Oh Signore, dal tetto natìo

 

…di sùbita dolcezza mi percuote su, di verso l’altare, un suon di banda. Dalle trombe di guerra uscìan le note come di voce che si raccomanda, d’una gente che gema in duri stenti e de’ perduti beni si rammenti. Era un coro del Verdi: il coro a Dio, là de’ Lombardi miseri assetati Quello: O Signore, dal tetto natio, che tanti petti ha scossi e inebriati… * http://youtu.be/bHLQG2F3rmE

<<Oh Signore, dal tetto natìo, ci chiamasti con santa promessa: noi siam corsi all’invito di un pio ** giubilando per l’aspro sentier, ma la fronte avvilita e dimessa hanno i servi già baldi e valenti… Deh! Non far che ludibrio alle genti siano, Cristo, i tuoi figli guerrieri! Oh fresche aure, volanti sui vaghi ruscelletti dei prati lombardi! Fonti eterne! Purissimi laghi! Oh vigneti indorati di sole! Dono infausto: crudele è la mente che vi pinge sì veri agli sguardi ed al labbro più dura e cocente fa la sabbia di un arido suol!>>: ecco uno dei tre cori realmente patriottici che Giuseppe Verdi compose nella consapevolezza di scrivere inni alla libertà ***. Esso si riferisce a una patria unica – per storia, per costumi e per tradizioni – chiamata “Italia”. http://youtu.be/5T7YBMGQ2EU Il canto venne scritto, in forma di preghiera, dal librettista Temistocle Solera nel IV atto dell’opera verdiana I Lombardi alla prima crociata, messa in scena per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano l’11 febbraio 1843.

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Essa vide la luce anche grazie all’influenza che ebbe sul Maestro l’amicizia con la contessa Clarina Maffei, che lo invitava spesso agli incontri che si tenevano nel suo salotto milanese:  in queste occasioni egli ebbe modo di conoscere alcuni giovani intellettuali dell’epoca che sarebbero poi divenuti i primi uomini politici dell’Italia unita. La nobildonna forniva aiuti concreti ai patrioti e il suo salotto libertario rappresentava una fucina di pensiero e di azione: si parlava di arte, letteratura, musica e scienze, si ascoltava musica e si consumavano bevande calde o fredde. Vi si discorreva anche della politica presente tra mazziniani e filo sabaudi, che facevano riferimento alla tradizione Illuminista milanese che discendeva dai fratelli Verri e dal Beccaria ed era giunta, attraverso varie fasi di dibattito, al pensiero di Romagnosi e del suo autorevole pupillo Carlo Cattaneo , ospite assiduo della contessa Maffei.

SIPARIO CAVOUR

La trama, suddivisa in quattro atti, de I Lombardi alla prima crociata si svolge tra il 1097 e il 1099:

I – Milano. Dopo essere stato proscritto ed esiliato per aver aggredito suo fratello Arvino in uno scatto di gelosia per amore della sua sposa Viclinda, Pagano ritorna in Milano e, nella Basilica di Sant’Ambrogio, riceve il perdono di Arvino in occasione della partenza dei Crociati che egli stesso guiderà a Gerusalemme. I cittadini se ne rallegrano, ma Arvino, sua moglie Viclinda e la loro figlia Giselda credono poco al suo pentimento. Rimasto solo con lo scudiero Pirro, Pagano gli confida il suo rancore per Viclinda e il fratello e gli chiede di aiutarlo, insieme ad alcuni scagnozzi, nel suo proposito omicida. Viclinda e sua figlia temono che possa accadere qualcosa di orribile ad Arvino e Giselda prega per la salvezza del padre. Pirro comunica al suo “padrone” che Arvino si è coricato e che può agire: Pagano, per errore, uccide il padre Folco e, inorridito, invoca su di sé la maledizione di Dio. Quando Arvino e gli altri giungono per ucciderlo, la giovane Giselda si oppone, sostenendo che il più grande castigo per lo zio sarà il rimorso.

II – Antiochia. Acciano, tiranno di Antiochia, invoca la vendetta di Allah sui cristiani, che hanno invaso il suo territorio. Suo figlio Oronte chiede alla madre Sofia, segretamente convertita al cristianesimo, notizie dell’amata Giselda: ella ricambia il suo amore,ma lo sposerà soltanto se si convertirà al cristianesimo. Oronte accetta. In una grotta nei pressi della città, vive in esilio Pagano, che attende l’arrivo dei cristiani. Senza riconoscerlo, si rivolgono a lui: prima il suo ex scudiero Pirro, divenuto musulmano, che invoca il suo aiuto per ottenere il perdono di Dio e si offre, in qualità di custode delle mura di Antiochia, di  aprirle ai Lombardi; poi Arvino lo prega affinché si possa salvare la figlia Giselda, prigioniera del tiranno. Pagano annuncia che la città cadrà la notte stessa e i crociati intonano un coro di  giubilo. Nell’harem, la giovane Giselda implora la propria defunta madre di perdonarla per essersi innamorata di un pagano. Sofia le comunica la triste notizia della morte di Acciano e di suo figlio Oronte, uccisi in battaglia dai cristiani penetrati nottetempo nella città grazie all’aiuto di un traditore che ha consegnato loro le mura. Nel frattempo giunge Arvino in appenata ricerca di sua figlia Giselda, ma la trova nel preciso istante in cui ella, disperata per la perdita del suo amato, maledice il trionfo cristiano e pertanto la ripudia: sta per ucciderla, ma l’eremita Pagano (che non ha ancora palesato la propria identità) spiega a suo fratello che la giovinetta reagisce così per amore e non per tradimento della propria famiglia né della propria fede e le ottiene salva la vita….proprio come un tempo aveva avuto salva la propria grazie a lei.

III – Valle di Giosafat. Giselda piange disperatamente Oronte: egli le compare davanti improvvisamente, indossando vesti lombarde, poiché non era morto, ma solo ferito. I due fuggono insieme, seguiti dalla maledizione che Arvino lancia nei confronti di sua figlia dopo averla vista fuggire con l’amante musulmano e da Pagano. Giselda conduce Oronte, ferito mortalmente, nella grotta dell’eremita e tenta di soccorrerlo. Pagano, che li ha raggiunti, esorta Oronte a convertirsi per amore della giovane e il musulmano muore, invocando l’amata Giselda che l’assiste, accompagnato dalla benedizione di Pagano che ne sancisce la conversione al cristianesimo.

IV – Valle di Giosafat. Nella caverna dell’eremita giace, delirante per la febbre, la giovane cristiana che invoca il perdono del padre. Arvino, convinto dall’eremita la perdona. Oronte le appare in sogno, annunciandole che le acque del fiume Siloe placheranno presto la siccità che ha colpito i crociati. Mentre i Lombardi pregano il Signore, ricordando l’aria fresca, la natura e la pace della terra lombarda proprio con la famosa preghiera Oh Signore, dal tetto natìo, giungono Giselda, Pagano e Arvino che annunciano loro d’aver trovato le acque del Siloe. I cristiani esultano. Pagano, in punto di morte, rivela ad Arvino la propria identità e ne implora, ricevendolo, il perdono. Arvino lo benedice proprio mentre i crociati, che hanno ripreso le forze, conquistano Gerusalemme.

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* Versi tratti dalla poesia Sant’Ambrogio di Giuseppe Giusti

** Pietro d’Armiens, detto Pietro l’Eremita, fu il predicatore della prima crociata, bandita da Papa Urbano II durante i concilii tenutisi nel 1095 a Piacenza e Clermont.

*** Gli altri due sono indubbiamente Si ridesti il leon di Castiglia che si trova nell’opera Ernani e Giuriam d’Italia por fine ai danni nell’opera La battaglia di Legnano.

http://youtu.be/TIBRuPQ1atw Coro e Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia diretti da Sir John Eliot Gardiner

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La Vergine degli Angeli

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Il Maestro Giuseppe Verdi si recava spesso a pregare presso un altare minore nella chiesa della Collegiata di Cortemaggiore, situata a pochi chilometri dal paese natale di sua madre: su di esso campeggia un grande dipinto – opera di Francesco Scaramuzza (Parma 1805 – 1886) intitolata “La resurrezione di Maria” – in cui appare la Vergine portata in cielo da una folta schiera di angeli *.

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Probabilmente egli si ispirò proprio a questa tela durante la composizione dell’inno religioso in Sol maggiore – ambientato nella chiesa della Madonna degli Angeli di Hornachuelos – che conclude il finale del secondo atto de “La forza del Destino”: esso è intonato da un coro di voci maschili irrobustite dalle voci soliste di un basso e di un baritono, accompagnati dai violoncelli, e ingentilito dalla voce solista del soprano, accompagnata dall’arpa. Questo inno, comprensivo del finale del II atto, viene spesso eseguito anche in forma di concerto e ne esiste anche una bellissima trascrizione per banda di Amilcare Ponchielli (op. 270).

Possiamo ascoltarne qui la trascrizione per banda del Capitano M° Antonella Bona: la gradevole voce di Claudia Toti Lombardozzi è accompagnata dalla Banda dell’Esercito Italiano, diretta dal Tenente Colonnello M° Fulvio Creux http://youtu.be/AEJOnwM4RZA.

