Tredici dicembre, santa Lucia…

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La sera del 13 dicembre 2013 abbiamo goduto del privilegio di assistere alla cerimonia di consegna ufficiale e all’accensione del tradizionale Albero di Natale in piazza San Pietro, donato al Sommo Pontefice dalla comunità bavarese di Waldmünchen. Migliaia tra cittadini romani, pellegrini e turisti d’ogni parte d’Italia e del mondo avranno la possibilità di ammirare il maestoso abete, come da tradizione – accanto al presepe che verrà inaugurato il prossimo 24 dicembre – soltanto fino al termine delle festività natalizie.

Resterà invece indelebile nel cuore di chi era presente la dolce voce di un oboe e di un flauto: http://youtu.be/FmAqJrO8bVk

Fabio Tassinari e Alessandro Pirchio, insieme a tutti gli altri musici della Banda Musicale del Corpo della Gendarmeria Vaticana diretta dal Maestro Giuseppe Cimini, hanno risvegliato in tutti i numerosissimi presenti a piazza San Pietro sereni ricordi d’infanzia e sentimenti di profondo amore e commozione per una nonna, probabilmente volata in cielo.

Chi, tra loro o tra voi cittadini del mondo, non ha avuto una nonna che gli abbia sussurrato, almeno una volta nella vita: <<Sul mare luccica l’astro d’argento. Placida è l’onda, prospero è il vento. Venite all’agile barchetta mia! Santa Lucia, Santa Lucia… Con questo zeffiro così soave, oh! com’è bello star sulla nave: su, passeggeri, venite via! Santa Lucia, Santa Lucia… In’ fra le tende bandir la cena, in una sera così serena. Chi non dimanda!? Chi non desìa!? Santa Lucia! Santa Lucia… Mare sì placido, vento sì caro, scordar fa i triboli al marinaro e va gridando con allegria: Santa Lucia! Santa Lucia! Oh, dolce Napoli! Oh, suol beato! Ove sorridere? Dov’è il creato, tu sei l’impero dell armonia! Santa Lucia, Santa Lucia… Or che tardate, bella è la sera: spira un’ auretta fresca e leggiera. Venite all’agile barchetta mia! Santa Lucia, Santa Lucia….>> !?

Chi, tra noi figli del Novecento, non ha ascoltato almeno una volta l’irraggiungibile Enrico Caruso http://youtu.be/1ebrnxY0Fuw !?

La fortunata barcarola napoletana, immortalata anche dai carillon delle scatole-souvenir che ogni turista può comprare nelle varie località turistiche campane, è infatti famosissima in tutto il mondo ed è stata tradotta in molte lingue. In Baviera e anche in Boemia, terra natìa dell’Albero di Natale è nota col titolo “Krásná je Neapol”, incisa da tal Waldemar Matuška. Nel Nuovo Continente, l’America, conoscono la versione di Elvis Presley http://youtu.be/XsCBZxpoqIc  che la pubblicò nel 1965, ma  la prima traduzione in inglese fu quella di Thomas Oliphant, pubblicata a Baltimora da M. McCaffrey.

Nei paesi scandinavi essa viene intonata, seppure con un testo differente, quale inno liturgico durante i festeggiamenti di Santa Lucia, che in una delle notti più buie dell’anno viaggia attraverso ogni città e paese per portare doni e dolci ai bambini ed annunciare il prossimo avvento della Luce: la versione più celebre è quella svedese, intitolata Luciasången o Sankta Lucia, ljusklara hägring.

Eppure la maggior parte di noi non ne conosceva l’origine, pertanto siamo idealmente saliti sulla barchetta e ci siamo avventurati in cerca di notizie per colmare un vuoto soprattutto, ma non soltanto, del cuore.

Nel diciannovesimo secolo la città di Napoli era una delle capitali più popolose e più povere tra tutti i piccoli Stati d’Italia: contava, infatti, oltre quattrocentomila abitanti, tra cui ventisettemila servitori e non meno di quarantamila lazzaroni.
Risale a quel periodo l’origine di un tipo di componimento musicale, tipicamente napoletano, derivato dal crescente interesse da parte di alcuni studiosi nei confronti di questa commistione tra la cultura contadina e quella suburbana  e dall’opera di indefessa trascrizione e di pubblicazione su opuscoletti, da parte di alcuni artisti o scrittori dell’epoca, dei canti che i popolani sino ad allora si erano tramandati vocalmente.  Questo “fenomeno” sociale diede origine all’Editoria musicale, campo in cui si distinsero subito “personaggi” del calibro di Guglielmo Cottrau e di suo figlio Teodoro, discendenti diretti del Giuseppe inviato a Napoli personalmente dall’Imperatore Napoleone per fare da consigliere ai re Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat.

