti di loro l’esperienza (o meglio l’inesperienza) al fronte durò pochissimo e non ebbero tutti modo di affratellarsi davvero; vi suggerisco pertanto di pensare a Saving Private Ryan http://youtu.be/mYF1V9oOBk4
Non mi resta, dopo quanto sopra dichiarato, che proporvi La tradotta interpretata dal Coro della Brigata Alpina “Cadore”
Vorrei soltanto aggiungere, ad uso del Coro Polifonico Salvo D’Acquisto che sta preparando questo brano per il concerto che si terrà presso il Museo Storico della Fanteria di Roma, una postilla sulla “genialità” di chi ha armonizzato la versione scelta per voi: tecnicamente è forse più difficile di quelle che avete sin qui ascoltato, ma risulta assolutamente più suggestiva per chi ascolta. Gian Paolo Dal Dosso, infatti, è riuscito a mantenere l’atmosfera di struggente malinconia che aleggia su questo canto di guerra inserendo nella prima strofa ritmi e suoni caratteristici dello sferragliare del treno su un vecchio binario, con tanto di rallentamenti in salita e accelerazioni in pendio e trasmettendo proprio il senso di angosciante sorpresa per quei ragazzini che pensavano di essere portati con la tradotta militare al centro di addestramento nei pressi di Milano e invece si ritrovarono immediatamente sulla prima linea del fronte. La differenza di tempo tra la prima e la seconda parte nelle strofe successive serve a sottolineare la nostalgia per la vita povera, ma serena lasciata a casa e la rapidità con cui la guerra quella vita te la strappa via di dentro. In fondo, però, chi canta è ancora vivo e, nonostante tutto, ha persino la forza di cantare, combattere e continuare a vivere: che ci sia di stimolo acché la vita non ci trovi già morti dentro bensì la morte – quando giungerà (il più tardi possibile, ovviamente!) – ci trovi vivi davvero! Glielo dobbiamo ai ragazzi della classe di ferro 1899!