Non si può tuttavia presentare tale inno senza parlare dell’opera in cui esso è inserito e del periodo in cui questa prese forma.

Era il 1861 quando Giuseppe Verdi fu contattato dal Primo Ministro Camillo Benso Conte di Cavour – che gli proponeva la candidatura nelle elezioni per la Camera dei Deputati – e dal Teatro Imperiale di San Pietroburgo **, intenzionato a commissionargli un’opera. Superfluo dire quale fu la scelta del Maestro…

Il soggetto di partenza sembra dovesse essere il “Ruy Blas” di Victor Hugo, che però non superò il vaglio della censura zarista. Verdi propose dunque il dramma “Don Alvaro – La fuerza del sino” – scritto dal nobile drammaturgo spagnolo Ángel de Saavedra y Ramírez, che aveva trionfato nel decennio precedente in tutti i teatri di Madrid – e il direttore del Teatro Imperiale accettò immediatamente e gli concesse, per contratto, un lauto compenso. Il compositore chiamò a Busseto il librettista Francesco Maria Piave per tracciare insieme le linee generali dell’opera e per verificare alcuni punti due mesi dopo. Alla fine di novembre, dopo qualche contatto epistolare tra il compositore e lo scrittore, lo spartito era pronto, ma non ancora la partitura musicale: ciò nonostante Verdi partì per San Pietroburgo insieme a Giuseppina Strepponi, ma l’opera non poté andare in scena a causa dell’improvvisa malattia della primadonna Emilia La Grua e il debutto venne rinviato alla stagione successiva. La Prima de “La forza del destino” venne quindi offerta al pubblico del Teatro Imperiale di San Pietroburgo la sera del 10 novembre 1862: lo Zar Alessandro II, assente alle precedenti per malattia, assistette insieme alla Zarina alla quarta replica e, al termine della rappresentazione, si congratulò personalmente col Maestro e volle insignirlo dell’Ordine Imperiale di San Stanislao. Al termine della stagione teatrale russa, l’opera verdiana riscosse grandi successi a Madrid. In Italia l’opera debuttò, col titolo di “Don Alvaro”, al Teatro Apollo di Roma  il 7 febbraio 1863. Dopo qualche modifica apportata al testo da parte di Antonio Ghislanzoni (oggetto di cambiamento il terzo atto, dalla sesta scena alla fine,  e il quarto atto, dalla quinta scena alla fine, e il finale) l’opera venne portata in scena al Teatro alla Scala di Milano il 27 febbraio del 1869. Al Teatro Costanzi di Roma andò in scena il 28 dicembre 1915. All’Arena di Verona è andata in scena negli anni 1930, 1950, 1953, 1959, 1967, 1975, 1978, 1989 e 2000 in oltre sessanta rappresentazioni, risultando al tredicesimo posto delle opere maggiormente presenti nel cartellone del Festival lirico areniano.
Al Metropolitan Opera House di New York debuttò il 15 novembre 1918 – con Rosa Ponselle http://youtu.be/lqyxV-4GmOM – ed è stata rappresentata, sino a oggi oltre duecentotrenta volte. Al Wiener Staatsoper – dopo il grande successo di  Antonietta Stella http://youtu.be/BhG5Kaed-o0 &#8211; oltre centoottanta rappresentazioni seguirono alla prima del 23 settembre 1960.

La trama si svolge tra Italia e Spagna intorno alla metà del XVIII secolo.

I – Donna Leonora di Vargas (soprano) e il nobile indio don Alvaro (tenore) si preparano a fuggire nottetempo da Siviglia per evitare l’opposizione del marchese di Calatrava (basso) al loro matrimonio: Leonora, nonostante tutto affezionata al padre, medita sull’incertezza del proprio destino nel dire addio alla terra natia, ma l’arrivo di Alvaro fa svanire i suoi ultimi dubbi. I due vengono sorpresi dal marchese, che rinnega la figlia e ordina ai servi di arrestare il giovane: questi, proclamandosi unico colpevole e dichiarandosi pronto a subirne la punizione, getta a terra la pistola da cui parte il colpo che uccide il padre di Donna Leonora. Il marchese di Calatrava, morendo, maledice la propria figlia e i due sventurati amanti sono dunque costretti a fuggire nella notte.

II – Dopo circa un anno e mezzo di instancabile ricerca dei due amanti per vendicare la morte del padre, Don Carlo (baritono) si spaccia per uno studente agli occhi degli avventori di un’osteria di Hornanchuelos: la zingara Preziosilla (mezzosoprano), alcuni soldati, un mulattiere e alcuni pellegrini, tra cui – travestita da uomo – la stessa Leonora decisa a raggiungere il Monastero della Vergine degli Angeli, nei pressi del quale intende vivere in solitudine. Proprio dal racconto del suo ignaro fratello, ella apprende che don Alvaro – creduto morto – è ancora in vita e, temendo per la sua incolumità, si convince ancor più della necessità di ritirarsi in eremitaggio. Leonora, appena giunta al monastero, si affida alla Vergine implorando perdono per i propri peccati quindi si rivolge al padre guardiano (basso), cui rivela la propria identità e il sincero desiderio di espiazione. Il monaco – indulgente e comprensivo – l’avverte che la vita che l’attende è piena di stenti e cerca di convincerla per l’ultima volta a ritirarsi in clausura all’interno del convento piuttosto che in assoluto eremitaggio in una misera grotta, ma – constatata la fiduciosa costanza della giovanetta – accoglie la sua richiesta e le consegna un saio. I monaci, chiamati a raccolta dal padre guardiano, si rivolgono in coro alla Madonna, maledicendo chiunque oserà infrangere l’anonimato dell’eremita.

Dopo alcuni anni…

III – La lotta tra i soldati spagnoli e l’esercito imperiale infuria nella notte di Velletri (Italia, zona dei Castelli Romani): tra le fila dei granatieri spagnoli combatte Don Alvaro che, non sopportando le proprie sventure, spera di trovare una morte onorevole in battaglia. Nel ricordo del proprio vissuto di orfano discendente della famiglia reale degli Incas, ripensando alla notte fatale in cui vide per l’ultima volta l’amata,  rivolge la propria preghiera alla “sua” Leonora, che crede morta. Il principe indio, avendo udito il lamento di un soldato ferito, accorre in suo aiuto e gli salva la vita: i due si giurano eterna amicizia, ignorando ciascuno l’identità dell’altro. L’indomani, tuttavia, lo stesso Don Alvaro cade ferito e viene soccorso e trasportato dal suo nuovo amico, al quale affida un plico sigillato contenente un segreto che non dovrà mai essere rivelato e che dovrà essere bruciato nel momento della sua morte. Il compagno d’arme – insospettito dall’orrore provato dall’amico al nome dei Calatrava – rompe il giuramento, apre la borsa contenente il plico e vi trova un ritratto di sua sorella Leonora: costui altri non era, infatti, che Don Carlo. Egli, determinato a vendicare il proprio padre, sfida il ferito Don Alvaro a duello. I due hanno già incrociato le spade quando sopraggiunge la ronda: il nobile indio ne approfitta per fuggire e troverà poi rifugio in un monastero (superfluo dire che si tratta del Monastero della Vergine degli Angeli nei pressi di Hornachuelos, dove già si trovava la giovane Leonora, ma ai due ancora non è dato sapere della presenza l’uno dell’altra e viceversa). Nell’accampamento, intanto, ricomincia la vita di sempre: la zingara Preziosilla incita i soldati spagnoli alla battaglia e predice loro il futuro.

Dopo oltre cinque anni

IV – Nei pressi del Monastero degli Angeli il frate Melitone (baritono) distribuisce sgarbatamente la minestra ai poveri, che rimpiangono la gentilezza di padre Raffaele (Don Alvaro). Anche Don Carlo, giunto lì dopo anni di ricerche per vendicare la morte del proprio padre, chiede di lui e, scovatolo, lo sfida nuovamente a duello. In un primo momento il principe Inca rifiuta il confronto, ma infine accetta di duellare non sopportando di sentirsi chiamare “codardo e mulatto”. Presso la grotta dove si è ritirata, Leonora, ancora piange il proprio destino di innamorata tanto sfortunata: avendo sentito rumori nelle vicinanze si è rifugiata nel proprio abituro, ma ode la voce di padre Raffaele (Don Alvaro) che cerca un confessore per dare i conforti religiosi all’agonizzante erede del Marchese di Calatrava. La giovane – terrorizzata – chiama aiuto, ma il suo amato la riconosce e, abbracciandola, la mette a parte del ferimento di suo fratello: ella si precipita a soccorrerlo, ma Don Carlo – ancora ossessionato dal desiderio di vendetta – la pugnala. Raggiunta dal padre guardiano, Leonora riceve i conforti religiosi e spira tra le braccia dell’amato Don Alvaro, augurandosi di ritrovarlo in cielo: egli, invece, rimasto definitivamente solo sulla terra, maledice il proprio destino (nella prima versione dell’opera messa in scena a San Pietroburgo si suicida, nella seconda no).