Guglielmo Cottrau, nato nel 1797 in Francia giunse, appena dodicenne, a Napoli con suo padre appunto ai tempi di Gioacchino Murat: affascinato dai luoghi e dalle sue tradizioni, raccolse un numero infinito di canzoni, attribuendosi spudoratamente la paternità di molte di esse, e ne modificò un gran numero e molte altre ne compose davvero: i suoi Passatempi musicali, pubblicati nel 1820 con il sostegno dell’editore Bernard Girard, costituiscono una vera miniera…
Amico di uomini altolocati e di musicisti illustri, Guglielmo Cottrau riuscì a far abbonare alle sue raccolte di canzoni perfino la regina delle Due Sicilie e progettò di diffondere la canzone napoletana in Francia, creando un grande interesse intorno a questo genere letterario-musicale di cui, fino a pochi anni prima, nessuno si era occupato in maniera attenta ed appassionata: grazie a lui, dunque, la canzone napoletana registrò rapide espansione ed evoluzione.  Alla sua morte, sopraggiunta nel 1847, egli lasciò al ventenne figlio Teodoro l’onere di continuare l’attività e la tradizione paterna.

Teodoro Cottrau, ancora adolescente, si era visto offrire una borsa di studio dal governo francese affinché si trasferisse a Parigi, ma aveva rifiutato, senza mezzi termini, per non dover lasciare la sua amata Napoli e le sue canzoni: <<A quale titolo una borsa di studio per un giovincello che non è francese, e il cui padre non lo è più, almeno legalmente? >>, scrisse a sua sorella… Dopo aver studiato pianoforte con i maestri Festa e Pappalardo, si laureò in legge e, alla morte del padre, assunse la direzione della Casa Musicale: la sua attività di editore fu intensa e spaziò dalla stampa di un periodico di canzoni dal titolo “L’eco del Vesuvio” alla composizione di canzoni. A lui viene appunto attribuita la paternità di questa incantevole “Santa Lucia”, probabilmente ispirata all’aria donizettiana “Com’è bello, quale incanto” tratto da “Lucrezia Borgia”. I versi del brano, pubblicato nel 1850, descrivono il pittoresco rione marinaro di Santa Lucia: idealmente è un barcaiolo (da qui la definizione di “barcarola” assegnato a questo genere di canzoni) che invita a fare un giro sulla sua barca, per meglio godere il fresco della sera. La canzone, scritta in napoletano, ebbe in realtà assai scarso successo probabilmente perché in quel periodo la popolarità aveva voltato le spalle ai versi originali in dialetto. Teodoro Cottrau affidò dunque la stesura del testo in lingua italiana a Enrico Cossovich: la prima canzone napoletana tradotta nella nostra lingua nazionale ottenne un successo trionfale in tutta la penisola italiana e persino al di là delle Alpi e oltre Oceano e ancora oggi fa parte dei repertori musicali dei migliori cantanti, lirici e leggeri, del mondo intero. Cottrau divenne dunque un personaggio di primo piano nella Napoli dell’epoca: decine di poeti e compositori affollavano l’anticamera del suo studio per presentargli canzoni e lui, con bonomia partenopea condita da humor francese, faceva del suo meglio per aiutare tutti, bravi e meno bravi. Dopo l’ingresso del Generale Giuseppe Garibaldi a Napoli, il musicista-editore si dedicò alla politica collaborando attivamente al giornale L’Indipendente – fondato da Alexandre Dumas e ispirato agli ideali garibaldini – ma non volle mai accettare cariche di rilievo: <<Io devo pensare alle canzoni. A Napoli, la vera politica la si fa con le canzoni.>>

Effettivamente…se così davvero fosse…si potrebbe dire che egli domina il mondo da lungo tempo!

La versione definitiva ed oggi maggiormente diffusa, e probabilmente quella che noi preferiamo, fu registrata agli inizi del XX secolo dal grande cantante lirico napoletano Enrico Caruso.

Accattatavill’:  http://youtu.be/pLNcxsykTX0