NOTA BENE:

Nonostante il successo che l’ha accompagnata nel corso degli anni, negli ambienti della musica lirica corre voce che quest’opera di Giuseppe Verdi porti sfortuna. Tale teoria trae spunto da una lunga serie di episodi negativi in qualche modo accostati a talune passate rappresentazioni della stessa. Alcune sono davvero di poco conto, ma altre sono abbastanza clamorose da meritare un cenno qui, non fosse altre che per curiosità:
1 – Durante la prima scena dell’Atto III, durante il recitativo di Alvaro prima dell’aria O tu che in seno agli angeli, il testo originale della prima edizione dell’opera metteva in bocca ad Alvaro la frase “Fallì l’impresa”: il fallimento di un’impresa teatrale era una sventura frequente nel mondo teatrale ottocentesco e nessun cantante o impresario voleva nemmeno sentir pronunciare una frase del genere. Il librettista Francesco Maria Piave finì la sua vita con una serie di sventure: nel 1866 si ammalò gravemente, il fratello fu imprigionato a Venezia per alto tradimento e la madre impazzì. Nel 1867, caduto in miseria, si ritrovò costretto a chiedere in prestito 500 franchi a Verdi e il 5 dicembre di quell’anno rimase paralizzato fino alla morte che lo raggiunse nel 1876. A scanso di equivoci, il suo successore Ghislanzoni sostituì la frase in questione con “Fu vana impresa”;
2 – Il 1 settembre 1939 La forza del destino era in cartellone al Teatro Wielki di Varsavia: quel giorno ebbe inizio la Seconda guerra mondiale proprio con l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista;
3 – Il 4 marzo 1960, al Metropolitan di New York, il grande baritono Leonard Warren perì sul palcoscenico – durante la messa in scena dell’opera – a causa di una trombosi che lo colpì proprio nel momento in  cui intonava l’aria “Morir, tremenda cosa”. Nella stessa stagione di rappresentazione dell’opera furono numerosi anche gli incidenti sul palcoscenico: la barba del Padre Guardiano si staccò, la zingara Preziosilla inciampò nei tamburi, Don Alvaro entrò in scena scordandosi le parole e persino la pistola, il direttore d’orchestra precipitò sui violinisti, impresari e consiglieri di amministrazione litigarono furiosamente liti fra impresari e consigli d’amministrazione, alcuni cantanti dettero forfait, altri fecero terribili stecche o incorsero in cadute sul palco;
4 – L’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino stava effettuando una prova d’insieme dell’opera all’interno del Teatro Bunka Kaikan di Tokyo l’11 marzo 2011 proprio nel momento in cui il Giappone venne colpito dalla prima violentissima scossa del tremendo terremoto di Sendai;
5 – L’8 luglio 2011 era in programma a Nairobi il concerto “Le vie dell’amicizia”, cui dovevano partecipare le due orchestre giovanili italiane Cherubini e OGI e due cori che avrebbero dovuto eseguire la Sinfonia de La forza del destino, sotto la direzione del M° Riccardo Muti:  durante le prove un ragazzo keniota e l’accompagnatore italiano del suo gruppo di artisti perirono affogati in mare; i componenti delle due orchestre italiane riuscirono ad arrivare in Kenya soltanto poche ore prima del concerto a causa dell’improvviso fallimento della compagnia aerea che doveva garantire il volo.

Qui mi fermo e vi lascio in compagnia di Renata Tebaldi , di Maria Callas e di Barbara Frittoli e ca a Maronna v’accumpagni anzi che La Vergine degli Angeli vi copra del suo manto e vi protegga vigile l’Angiol di Dio.

P.s.: Con tutto il rispetto, “par scuressa” – come direbbe un mio caro amico forlivese – se avete lasciato l’automobile parcheggiata in doppia fila o davanti a un passo carrabile sarà il caso che andiate a spostarla: non vorrei che alla parola “vigile” si materializzasse un vigile urbano ad apporre una bella multa sul parabrezza della vostra automobile o addirittura un carro attrezzi 😉

* Non me ne vogliano i piacentini, ma io non penso che Giuseppe Verdi possa aver tratto ispirazione dalla succitata tela di Francesco Scaramuzza che si trova nella Collegiata di Cortemaggiore (PC).

** Il Teatro Imperiale di San Pietroburgo si chiama ora Teatro Mariinsky (Мариинский театр): cogliamo l’occasione per salutarne il magnifico direttore Valery Gergiev che ho avuto il piacere di salutare de visu lo scorso anno a Roma presso l’auditorium Parco della Musica proprio in occasione dell’esecuzione della Sinfonia de La forza del destino. Ieri sera ho appreso che “per problemi strettamente personali, Valery Gergiev ha dovuto annullare i concerti previsti a febbraio a Santa Cecilia” e dunque non dirigerà per noi la Sinfonia n. 2 “Resurrezione” di Gustav Mahler: in bocca al lupo, Maestro!

Ospiti d’onore

La Banda del Corpo della Gendarmeria Vaticana, diretta dal Maestro Giuseppe Cimini e comandata dal Colonnello Giuseppe D’Amico, era stata invitata dal sindaco Antonio Satta e dal vescovo mons. Sebastiano Sanguinetti, ad accompagnare musicalmente le cerimonie organizzate nel comune di Padru per celebrare degnamente la “Giornata della memoria”: essa, in realtà, si celebra in tutto il mondo nella data odierna del 27 gennaio, a ricordo dei milioni di uomini, donne e bambini vittime – durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale – della persecuzione e dello sterminio per mano dei nazisti. Per permettere a un numero maggiore di persone di partecipare agli eventi in programma, in numerose cittadine italiane si è preferito svolgere alcune delle cerimonie già nella giornata di Sabato 25 gennaio: così è avvenuto anche nel caso di questo “giovanissimo” comune – nato dalla volontà referendaria dei suoi orgogliosi cittadini che scelsero di recidere il “cordone ombelicale” che li legava a Buddusò – che ha raggiunto la maggiore età lo scorso 3 gennaio.

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<<Sarà la banda della Gendarmeria vaticana l’ospite d’onore della Giornata della memoria di Padru.>> e poi: <<E’ stata la Banda della Gendarmeria Vaticana l’ospite d’onore, ieri, alla Giornata della Memoria di Padru (Olbia-Tempio).>> hanno titolato a caratteri cubitali i propri articoli i “colleghi” della carta stampata, ma chi ha dedicato qualche minuto del proprio tempo a leggere per intero i loro articoli si sarà certamente accorto che della Banda e dei suoi musicisti nel corpo dell’articolo si parla pochissimo e – come spesso accade – in maniera superficiale ed errata. Come si fa a confondere, in ben due articoli, il nome del direttore con quello del comandante e, dopo debita segnalazione, non solo non provvedere alla correzione dell’errore bensì aggiungerne un altro addirittura nel titolo <<Ieri le celebrazioni per ricordare le vittime dell’Olocausto Ospite illustre il corpo musicale della gendarmeria papale.>> dimostrando di non aver ancora compreso, dopo secoli di convivenza con lo Stato Pontificio la differenza tra il Gendarmeria Vaticana * e la Guardia Svizzera Pontificia ** e men che meno la differenza tra le Bande musicali di questi due corpi e la Banda dello Stato della Città del Vaticano (già Banda della Guardia d’Onore Palatina)? E ancora oggi non si parla né di banda né di musica, ma solo di “autorità civili e religiose” e di politici.

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Io non sono una giornalista professionista e, probabilmente, mai lo diventerò: in virtù di questo posso scrivere quello che mi passa per la testa e quello che sento nel cuore in assoluta libertà pertanto vi dirò soltanto: <<E’ stato bello…>>

E’ stato bello…condividere con i musicisti l’ansia di riuscire a conciliare i mille impegni professionali e familiari e organizzarsi in tempo per preparare il bagaglio da spedire il giorno prima della partenza, per trovare qualche parente o amico disposto ad accompagnarci e a riprenderci all’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma-Fiumicino e per riuscire ad andare a dormire presto come scolari la sera prima e a svegliarsi presto al mattino per riuscire a giungere in tempo all’appuntamento coi compagni.12562239235330103f587

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E’ stato bello condividere con l’euphonium Francesco Carmignani la sensazione di sentirsi un po’ incastrati tra un sedile e l’altro perché lo spazio che separa le file di sedili sugli aerei Meridiana è relativamente stretto.

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E’ stato bello condividere con Roberto Iamele l’ansia per aver dovuto separarsi per quasi ventiquattro ore dal proprio prezioso euphonium bombardino, affidato al servizio di spedizione e assistenza bagagli della compagnia aerea, e condividere la sua gioia per averlo ritrovato sano e salvo al proprio arrivo a Olbia.

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E’ stato bello condividere con il flauto Alessandro Pirchio la sensazione d’essere il “Pifferaio di Hamelin” della fiaba dei fratelli Grimm quando tante persone si sono accodate marciando dietro la Banda che sfilava al ritmo di “Parata d’eroi”. 

E’ stato bello condividere con l’ottimo vice direttore Stefano Iannilli l’entusiasmo della gente che batteva le mani – non sempre a tempo – nel sentir risuonare le note della “Radetzky Marsch”: anche se, da cittadina italiana, il solo pensiero del tirannico maresciallo austriaco che fece di tutto per impedire alla mia Patria di nascere mi fa venire improvvise crisi di orticaria, comprendiamo che una banda non possa esimersi dall’eseguirla poiché i nostri connazionali ne vanno matti.

E’ stato bello condividere con Gaetano Rosselli quel pizzico di orgoglio patriottico che subentra quando il suo sassofono apporta il suo contributo a “Il Canto degli Italiani” http://youtu.be/gR3BKUdI6F0 e che si percepisce più profondo rispetto all’esecuzione della bella “Marcia all’antica”, che il Maestro Fulvio Creux compose come inno del Corpo della Gendarmeria Vaticana in anni recenti.

E’ stato bello condividere con Fabio Tassinari l’ammirazione della gente per la mirabile perfezione formale e stilistica della sua uniforme e della sua postura durante la parata oltre che per le emozioni che riesce a suscitare con la voce del suo oboe anche durante l’esecuzione della Marcia tratta dall’opera Ernani di Giuseppe Verdi http://youtu.be/c691UhP0f0w, che di solito fa eseguire ai suoi ragazzi della Fanfara del IV Reggimento Carabinieri a Cavallo.

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E’ stato bello vedere gli occhi e sentire i cuori delle persone profondamente commossi dalle note de “La vergine degli angeli” suonata dalla Banda. 

E’ stato bello condividere con Giuseppe Trieste la poesia delle casette costruite con fango e pietre che sembrano arrampicate sulla cima incontaminata del monte “Sa Contra ‘e s’Ifferru”.

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E’ stato bello condividere con il corno Nicola Sacco e tutti gli altri il gusto di un vino rosso “fatto con l’uva” e degli gnocchetti sardi, del porceddu arrosto e delle verdure mediterranee gratinate e soprattutto della “Arrescottu cun meli” e del bicchierino di immancabile Mirto.

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E’ stato bello sentire lo stomaco in gola per qualche attimo quando il comandante che pilotava l’aereo ha deciso di decollare senza alcun indugio dall’Aeroporto di Olbia con poco meno di un quarto d’ora di anticipo rispetto alla tabella oraria…

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E’ stato bello provare la sensazione più unica che rara non tanto del volare sul Mar Tirreno quanto dell’atterrare a Fiumicino in anticipo.

E’ stato bello prepararsi in tutta fretta per scendere dal velivolo e doversi disciplinatamente sedere di nuovo e richiudere gli sportellini coi bagagli a mano in attesa che montassero il “tunnel” per uscirne.

E’ stato bello domandarsi perché avessero acceso nuovamente i motori prima di poter toccare definitivamente la terra ferma coi propri piedi e tranquillizzarsi perché si trattava soltanto di una semplicissima manovra di avanzamento di qualche metro sulla pista.

E’ stato bello salutarsi e darsi appuntamento per le prove per il prossimo concerto

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e, poiché all’agriturismo in Sardegna ci han fatto pranzare senza lesinare sulle porzioni

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tornare a casa e buttarsi sul letto stanchi senza neanche cenare..

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E’ stato bello…

Post scriptum: Sarebbe stato bellissimo esserci fisicamente e non soltanto spiritualmente, ma talvolta gli affetti familiari devono essere anteposti alla passione per le bande militari.

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* La Gendarmeria Vaticana o, più correttamente, “Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano” è un corpo di polizia preposto a garantire la pubblica sicurezza e l’ordine pubblico, nonché a svolgere le funzioni di intelligence, polizia di frontiera, di polizia giudiziaria e di polizia della circolazione stradale nel territorio dello Stato della Città del Vaticano e nelle sue pertinenze extraterritoriali.

** Alla Guardia Svizzera Pontificia sono invece assegnate la vigilanza, la sicurezza e la protezione del Collegio Cardinalizio – durante la cosiddetta “vacatio sedis” – e del Papa all’interno del Palazzo Apostolico e durante i suoi viaggi, oltre che dei servizi d’onore durante le udienze, i ricevimenti e le cerimonie nella basilica di San Pietro e nell’aula Paolo VI.

1848: Addio, mia bella, addio!

<<Un tamburo lontano sembra richiamare il passo dei soldati; due euphonium intonano, in un clima nostalgico, il tema della canzone popolare, che poi si estende alla coralità dei clarinetti; uno squillo (che ricorda quello dell’Inno di Garibaldi) incita i giovani ad unirsi per eroiche imprese; il volontario si allontana, ed il suo canto si perde in lontananza, mentre l’eco dell’Inno di Mameli richiama i valori della Patria per la quale ci si batte.>>: non avrei saputo analizzare e descrivere meglio questa rielaborazione della nota melodia del canto in questione. Vi prego di ascoltarla a occhi chiusi per tornare indietro nel tempo e nello spazio:  *

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Proprio in questi giorni di fine gennaio di centosessantasei anni fa il popolo siciliano, ribellatosi al potere borbonico, aveva costretto Ferdinando II, Re delle Due Sicilie a promulgare la Costituzione (29 gennaio): il cosiddetto “effetto domino” aveva spinto Leopoldo II, Granduca di Toscana (17 febbraio), Carlo Alberto, Re di Sardegna (4 marzo) e papa Pio IX (14 marzo) al medesimo passo. Nel marzo del 1848 le rivolte erano divampati anche a Milano e Venezia contro il potere degli Asburgo: i combattimenti, particolarmente aspri nel corso delle Cinque Giornate di Milano, avevano costretto il Maresciallo Josef Radetzky – comandante dell’esercito austriaco nel Lombardo-Veneto –  ad abbandonare la città. Carlo Alberto di Savoia, Re di Sardegna, probabilmente ispirato dal desiderio di evitare una rivoluzione anche all’interno del proprio regno mostrandosi come un liberale, aveva approfittato di quel frangente politico per muovere guerra contro l’Impero austroungarico: il 23 marzo 1848 egli aveva dunque dichiarato l’inizio della Prima Guerra d’Indipendenza.  Le truppe austriache si erano ritrovate costrette a ritirarsi all’interno delle fortezze del cosiddetto Quadrilatero (Peschiera, Verona, Mantova e Legnago) che costituiva il nucleo difensivo dell’esercito asburgico nel Lombardo-Veneto e riusciva a mantenere i collegamenti con la madrepatria attraverso un passaggio lungo la costa orientale del Lago di Garda: a Sud, a Ovest e a Est del Quadrilatero avevano cominciato a raggrupparsi le forze dei volontari e degli stati italiani che man mano decidevano di entrare in guerra contro l’Austria.

Eran quasi tutti studenti. Saputa la dichiarazione di guerra, a Pisa, uno d’essi era salito sopra un banco dell’aula magna e aveva gridato ai compagni : « Chi ha sedici anni e non viene in Lombardia è un vile!». I più anziani avevan gridato : « Si vien tutti ! ». Ed erano corsi in fortezza ad arruolarsi. Altrettanto fecero gli universitari, studenti e insegnanti, di Siena. Gli studenti di Firenze, invece, prima di partire per la Lombardia, si raccolsero intorno al tavolino del Caffè Castelmur di via Calzaioli a cui era seduto il loro amico “Cicoria” detto anche “Bassocrilo fiorentino”, un giovane pianista e compositore di Pontassieve, intento nella scrittura de “L’addio del volontario toscano che parte per la Guerra d’Indipendenza”: si trattava di Carlo Alberto Bosi, professore d’organo nel Regio Istituto Musicale di Firenze, anch’egli immediatamente arruolatosi nel battaglione di volontari toscani diretti al Nord. Essi erano tutti studenti e docenti universitari “comandati” dal professore di astronomia Ottaviano Fabrizio Mossotti. V’era tra essi anche lo scienziato pisano Leopoldo Pilla, che avrebbe resistito eroicamente per più di sei ore con un manipolo di scolari e avrebbe trovato la morte sul campo di Curtatone insieme a loro, spirando mentre pronunciava la frase: « Non ho fatto abbastanza per l’Italia! ». …Eppure proprio la prolungata resistenza di quegl’inesperti studenti toscani permise all’esercito piemontese di concentrarsi a Goito e di vincervi la più bella battaglia del ’48…e quella che sembrava poco più di una goliardata studentesca buttata giù alla bell’e meglio su un pezzo di carta e con in testa il ritornello di un motivetto patriottico tedesco (“Oh Strassburg. oh Strassburg Der unerbittliche Hauptmann”, 1771) e una cantilena toscana – come si dice “le note sono solo sette”? – si trasformò in una vera e propria epopea. La Battaglia di Curtatone e Montanara, combattuta il 29 maggio 1848 da “soldati” toscani e napoletani da una parte e truppe asburgiche dall’altra nei luoghi situati tra i due paesi nei pressi di Mantova, rappresenta una fra le più simboliche battaglie della prima guerra di indipendenza: giovani volontari male equipaggiati e non addestrati e in grave inferiorità numerica, avevano tenuto testa per un intero giorno ad uno dei più potenti e addestrati eserciti europei, dimostrando il valore della nascente nazione italiana.  Dai campi di battaglia di Curtatone e Montanara la maggior parte degli oltre trecento temerari partiti dalla Toscana in Toscana non fece più ritorno, eccezion fatta proprio per Bosi e una manciata d’altri: essi offrirono la loro vita per la nostra libertà tra il 28 e il 29 maggio del 1848 insieme ai loro compagni di lotta e colleghi di università provenienti da Napoli (circa un centinaio) ma l’eco delle loro voci limpide e gioiose che intonavano “Addio, mia bella, addio!” continuò a risuonare e a diffondere gli ideali di amore per la patria e per la libertà…e così il loro spirito combatté a fianco dei volontari nelle battaglie di Palestro e di San Martino durante la Seconda Guerra d’Indipendenza (1859, stesso anno della sua pubblicazione in “Versi e canti popolari d’un fiorentino”) e durante la spedizione dei Mille (1860) e diedero loro man forte, considerati i risultati. 

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Da canzone che descrive un episodio di vita tanto intimo e personale quanto può essere considerato l’addio alla propria fidanzata essa prese nuova vita proprio da tutti quei morti sul campo di battaglia e divenne canto corale “di massa” in cui si esalta la necessità essere bravi uomini e soldati, coraggiosi e uniti come un sol uomo, frugali e pronti all’estremo sacrificio: non rimane più traccia del tono di obbligo che si ravvisa nel “Partire, partirò” che caratterizza i canti di epoca napoleonica e il verso finale, seppure apparentemente rivolto solo all’amata, ci lascia percepire le speranze ed il pensiero di un’intera generazione. <<Io non ti lascio sola, ma ti lascio un figlio ancor: sarà quel che ti consola, il figlio dell’amor>>  è rivolto all’Italia intera ed è rivolto a tutti e a ciascuno di noi: rappresenta il lascito della pace, della democrazia, della libertà del popolo italiano che, grazie a quei giovinotti, avrebbe continuato a fiorire per sempre. 

Questo il testo originale: <<Addio, mia bella, addio: l’armata se ne va; se non partissi anch’io sarebbe una viltà! Non pianger, mio tesoro: forse ritornerò; ma se in battaglia io moro, in ciel ti rivedrò. La spada, le pistole, lo schioppo li ho con me: all’apparir del sole mi partirò da te! Il sacco preparato sull’omero mi sta; son uomo e son soldato: viva la libertà! Non è fraterna guerra, la guerra ch’io farò; dall’italiana terra lo straniero caccerò. L’antica tirannia grava l’Italia ancor: io vado in Lombardia incontro all’oppressor. Saran tremende l’ire, grande il morir sarà! Si muora: è un bel morire, morir per la libertà! Tra quanti moriranno forse ancor io morrò: non ti pigliare affanno, da vile non cadrò. Se più del tuo diletto tu non udrai parlar, perito di moschetto per lui non sospirar. Io non ti lascio sola, ti resta un figlio ancor: nel figlio ti consola, nel figlio dell’amor! Squilla la tromba…Addio…L’armata se ne va…Un bacio al figlio mio! Viva la libertà!>>

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A riprova dell’immortalità di questo canto, che divenne il canto della partenza dei militari per tutte le guerre successive sino alla Seconda Guerra Mondiale e tuttora viene cantato dai nostri militari, mi permetto di riportare una sintetica, ma significativa rassegna stampa sul brano:

<<Sovra tutte le altre numerosissime canzoni del ’48, della cui fine nulla è dato di sapere, rimane sempre gioconda, vibrante e gentile quella di cui dettò i versi Alberto Bosi, senza che mai si conoscesse il nome del musicista. L’hanno cantata nelle trincee i nostri soldati: […] Addio, mia bella, addio è la canzone che Wagner, sulla fede di Enrico Panzacchi che l’ebbe a sentire, ha elogiato e, quasi, invidiato all’Italia.>> (Il Decennale, Valecchi Editore, 1929)

<<Questo popolarissimo canto patriottico, compagno fedele delle nostre glorie e delle nostre sciagure militari da Curtatone a Roma, allietò per la prima volta le schiere dei volontari e degli studenti toscani che, nel 1848, accompagnati questi ultimi da molti dei loro professori, vollero ingrossare le schiere dell’esercito di Re Carlo Alberto. Trovarono quasi tutti la morte gloriosa sui campi di Curtatone e Montanara. Autore del canto fu il fiorentino Carlo Alberto Bosi, del quale ben poco si sa e di cui si conoscono poche poesie di non molto merito letterario. L’autore della musica è ignoto.>> (Canti della Patria – II Edizione – Ed. Giudici, Clusone BG, 1936)

<<Popolarissimo canto patriottico scritto dal fiorentino Carlo Alberto Bosi: allietò le schiere dei volontari e degli studenti toscani che nel “48 si unirono all’esercito piemontese e combatterono strenuamente a Curtatone. Questo addio del volontario, nato col titolo «II volontario che parte per la guerra dell’indipendenza» è la gemma. più preziosa della musica patriottica del 1848.>> (I Canti del Risorgimento Italiano – Antica Casa di Musica Ernesto Ferrari, 1937)

<<Popolarissimo canto, compagno fedele delle glorie e delle sciagure militari da Curtatone a Roma. Allietò per la prima volta le schiere dei volontari e degli studenti toscani che, nel 1848 corsero ad ingrossar le schiere dell’esercito di Re Carlo Alberto, e quasi tutti trovarono morte gloriosa sui campi di Curtatone e Montanara. Autore del canto fu il fiorentino Carlo Alberto Bosi, del quale ben poco si sa e di cui si conoscono poche poesie. L’autore della musica è rimasto ignoto.>> (Canti della Patria – III Edizione – Ed. Giudici, Clusone BG, 1941)

<<Dopo quasi un secolo l’ingenua ma graziosa canzonetta, appare fresca come un fiore d’aiuola e s’ode ripetere ad ogni partenza di militari, con la stessa allegra baldanza di un tempo.>> (I Canti degli Italiani – I Fascicolo dal 1799 al 1918 – Edizioni G. Campi, Foligno,1942)

* Fulvio Creux – ADDIO, MIA BELLA, ADDIO – Piccolo bozzetto popolare – Edizioni Scomegna (esecuzione della Banda dell’Esercito Italiano – Direttore Fulvio Creux – Roma, Teatro dell’Opera, 27 aprile 2002 – La musica di Rai 3 – produzione Rai 3 Raitrade)

TA PUM

<<L’ordine era di conquistare quota 2105. La nostra trincea distava poche decine di metri da quella austriaca….., diedi una nota ad ogni sospiro della mia anima, nacque così l’accorato e disperato canto, tra i lugubri duelli delle artiglierie, il balenio spettrale dei razzi di segnalazione e il gemito dei feriti. Dal tiro infallibile dei cecchini nemici che riecheggiava a fondo valle scaturiva il micidiale Ta-pum, ta-pum, ta-pum. Furono 20 giorni d’inferno, senza che nessuno ci venisse a dare il cambio, l’inno venne cantato in quei giorni dai miei commilitoni.>>: queste le parole con cui Nino Piccinelli, ottimo musicista e ardito bombardiere volontario del I° conflitto combattente sul Monte Ortigara* confidò a un giornalista l’origine di uno tra i più noti motivi della Prima Guerra Mondiale.

TaPum

Il titolo stesso del canto alpino TA PUM altro non è che il nome con cui i soldati italiani nelle trincee chiamavano il rumore provocato dai micidiali tiri dei cecchini austriaci, che sparavano da lontano grazie al Fucile Mannlicher M95 (ricamerato in calibro 8x56R), il più lungo tra quelli della serie M95: prima si sentiva lo schianto della pallottola TA, poi arrivava il rumore della detonazione PUM.

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Questo è il testo principale dell’inno TA PUM:

Venti giorni sull’Ortigara  senza il cambio per dismontà; ta pum ta pum ta pum (2 volte). E domani si va all’assalto soldatino non farti ammazzar; ta pum ta pum ta pum (2 volte). Quando poi si discende a valle battaglione non hai più soldà;  ta pum ta pum ta pum (2 volte). Nella valle c’è un cimitero, cimitero di noi soldà; ta pum ta pum ta pum (2 volte). Cimitero di noi soldati, forse un giorno ti vengo a trovà; ta pum ta pum ta pum (2 volte). Ho lasciato la mamma mia, l’ho lasciata per fare il soldà; ta pum ta pum ta pum (2 volte). Quando portano la pagnotta, il cecchino comincia a sparar; ta pum ta pum ta pum (2 volte). Battaglione di tutti i Morti, noi giuriamo l’Italia salvar /a Milano quanti imboscà; ta pum ta pum ta pum (2 volte).

Nel corso degli anni il testo ha subito numerosi rimaneggiamenti: in particolare, nella celeberrima versione del Coro S.A.T. e degli alpini, le strofe risultano modificate e la canzone ristretta.

TA PUM

Venti giorni sull’Ortigara*, senza il cambio per dismontà; ta pum ta pum ta pum ta pum ta pum m m m m. Quando poi ti discendi al piano, battaglione non hai più soldà; ta pum ta pum ta pum ta pum ta pum ta pum ta pum ta pum ta pùm. Quando sei dietro a quel muretto, soldatino non puoi più parlà; ta pum ta pum ta pum ta pum ta pum m m m m. Ho lasciato la mamma mia, l’ho lasciata per fare il soldà; ta pum ta pum ta pum ta pum ta pum ta pùm. Dietro al ponte c’è un cimitero, cimitero di noi soldà; ta pum ta pum ta pum ta pum ta pum m m m m. Cimitero di noi soldati, forse un giorno ti vengo a trovar; ta pum ta pum ta pum ta pum ta pum ta ta.

Questo testo, armonizzato da M. Tiberi, è particolarmente evocativo e dunque assai commovente. Il “ritornello” infatti si sviluppa in modo diverso per le differenti strofe: la prima, la terza e la quinta si concludono con un “ta pum m m m m” che rappresenta l’eco finale del suono di uno sparo partito dal Mainlicher M95 austriaco che, evidentemente, ha colpito un bersaglio distante dalla voce narrante; la seconda e la quarta strofa terminano con un “ta pum ta pùm” evidentemente breve e accentato poiché il tiratore austriaco ha colpito un bersaglio umano vicinissimo alla voce narrante; la sesta strofa, infine, si conclude con un drammatico e suggestivo “ta pum ta ta” che ci comunica, come fosse un bollettino di guerra, l’avvenuta uccisione di colui che stava riflettendo sul destino proprio e dei suoi commilitoni **.

* Il Monte Ortigara è una montagna delle Alpi, alta 2.105 metri, situata lungo il confine fra Veneto e Trentino-Alto Adige, nella parte settentrionale dell’Altopiano dei Sette Comuni: la competenza amministrativa è del Comune di Asiago, in realtà la proprietà è del Comune di Enego. Prima della Grande Guerra, sembra fosse più alta di ben otto metri: si sarebbe abbassata a causa dei continui bombardamenti che la videro teatro di sanguinosissime battaglie.

Ortigara

Il Monte, effettivamente, fu teatro di una terribile battaglia, che si combatté fra il 10 e il 29 giugno 1917 e vide impiegati complessivamente 400.000 soldati per la conquista di quota 2105: per avere un’idea della violenza degli attacchi che qui si svolsero, basta pensare che gli austriaci consumarono, in una sola mezza giornata, ben 200 tonnellate di munizioni. Gli italiani schierarono 22 battaglioni alpini, 4 reggimenti di fanteria e 1 reggimento bersaglieri nel tentativo della conquista dell’ Ortigara occupata dalla prima linea austroungarica. I morti, sul Passo dell’ Agnella, furono numerosissimi: nell’Altopiano di Asiago dovettero essere eretti addirittura quarantuno Cimiteri di guerra dell’Altopiano dei Sette Comuni. Il Monte fu da allora chiamato “calvario degli Alpini”.

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Nel settembre 1920, oltre 2.000 persone s’inerpicarono sulla cima per deporvi una colonna mozza a memoria dei caduti, recante la scritta “Per non dimenticare”: quella rappresenta dunque la prima Adunata nazionale degli Alpini.

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** Non vi sembri un paragone irrispettoso la citazione di un brano di musica leggera presentato al Festival delle Rose del 1966: Franco Migliacci (autore del testo), Mauro Lusini (autore della musica) ed Ennio Morricone (autore dell’arrangiamento) utilizzarono il medesimo espediente nella versione di “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” portata al successo da Gianni Morandi, quando la censura li costrinse a eliminare il suono della Machine Gun, 7.62mm, M60 e della Пулемет Калашникова PK – meglio note come mitragliatrici M60 e PK Kalašnikov, rispettivamente usate dalle truppe statunitensi e dalle truppe filosovietiche durante la Guerra del Vietnam – ed essi lo sostituirono con gli arcinoti “M’han detto va nel Viet-nam e spara ai Viet-cong tatatatatatatatata” e “Nel petto un cuore più non ha, ma due medaglie o tre tatatatatatatatatatata”. Purtroppo l’effetto si perse quasi del tutto nelle successive versioni del brano, sempre meno “beat” e sempre più melenso. http://youtu.be/rOJQuTD73Wk

Insediamento degli Eccellentissimi Capitani Reggenti della Serenissima Repubblica di San Marino – Cerimonia del 1 ottobre 2013

Nella fredda mattinata del 12 dicembre 1243,  Filippo da Sterpeto e Oddone Scarito furono chiamati – con il titolo di Consules, che si richiamava ai supremi magistrati dell’antica Roma repubblicana – ad amministrare la giustizia in qualità di Capitani Reggenti della Serenissima Repubblica di San Marino.  Dopo sei mesi il Consiglio Grande e Generale della Repubblica elesse i loro successori, poichè in tale limite di tempo era stato fissata la durata del loro Alto Mandato.  Ogni anno, da allora, si svolge a San Marino – nel primo giorno del mese di aprile e del mese di ottobre –  la Cerimonia di Insediamento dei Capitani Reggenti, festa nazionale che richiama un gran numero di capi di stato, autorità civili, militari e religiose e turisti da ogni parte del mondo. Tale regola è stata quasi sempre rispettata nel corso dei secoli, tranne che per la successiva assegnazione della funzione amministrativa alla Reggenza, per la modifica dei titoli che – dalla fine del XIII secolo – identificavano come Capitano e Difensore i due Reggenti in carica per poi divenire entrambi Capitani e per l’istituzione del Sindacato della Reggenza nel 1499, che può essere attivato – al termine del loro mandato semestrale – da qualsiasi cittadino che abbia obiezioni circa l’operato dei Capitani. Essi presiedono il Consiglio Grande e Generale, il Consiglio dei XII e il Congresso di Stato. Ogni loro decisione deve essere presa di comune accordo ed entrambi hanno diritto di veto uno sull’altro. Nel XVI secolo, come ulteriore garanzia contro eventuali tentazioni di accentramento di potere da parte degli Eccellentissimi, fu aggiunta la norma che stabilisce la loro non rieleggibilità per tre anni dalla scadenza del loro Alto Mandato. Durante il buio periodo della cosiddetta “occupazione alberoniana” – che durò dal 17 ottobre 1739 al 4  febbraio 1740 – la cerimonia di insediamento dei capitani reggenti non ebbe luogo e si svolse soltanto dopo la liberazione dei sammarinesi il 5 febbraio 1740 per poi riprendere la regolare cadenza semestrale. Il primo giorno di aprile del 1981 Maria Lea Pedini divenne il primo Capitano Reggente donna e da allora vige la regola della parità dei sessi.  Pochi giorni prima dell’effettivo insediamento, i cittadini sammarinesi hanno udito nuovamente l’antico proclama provenire dal balcone di Palazzo Pubblico: «Per ordine dell’Eccellentissima Reggenza pro tempore, annuncio al popolo della libera terra di San Marino, che il Consiglio Grande e Generale, nella seduta odierna, invocata l’assistenza del nostro glorioso Patrono, per la salute e la libertà perpetua della nostra antica Repubblica, ha eletto capitani reggenti, per il semestre 1 ottobre 2013 – 1 aprile 2014, i signori Gian Carlo Capicchioni e Anna Maria Muccioli.»  seguito dall’inno nazionale eseguito dalla Banda Militare della Repubblica di San Marino, secondo un antico cerimoniale.

Assolutamente immutato nel corso di questi settecentosettanta anni è rimasto anche lo svolgimento della “Cerimonia di insediamento degli Eccellentissimi Capitani Reggenti”, che fedelmente qui riportiamo per gentile concessione del Guardia del Consiglio Grande e Generale della Serenissima Repubblica di San Marino:

«ORE 9,30
I Corpi Militari della Guardia del Consiglio Grande e Generale , della Compagnia Uniformata delle Milizie e della Banda Militare della suddetta Compagnia, in alta uniforme, si schierano sul Piazzale antistante l’Ara dei Volontari, con i rispettivi picchetti Bandiera. Il Reparto in alta uniforme della Guardia di Rocca Artiglieria con picchetto bandiera, parte dal proprio Quartiere e si reca in marcia sul piazzale antistante l’Ara dei Volontari, ove si schiera unitamente agli altri Corpi posizionandosi dopo la Guardia del Consiglio Grande e Generale.

ORE 9,45
I Corpi Militari, preceduti da due Agenti di Polizia Civile e da due Gendarmi in alta uniforme muovono alla volta della Piazza della Libertà, accompagnati dal rullo di tamburo della Banda, nel seguente ordine:

• Banda Militare
• Compagnia Uniformata delle Milizie
• Guardia del Consiglio Grande e Generale
• Guardia di Rocca Artiglieria

ORE 9,50
I Corpi Militari si schierano sulla Piazza della Libertà. Il picchetto Bandiera della Guardia del Consiglio Grande e Generale fa ingresso nell’atrio del Palazzo Pubblico, dove è schierato un picchetto del Nucleo Uniformato della Guardia di Rocca in alta uniforme.
Cerimonia dell’ Alza Bandiera.
Un picchetto della Guardia di Rocca Nucleo Uniformato , in alta uniforme, si trova a Palazzo Valloni.

ORE 10
Al termine dell’alza Bandiera i Corpi Militari ritornano , nello stesso ordine, accompagnati da una marcia eseguita dalla Banda Militare, sul Piazzale antistante l’Ara dei Volontari per attendere la partenza del Corteo dei nuovi Capitani Reggenti da Palazzo Valloni.
Ai lati del portone di Palazzo Valloni prestano servizio d’onore due Gendarmi in alta uniforme.

ORE 10,15
Nella Sala delle Udienze di Palazzo Valloni prestano servizio d’onore, ai lati del Seggio Reggenziale, due Ufficiali subalterni della Guardia del Consiglio Grande e Generale in alta uniforme. Militari della Guardia di Rocca Nucleo Uniformato potranno
essere dislocati, per esigenze di cerimoniale o di controllo di accesso alle sale delle cerimonie all’interno di Palazzo Valloni.

ORE 10,40
Il Comandante Superiore delle Milizie e l’Ufficiale di Ordinanza si trovano a Palazzo Pubblico per attendere l’arrivo dei Capitani Reggenti eletti.
Gli Ufficiali del Congresso Militare e gli Addetti allo Stato Maggiore invitati alla Cerimonia, potranno partecipare, prendendo posto sulla base delle disposizioni contenute nel Cerimoniale dello Stato e nell’invito.

ORE 10,40
Al cenno dell’Addetto al Cerimoniale, i Corpi Militari muovono dal Piazzale antistante l’Ara dei Volontari e si schierano lungo Contrada Omerelli, a partire dall’imbocco sulla Piazzetta del Titano, nel seguente ordine:

• Due Agenti Polizia Civile
• Due Gendarmi in alta uniforme
• La Banda Militare
• La Compagnia Uniformata delle Milizie
• La Guardia del Consiglio Grande e Generale che apre le proprie file per accogliere il Corteo dei nuovi Capitani Reggenti.

ORE 10,45
Partenza del Corteo dei nuovi Capitani Reggenti da Palazzo Valloni alla volta del Palazzo Pubblico.
Chiude il Corteo un picchetto di Guardia di Rocca Uniformata in alta uniforme.
Durante il tragitto la Banda Militare esegue una marcia.
All’arrivo sulla Piazza della Libertà. La Banda Militare e la Compagnia Uniformata delle Milizie si schierano sul lato destro della Piazza arrivando e la Milizia presenta le armi al passaggio del Corteo Reggenziale mentre la Guardia del Consiglio Grande e Generale accompagna lo stesso fino alla porta centrale del Palazzo.

ORE 10,50
Dopo una breve sosta, si riforma il Corteo Reggenziale alla volta della Basilica del Santo.
I Corpi militari, nel frattempo, avranno eseguito opportuni movimenti di conversione della Colonna, di modo che il Corteo si ritrovi nello stesso ordine dell’arrivo con la Guardia del Consiglio a file aperte di fronte all’arcata centrale del porticato del Pubblico Palazzo.
Il Comandante Superiore delle Milizie e le altre Autorità militari prendono posto nel Corteo dopo il Corpo Diplomatico e Consolare di San Marino.
La Banda Militare esegue una marcia.

ORE 10,55
Il Corteo raggiunge la Basilica del Santo.
La Banda Militare, si schiera a destra del Piazzale antistante al sagrato arrivando, la Compagnia Uniformata delle Milizie si schiera a sinistra e presenta le armi al passaggio del Corteo Reggenziale.
La Guardia del Consiglio Grande e Generale si ferma al portone centrale della Basilica mentre il Corteo prosegue all’interno.
Dopo che le Autorità civili hanno preso posto, la Guardia del Consiglio Grande e Generale accede alla Basilica e si schiera nella navata centrale sui due lati mentre il picchetto della Guardia di Rocca Nucleo Uniformato entra a sua volta e si schiera davanti al portone centrale. La Compagnia Uniformata delle Milizie, e la Banda Militare fanno rientro nell’atrio del Palazzo Pubblico e, al termine della funzione religiosa, riprenderanno posto sul sagrato della Basilica, per la formazione del Corteo
L’ingresso in Basilica della Banda Militare è subordinato alla disponibilità di spazio in ragione della affluenza degli invitati.
Ai lati del Trono Reggenziale prestano servizio d’onore due Ufficiali subalterni della Guardia del Consiglio Grande e Generale, mentre ai lati del
seggio dei nuovi Capitani Reggenti prestano servizio d’onore due Ufficiali
dei Corpi Uniformati in Alta Uniforme.
Il Comandante Superiore delle Milizie, l’Ufficiale di ordinanza e gli altri Ufficiali invitati prendono posto nell’abside.

ORE 11,30
Al termine del rito religioso, all’ordine dei Comandanti dei Reparti, si riforma il Corteo Reggenziale secondo la stessa disposizione di arrivo. Al suono di una marcia eseguita dalla Banda Militare, il Corteo muove dalla Basilica del Santo verso il Palazzo Pubblico presso il quale i Reparti eseguono gli stessi movimenti di schieramento già descritti nel precedente arrivo.
Il Comandante Superiore delle Milizie o suo delegato, accede alla Sala del Consiglio Grande e Generale e prende posto nella poltrona assegnata. Gli Ufficiali Superiori in uniforme e l’Ufficiale di Ordinanza trovano posto nella Sala del Consiglio, in piedi, nello spazio attiguo all’ingresso, mentre gli Ufficiali Superiori in abito civile accedono alla Tribuna.
Nella Sala del Consiglio Grande e Generale prestano servizio d’onore, ai lati del Trono Reggenziale, due Ufficiali subalterni della Guardia del Consiglio Grande e Generale e ai lati del seggio dei nuovi Capitani Reggenti due Ufficiali subalterni dei Corpi Uniformati in Alta Uniforme. I
Corpi militari, al termine dell’ingresso degli invitati, si portano nell’atrio del
Palazzo Pubblico ove è già schierato il picchetto del Nucleo Uniformato della Guardia di Rocca.
Al cenno dell’Addetto al Cerimoniale, la Banda Militare si porta sul ballatoio antistante la porta di accesso alla Sala del Consiglio, mentre i Corpi militari restano schierati nell’atrio del Palazzo stesso.
Nel preciso istante in cui avviene il passaggio delle Insegne del potere, la Banda Militare esegue l’Inno Nazionale mentre i Corpi militari presentano le armi.

ORE 12,30
Terminata l’esecuzione dell’Inno Nazionale, la Banda Militare si riporta nell’atrio e unitamente agli altri Corpi militari si schiera sulla Piazza della Libertà per la ricostituzione del Corteo Reggenziale che si disporrà secondo l’ordine precedentemente stabilito.
Il Corteo Reggenziale muove da Palazzo Pubblico verso Palazzo Valloni al suono di una marcia eseguita dalla Banda Militare che si schiera a destra arrivando, lungo il muro di Contrada Omerelli. La Compagnia Uniformata delle Milizie si schiera a sua volta sullo stesso lato, dietro la Banda Militare e presenta le armi.
La Guardia del Consiglio Grande e Generale si ferma davanti alla porta di Palazzo Valloni mentre il Corteo Reggenziale accede all’interno del Palazzo.
Il Comandante Superiore delle Milizie, accompagnato dall’Ufficiale di ordinanza e tutti gli altri Ufficiali invitati, accedono a Palazzo Valloni per rendere omaggio ai nuovi Capitani Reggenti.

Dopo l’ingresso degli invitati i Corpi militari effettuano un movimento di contromarcia e ritornano sulla Piazza della Libertà dove ha luogo la cerimonia dell’Ammaina-Bandiera secondo le stesse modalità precedentemente descritte.

Al termine dell’Ammaina-Bandiera, i picchetti Bandiera della Guardia del Consiglio Grande e Generale e della Compagnia Uniformata delle Milizie rientrano nei ranghi ed i Corpi militari, nello stesso ordine di arrivo, si riportano al Piazzale antistante l’Ara dei Volontari, accompagnati da una marcia eseguita dalla Banda Militare e, dopo l’ordine di scioglimento dei Reparti, fanno rientro nei rispettivi Quartieri.

Il Reparto della Guardia di Rocca Artiglieria rientra invece direttamente nel proprio Quartiere senza ritornare all’Ara dei Volontari.»

Assistere a questa storica cerimonia è stato un emozionante “privilegio” che desidero condividere con tutti coloro che avrebbero voluto essere lì e non hanno potuto mettersi in viaggio http://youtu.be/ZYTj66y8dxg

Dall’attimo in cui, il 1 ottobre 2013 – cui fa riferimento tale filmato – abbiamo ascoltato le note dell’Inno Nazionale della Repubblica di San Marino eseguite in forma solenne dalla Banda Militare, gli Eccellentissimi Gian Carlo Capicchioni e Anna Maria Muccioli ricoprono dunque la carica di Capitani Reggenti, massima magistratura della Repubblica, ed esercitano collegialmente e con reciproco diritto di veto la funzione di Capo di Stato e di Governo: 1) Sono un organo di garanzia costituzionale super partes, rappresentano l’unità nazionale e presiedono e vigilano sulle attività di tutti gli altri organi politici della Repubblica. 2)  Presiedono il Consiglio Grande e Generale, convocano e coordinano il Congresso di Stato e presiedono il Consiglio dei XII, la Commissione Consiliare per gli Affari di Giustizia, il Consiglio Giudiziario, il Magistero di Sant’Agata e l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Grande e Generale; dispongono lo scioglimento del Consiglio Grande e Generale, quando questo non riesca ad esprimere una maggioranza, ed effettuano le consultazioni per incaricare un nuovo governo oppure per convocare i comizi elettorali; promulgano le leggi ed esercitano il potere legislativo in caso di necessità o di urgenza tramite l’emanazione di Decreti Reggenziali, che devono essere ratificati entro tre mesi dal Consiglio Grande e Generale, a pena di decadenza.
Le funzioni e la ridotta durata del mandato reggenziale derivano direttamente dalle istituzioni dell’antica Roma repubblicana, retta da due Consules (come si chiamavano in origine i Capitani Reggenti). Nel mondo si trovano due esempi soltanto vagamente simili: il Principato di Andorra – che è retto congiuntamente dal vescovo spagnolo di La Seu d’Urgell e dal Presidente della Repubblica francese – e la Svizzera, in cui durante il mandato governativo un ministro a turno esercita per un anno le funzioni di capo dello stato.
Alla Serenissima Repubblica di San Marino spetta dunque il primato mondiale di avere la più antica forma di governo democratico e repubblicano e il minor periodo di durata del mandato per il capo dello stato.

Per i più curiosi condivido gli elenchi, pubblicati su Wikipedia, degli Eccellentissimi Capitani Reggenti che hanno guidato la Repubblica di San Marino dal 12 dicembre 1243 al giorno d’oggi:

http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_dei_capitani_reggenti_dal_1243_al_1499 ;l

http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_dei_capitani_reggenti_dal_1500_al_1699

http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_dei_capitani_reggenti_dal_1700_al_1899

http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_dei_capitani_reggenti_dal_1900_al_1999

http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_dei_capitani_reggenti_dal_2000

Infine, qualora qualcuno dei miei lettori aspirasse a diventare Capitano Reggente, ecco i requisiti necessari:

– essere Consigliere;
– età superiore ai 25 anni;
– cittadinanza sammarinese originaria (dalla nascita);
– non aver ricoperto il medesimo incarico nei 3 anni precedenti (è possibile essere eletti più volte).

Concerto per la Befana

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Sabato 4 gennaio 2013, mi trovavo a passare – per una commissione – lungo la via di Boccea, a Roma: mentre riflettevo sulla semplicità delle luminarie di Natale lungo quella strada e mi accorgevo di preferirle di gran lunga all’arcobaleno cacofonico (i colori , in fondo, producono nel mio animo un effetto simile a quello delle note) e poco natalizio di via del Corso, noto una grande ceramica raffigurante San Giuseppe con il Bambino Gesù e angeli. Poiché non ho avuto un buon padre degno di questo nome, ogni volta che vedo quest’immagine di amore paterno mi commuove…anche stavolta. D’altronde ero molto provata dalla recentissima perdita di una cara amica e collega e ho pensato di cercare conforto nella Casa del Padre: sono così entrata nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe all’Aurelio. Non conoscevo, prima d’ora, quest’edificio religioso, progettato e realizzato dall’architetto Ildo Ivetta nel 1970 e di certo la facciata di tufo, tripartita da paraste in cemento, non prometteva nulla di buono…invece all’interno, seppur moderno, ho scoperto un’ariosa e luminosa navata centrale con due piccole navate laterali secondo una delle piante classiche che prediligo. Ho fatto appena caso all’Ultima Cena, sita a fianco dell’altare maggiore, e alla grande ceramica raffigurante scene della vita di san Giuseppe Marello,  canonizzato da Papa Giovanni Paolo II. Ho dato una rapida occhiata alla Via Crucis di Vasco Nasorri: bassorilievi in ceramica smaltata collocati su tutto il perimetro della Chiesa. Poi il mio sguardo è stato letteralmente rapito dal grande bassorilievo in ceramica smaltata in colori tenui, posto sull’abside, che rappresenta un codice miniato aperto sulla cui pagina di sinistra compare uno spartito con la scritta “Ite ad Joseph”, attorno alla quale ruotano le scene che ripercorrono la vita di San Giuseppe dalla bottega da falegname di Nazareth, passando per gli anni trascorsi accanto a Gesù, sino al suo pio transito e alla sua gloria nel Regno dei Cieli.  Sulla pagina di sinistra del codice invece ho riconosciuto l’arazzo – raffigurante San Giuseppe con il Bambino Gesù e due angeli – realizzato dall’Opificio degli Arazzi in Vaticano nel 1915 e di cui anni fa avevo letto, all’epoca di Papa Paolo VI, del ritrovamento nel Laboratorio di restauro degli Arazzi del Vaticano, dove esso giaceva abbandonato. La Croce in ferro battuto e vetro colorato che campeggia sull’altare come una visione costantiniana sembra dare l’idea stessa della saldezza e della leggiadria nella fede.

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Non sono riuscita però, forse anche a causa del freddo oltre che del lutto, a concentrarmi nella preghiera e avrei voluto andarmene…ma, proprio mentre leggevo la suggestiva incisione su marmo “Questa scrittura oggi si compie.”,

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vedo entrare “bei cadetti, nella robusta giovinezza” dai cui “baldi e forti petti spira un’indomita fierezza” e proprio sotto quel simbolo di saldezza e leggiadria prendono posto decine di “Penne nere”.  Il cuore m’è quasi balzato in petto per la gratitudine al Cielo: che poteva esserci di meglio della musica e della rassicurante divisa degli Alpini per lenire la mia pena?

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Si trattava della Fanfara del Gruppo Alpini in congedo di Borbona – Sezione A.N.A. di Roma, la Fanfara Alpina più famosa e apprezzata dell’Italia centromeridionale. Essa nacque quasi trentatre anni fa grazie all’impegno, alla passione per la musica e alla voglia di riaffermare i valori propri della gente di montagna e degli Alpini del Maestro Domenico Teofili, che tuttora la dirige e che, bisogna ammetterlo, trovò terreno fertile in Borbona, paese di montagna con grandi tradizioni alpine e musicali: il “battesimo del fuoco” in occasione del Primo Raduno Interprovinciale svoltosi nel maggio 1991 a Borbona, dove giunsero centinaia di alpini in congedo provenienti da tutti i Gruppi del Lazio e dell’Abruzzo dell’Associazione Nazionale Alpini accolti con festoso e coinvolgente entusiasmo da parte di tutti i residenti.

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Da quel momento in poi la Fanfara del Gruppo Alpini in congedo di Borbona ha partecipato a tutti i Raduni Nazionali, accompagnando lo sfilamento della sezione A.N.A. di Roma intitolata a “Umberto Ricagno” seguita dagli Alpini in congedo di tutto il Lazio ed è stata invitata a presiedere innumerevoli raduni interprovinciali e regionali, spostandosi costantemente in tutto il centro-sud della nostra penisola. I musicisti della Fanfara si sono sempre contraddistinti per l’alta professionalità e preparazione formale e musicale in tutti i momenti che caratterizzano tali manifestazioni: l’alzabandiera, la parata, gli onori ai caduti, la funzione religiosa e il concerto di piazza. Il loro repertorio è assai ricco e varia dagli inni militari a quelli religiosi, dai brani folcloristici alla musica sinfonica: per questo motivo la Fanfara è stata spesso invitata a partecipare anche a manifestazioni civili e religiose e a trasmissioni televisive e ha sempre riscosso consensi unanimi. Il successo ottenuto anche ieri, nonostante la pessima acustica del luogo, e i calorosi applausi strappati a chi li ascoltava “in religioso silenzio” dà la forza alla Fanfara e a ogni suo componente di continuare per la sua strada, nonostante i sacrifici in termini di tempo e denaro che comporta notoriamente una vita dedicata alla musica e ai sani valori fondanti della nostra Patria.

Il programma del concerto di sabato 4 gennaio 2013 è stato piuttosto ricco:

1) 33 Inno degli Alpini; 2) Ave Maria – Charles Gounod; 3) La montanara – Toni Ortelli http://youtu.be/NmZ5MbWMOBo ; 4) In notte placida – François Couperin; 5) Canto di Natale; 6) Stille Nacht – Joseph Mohr e Franz Xaver Gruber; 7) The King – Archibald Mirri (marcia brillante); 8) Sabina – Giovanni Orsomando (marcia sinfonica); 9) Danza Ungherese n° 5 – Johannes Brahms http://youtu.be/uLaIYD10W9A ; 10) Tu scendi dalle stelle – sant’Alfonso Maria de’ Liguori; 11) Su, pastori, alla capanna – R. Di Camillo; 12) Jingle Bells – Lord James Pierpont; 13) “Taps” Silenzio fuori ordinanza (arrangiato dal Maestro Domenico Teofili) http://youtu.be/6tDS1_BvG7o ; 14) Il Canto degli Italiani – Goffredo Mameli e Michele Novaro.

Riascoltare La Montanara mi ha commossa e riportata indietro nel tempo, quando da bambina cantavo i cori alpini insieme alla zia trasferitasi a Udine: ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovata a passeggio per le valli in fior…e non ho sentito più freddo.

La Danza Ungherese mi ha riempito di malinconia e di rabbia, ma mi ha anche ridato le energie di cui necessitavo per riprendere la vita di ogni giorno, nonostante il lutto e nonostante tutto.

Il Silenzio fuori ordinanza mi ha fatto, inevitabilmente, pensare a Francesca…e al nostro tempo insieme su questa Terra.

Il Canto degli Italiani e lo sguardo fiero di chi lo suonava, mi ha però ricordato che la vita continua e l’unico modo per onorare i caduti è vivere con onore i nostri giorni, impegnandosi al massimo nel nostro dovere e godendo di ogni istante che la vita stessa ci dona.

Grazie, Signore…per avermi fatto venire al concerto!

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